IN VIAGGIO – DANTE PELLEGRINO

di Rosalba Granata

William Blake, Selva.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

È l’incipit della Divina Commedia.

Nel mezzo della nostra vita, ci dice quindi Dante, ho smarrito la retta via. Mi sono perso nella selva oscura del peccato.

Gli impediscono ogni possibilità di uscita da questo luogo angosciante tre fiere: una lince, un leone e una lupa che rappresentano le disposizioni peccaminose dell’umanità. Ed è la Lupa che gli toglie ogni speranza. La cupidigia dei beni terreni sta corrompendo l’intera società. È disperato, si rende conto che da solo non riuscirà mai ad uscirne.Lancia un grido d’aiuto e gli appare Virgilio. Sarà lui, il saggio Virgilio, a fargli da guida nella prima parte del viaggio attraverso Inferno e Purgatorio.

Ma poi per raggiungere il Paradiso non basta la Ragione che porta alla comprensione di bene e male, sarà necessaria la Fede, e sarà Beatrice, a condurlo fino all’Empireo.

Priamo della Quercia, Dante e Virgilio.

Scende la sera, Virgilio ha indicato il percorso che dovrà compiere e Dante si sente smarrito. Si rivolge alla sua guida. Ha davvero “virtù” sufficiente per questo difficile cammino?

Solo due uomini hanno potuto compiere il viaggio nell’Aldilà da vivi: Enea e San Paolo.

Ma io, perché venirvi? O ch’l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri crede.
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la mia venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono.

Enea e San Paolo avevano una grande missione da compiere.
Virgilio lo rassicura: il suo viaggio è voluto dal Cielo. È stata proprio Beatrice a chiedergli di intervenire in suo aiuto.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica, voce in sua favella […].

Riconosciamo in questa prima apparizione di Beatrice le modalità descrittive della donna angelicata dello Stilnovo, ma ricordiamo che nella Divina Commedia diviene espressione della fede rivelata.

Giovanni di Paolo, Dante e Cacciaguida.

Ci chiediamo, a questo punto, anche Dante, come Enea e San Paolo, ha una missione da compiere?

Virgilio gli dice che gli verrà rivelato nella tappa finale del suo viaggio.

Ed è nel canto centrale del Paradiso, nel Cielo di Marte, che Dante incontra il suo avo Cacciaguida e riceve da lui l’investitura della sua grande missione. Dovrà combattere contro la corruzione della società e le sue armi saranno quelle della poesia.

Nella sua opera dovrà rivelare fedelmente quanto ha visto durante il suo viaggio e se le sue parole in un primo momento saranno sgradite diventeranno poi un nutrimento vitale.

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’è la rogna.
Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.
(Paradiso, canto XVII)

Sfondamento cronologico

Torquato Tasso con corona di alloro.

Dante quindi ci parla di una grande Missione della poesia. È il poeta vate. Ne abbiamo altri esempi nella letteratura da Tasso a Carducci, da Foscolo a D’Annunzio.

Con lo sfondamento temporale ci proiettiamo al momento in cui tale concezione entra in crisi.

Alla metà dell’Ottocento in Francia «il poeta perde l’aureola». La perde attraversando un boulevard trafficato mentre si sta recando in un bordello. La perde nel fango della strada metropolitana. Questo racconta Baudelaire con tono ironico e dissacrante, con la piena consapevolezza della crisi del poeta rispetto a un ruolo tradizionale.

E in Italia?

Sono i Crepuscolari, nei primi anni del Novecento, che avvertono nella società di massa il tramonto della missione del poeta vate.

Tra i molti esempi possibili proponiamo quello della graffiante ironia, e autoironia, di Gozzano.

La Signorina Felicita, della sua poesia racconto, è una giovinetta di provincia, semplice e lontana dalla raffinatezza culturale del mondo del poeta.

Ed è lei che conduce l’intellettuale avvocato cittadino nel solaio dove sono confinate tutte le cose che non servono più. E la signorina, vedendo un ritratto di Tasso, scambia la corona d’alloro per un mazzo di ciliegie!

Bellezza riposata dei solai
dove il rifiuto secolare dorme!
[…] Tra i materassi logori e le ceste
v’erano stampe di persone egregie;
incoronato delle frondi regie
v’era Torquato nei giardini d’Este.
“Avvocato, perché su quelle teste
buffe si vede un ramo di ciliegie?
Io risi, tanto che fermammo il passo,
e ridendo pensai questo pensiero:
Oimè! La Gloria! un corridoio basso,
tre ceste, un canterano dell’Impero,
la brutta effigie incorniciata in nero
e sotto il nome di Torquato Tasso!

E poi arriva Palazzeschi e unisce questo contenuto espresso dai crepuscolari con il tono più provocatorio tipico dei futuristi. Il poeta non ha più niente da dire, gli uomini non domandano più nulla al poeta e lasciatemi divertire:

Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione

….

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!

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