IL VOLTO UMANO DI BRUNO BANDOLI

autoritrattoL’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (Via Belle Arti 54) ospita dal 12 Ottobre al 9 Novembre 2014 la mostra dedicata al bolognese Bruno Bandoli. Tale mostra è stata inaugurata sabato 11 Ottobre e presentata da una conferenza stampa tenutasi giovedì 9 Ottobre in cui sono intervenuti il Professor Eugenio Riccomini, il Professor Antonio Faeti e l’attore e regista teatrale Vittorio Franceschi per parlare del loro AMICO Bruno, non soltanto come artista (o artigiano, come egli stesso preferiva definirsi) ma anche e soprattutto come UOMO. Bruno Bandoli (Bologna 10/12/1936 – 15/11/1994) fin da piccolo manifestò una forte passione per il modellato che lo portò a prediligere la scultura come forma espressiva a lui più congeniale. Egli scolpiva le sue teste di terracotta in un momento storico-artistico in cui il FIGURATIVO stava avendo la meglio: mai in altri secoli si sono viste tante FIGURE come nel Novecento. Dunque Bruno si trovò a sperimentare una crisi, una frattura, e dovette fare una scelta che lo portò a prediligere il FARE, la destrezza dell’USARE I POLLICI. Il risultato è straordinario: basta guardare le sue opere per rendersi conto che, ad esempio, «le sue teste di terracotta non tremano di fronte a quelle dell’antichità che ci hanno insegnato la bellezza» (Prof. Riccomini).Schermata 2014-10-14 alle 10.58.35 Bruno avrebbe continuato ad utilizzare i suoi pollici, ma se n’è andato troppo presto, alla soglia dei 58 anni. Visitando la mostra abbiamo l’opportunità di cogliere la sua straordinaria espressività che veniva dal profondo. Eugenio Riccomini alla conferenza stampa ricorda di Bruno il «chiarore che emanava il suo sguardo nell’esercitare un mestiere che, ahimè, non suscitava plauso». A questo proposito Antonio Faeti ha proposto una riflessione sull’essere IGNOTO degli artisti ai quali capita di essere poco capiti perché troppo recensiti, oppure troppo poco: quest’ultimo è il caso di Bruno, che non si allineava ai più, detestava le mode, aveva una personalità complicatissima e tormentata all’interno e tutto ciò fa parte della sua poetica. Secondo Faeti, «Bruno era grande, perché possedeva un dono di mani senza limite». Finalmente, dunque, con questa mostra gli si rende il giusto omaggio.

«Chi mi conosce sa che io più che parlare gesticolo, agitando molto le mani… brancolo nell’aria (ma non è lo spazio?), finché non trovo un appoggio (ma non è un piano?), sia di creta, di gesso, di legno o di metallo; lì mi sento più sicuro. […] Poi pian piano, proprio perché a me piace stare in mezzo alla gente, cominciai a vedere quelle mie forme incarnarsi in facce: facce sì, ma con quei piani, quei volumi “puri”. (Bruno Bandoli, Bologna 1993)

Pinocchio, 1964, scultura in legno eseguita per lo spettacolo "Pinocchio minore" di V. Franceschi.

Pinocchio, 1964, scultura in legno eseguita per lo spettacolo “Pinocchio minore” di V. Franceschi.

Vittorio Franceschi parla di Bruno Bandoli come un fratello: dai suoi racconti emerge, infatti, il volto umano di Bruno.

«Ti ricordi, Bruno, quel sogno che avevo fatto? Te l’ho raccontato il mattino dopo. Abitavamo allora in Corso Buenos Aires 2, a Milano e dividevamo tutto: il pane, la bolletta e la stanzetta a due letti dove fantasticavamo prima di dormire. Avevamo lasciato Bologna sui vent’anni, tagliato il cordone ombelicale, partiti per un’avventura che doveva essere alla pari dei sogni di noi ragazzi poveri, che volevano riempire di senso la vita dando forma, con l’arte, alle inquietudini di quell’età bellissima e tormentosa. Tu modellavi la creta, […] ma non solo la creta modellavi, modellavi anche l’aria, quando parlavi plasmandola con le mani, come a inseguire un pensiero sfuggevole che era un prolungamento dell’opera, che dal tuo tavolo da lavoro si torceva all’infuori per un bisogno di spazio». (Da Lettera a Bruno, V. Franceschi, 2009).

La grande maestria di Bruno la ritroviamo nelle sue MEDAGLIE: egli incideva in negativo una base di gesso circolare che poi veniva trasposta in positivo attraverso un calco; infine la medaglia veniva coniata in oro, argento e bronzo. Di particolare rilievo è la serie di medaglie prestigiose commissionategli per le Olimpiadi del 1972, accanto alla serie sul “Ritratto nella storia del cinema” realizzata tra il 1972 e il 1974, in cui ritroviamo i volti di Fellini, Hitchcock, Totò e altri grandi protagonisti della storia del cinema, mai semplicemente riprodotti sulla medaglia, ma sempre reinterpretati dallo sguardo attento di Bruno che ne coglieva alcuni particolari restituendoceli così come apparivano a lui.

Schermata 2014-10-14 alle 10.56.23Schermata 2014-10-14 alle 10.59.46Schermata 2014-10-14 alle 10.57.29

Schermata 2014-10-14 alle 11.03.12Invito calorosamente i lettori a visitare la mostra, aperta come da orari indicati nell’immagine accanto. Ne vale la pena! E vorrei concludere con le parole del carissimo amico di Bruno, Wolfango: «Parlava con le mani e non poteva non fare lo scultore. Faceva troppe cose per gli altri (buono come il pane e molto simpatico), dimenticandosi di se stesso perfino di vivere… un bel pò di più! Per ciò ha lasciato pochissime opere. Modestissimo, si considerava solo un artigiano e si era dedicato alla medaglistica, fornendo esemplari, tra i più belli del mondo. Magnifiche anche quelle poche teste/ritratti superstiti». (Wolfango)

Laura Comitogianni

0 thoughts on “IL VOLTO UMANO DI BRUNO BANDOLI

  1. sono un artigiano pellettiere, e Bruno, di cui solo da poco ho saputo(sigh) della morte, ha fatto per me il marchio dei miei lavori artigianali, lo ho conosciuto nel periodo 1980/1982, quando avevo il laboratorio prima in via del cestello se non ricordo male di fronte a casa sua, e poi vicino al bar Benfenati. Mi fece un gesso magnifico della testa di un cavallo, che ancora possiedo, e che divenne il mio marchio. Ancora lo ricordo con affetto per la sua umiltà, gentilezza, intelligenza,generosità, anche se poi nel 1983 mi sono spostato in Toscana a San gimignano, dove ancora lavoro in Via Roma n. 21, ed ho perso i contatti con Bologna ed anche con lui.
    andrea marconi

  2. Pingback: EDITORIALE: BERE A PICCOLI SORSI | Metro-Polis

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