LA BIBLIOTECA DI BABELE – NEL SEGNO DELLA PECORA

di Il club del libro

Il club del libro targato Metro-Polis ha visto il suo secondo incontro dedicato al romanzo di esordio di Murakami Haruki, Nel segno della pecora. Uscito nel 1982 e scritto dopo due romanzi brevi, questo libro del celebre scrittore giapponese ha in nuce gran parte di quelle che sono le linee della poetica dell’autore.

Un giovane pubblicitario vive da anni in una sorta di limbo. Nulla di particolare o rilevante accade nella sua vita. Almeno da dieci anni dichiara di sentirsi staccato da sé stesso, lontano. Ma qualcosa è in agguato per cambiare tutto questo. Una piccola frattura, di poco conto, dà il via a una lunga presa di coscienza e a un viaggio. La direzione pare essere quella della consapevolezza. Murakami gioca in questo testo sull’ambivalenza che intercorre tra mondo onirico e realtà, alternandoli di frequente, tanto da far smarrire la certezza di dove ci si trovi.

«L’uomo estrasse da una busta una grande fotografia in bianco e nero e la posò sul tavolo, rivolta verso di me. Ebbi l’impressione che un minimo elemento di realtà si fosse insinuato nella stanza». L’assurdo viaggio del protagonista parte proprio dal crogiuolo dell’incertezza e dell’indeterminazione. Non stupisce che non si conosca il suo nome, come il nome di nessun altro, nel libro. Solo soprannomi, spesso indicanti qualità fisiche o necessità funzionali (Il Sorcio, il Maestro, Sardina). Già nel primo capitolo questa si determina come scelta più che consapevole:

«Avevo dimenticato il suo nome. Per saperlo mi sarebbe bastato cercare quel trafiletto sulla sua morte, ma a quel punto che importanza poteva avere? Ormai l’avevo scordato, solo questo contava».

Anche il tempo agisce in modo strano, e l’autore sembra voler scardinare l’illusione di una sua dimensione oggettiva.

«In quella casa il tempo scorreva in modo strano. Come l’antico orologio a pendolo nel soggiorno, che chiunque entrasse poteva caricare. Finchè le catene non erano del tutto srotolate, il tempo veniva scandito regolarmente. Ma quando in casa non c’era nessuno e i pesi arrivavano in fondo, si fermava. E spezzoni di tempo fermo si accumulavano sul pavimento, formando strati di vita senza colore».

Nel gioco tra tempo e spazio che non riesce a determinare qualcosa di tangibile, Murakami inserisce il corpo fisico, che finisce per apparire quasi anacronistico e privo, anch’esso, di sostanza

«-Ma se dormiamo insieme da anni! Conosco il tuo corpo palmo a palmo. Di che cosa ti vergogni ancora?

– le nostre cellule si rinnovano ogni mese. Pure in questo momento mentre parliamo, – disse, mettendomi sotto gli occhi il dorso della mano snella. – Quella che tu credi di conoscere è soltanto un ricordo che mi riguarda, niente di più».

Neppure gli specchi sembrano risolvere in problema, rimandando immagini sbiadite e lontane. Irreali. In tutto questo dibattono le vite dei protagonisti, percorrendo pagine e pagine, con lo scopo di mostrarsi, forse, più reali di quanto non siano, di affermarsi, anche solo nella ricerca di uno scopo. Finchè non arrivano a prendere una decisione che possa riscattarle. Così farà il Sorcio e così forse riuscirà a fare anche il nostro protagonista senza nome.

Sono molti i livelli di lettura di questo romanzo. Alcuni immediati, altri più nascosti. Tra le pieghe di queste pagine pare emergere anche una dimensione di protesta politica, o di affermazione dello stato delle cose in Giappone. Non a caso i pochi indizi temporali chiari e le poche cose nominate fanno tutte riferimento a personaggi o episodi specifici legati al disgregamento della cultura tradizionale e all’affermarsi di una società decisamente diversa (Il suicidio di Yukio Mishima, Enola Gay ecc).

Murakami si conferma, fin dal suo esordio, come autore capace di trascinare il lettore dentro le proprie pagine, creando labirinti che non lasciano scampo e si defilano da qualsiasi volontà topografica: i loro cunicoli vanno semplicemente percorsi!

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