LE SPIRE DELLA GELOSIA

Swann e Odette; il possesso come cosa impossibile.

gelosia

I cosiddetti “delitti passionali”, ovvero presumibilmente dettati da motivazioni di tipo sentimentale, costituiscono i crimini più consumati in Italia. L’aggettivo “passionale” racchiude in sé un ampio spettro di significati eterogenei quali passione, desiderio, emotività, istinto e, senz’altro, un’evidente ambivalenza tra gli impulsi primordiali di eros e thánatos.

La storia dell’umanità ha mostrato abbondantemente come la passione amorosa possa portare, talvolta, a gesti immotivati ed estremi che si oppongono all’accezione “benevola” dell’amore (passionale, amicale, spirituale, ecc. intesi in ogni caso come manifestazione di un desiderio di affezione teso a procurare il bene dell’altra parte) con quella più istintuale ed egoistica di possesso, ovvero l’amore inteso come cieca appropriazione dell’altra persona. 

La letteratura ha offerto numerosi spunti a riguardo, creando addirittura modelli identificativi relativi al rapporto tra amore e gelosia che, talvolta, si addentrano nel patologico: basti pensare alla “Sindrome di Otello”, chiaramente nota col nome del protagonista dell’opera shakespeariana (autore dell’omicidio della moglie Desdemona a causa di un tradimento presunto); con essa facciamo riferimento a comportamenti ossessivi e deliranti dell’amante riguardo alla possibile infedeltà del proprio partner. La gelosia ossessiva spinge il più delle volte a comportamenti devianti, ormai tristemente all’ordine del giorno, quali lo stalking, violenze di ogni tipo e, spesso, anche in veri e propri crimini.

Amore e gelosia vanno di pari passo anche nella Sindrome di Clerambault, ovvero la convinzione (vedi illusione) infondata e ossessiva che una persona manifesti sentimenti amorosi nei nostri confronti. Il cosiddetto delirio erotomane (lucidamente portato sugli schermi da L. Colombani con À la folie… pas du tout, 2002) si fonda sull’attrazione verso persone socialmente distanti, e dunque difficilmente raggiungibili, rappresenta una forma d’illusione amorosa senz’altro autoreferenziale. Uno stadio ancora più pervasivo è rappresentato dalla Sindrome di Mairet, ovvero la persistenza di una gelosia ossessiva che invade ogni tipo di relazione (amorosa, amicale, ecc.) inficiando così il rapporto con la realtà e con gli altri, provocando frequenti stati di diffidenza, ansia e inquietudine.

Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.” 

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso

L’amore, dunque, può tramutarsi in materia nociva attraverso il filo conduttore della gelosia (definita come “stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo, teme che la persona amata gli sia insidiata da un rivale e possa così abbandonarlo”) e, per convesso, della necessità del possesso, laddove l’amore per l’altro viene sorpassato dal bisogno dell’altro, dal controllo dell’autonomia altrui (fisica, emotiva, intellettiva). La gelosia, quindi, sembra avere origine proprio nel bisogno ancestrale di proprietà, configurandosi come il desiderio di possesso esclusivo di un bene (la persona amata) che si ha paura di perdere e che, prima o poi, possa estraniarsi da noi.

La gelosia, infatti, non contiene solo la sofferenza della privazione, ma anche quella dell’amor proprio ferito; già La Rochefoucauld raccontava come: «Il y a dans la jalousie plus d’amour propre que d’amour», gelosia dunque come amore soprattutto verso se stessi, egoisticamente orientati verso i propri bisogni primari di tipo amoroso-affettivo-sessuale. Se da una parte l’amore sottende implicitamente il rispetto dell’indipendenza e dello spazio dell’altro, l’amore geloso assorbe tutto, divora lo spazio fisico-emotivo dell’altro, forzatamente lo fa proprio, avido di possesso, sottomettendolo al proprio controllo.

“Più il desiderio aumenta, più il vero possesso si allontana” 

Marcel Proust, La fuggitiva (Albertine scomparsa)

tempoIl mondo letterario offre innumerevoli opere capaci di riflettere l’amore geloso nelle sue più diverse sfaccettature e accezioni; a partire dalla Medea greca, alla Sonata a Kreuzer di Tolstoj, passando per la Lolita di Nabokov, fino all’Insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera. Del tutto arbitraria, dunque, la scelta di approfondire un’opera in specifico su questo tema quale La ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Pubblicata in sette volumi tra il 1913 e il 1927 dopo lunga una storia editoriale (André Gide rifiutò Proust più volte presso la casa editrice Gallimard), la Recherche è oggi considerata come una delle opere fondamentali della letteratura europea. Proust ci ha offerto un’opera monumentale del tutto circolare: un io (Marcel) che combatte contro la sua mancanza di volontà, la sua fragilità e, soprattutto, un tempo che scorre troppo velocemente per afferrarlo. Ecco che il protagonista decide di recuperare il tempo che fugge, riacquistando attraverso la scrittura il proprio tempo perduto.

L’amore geloso, tema che si propaga come filo conduttore in tutti i sette volumi, ovvero quello tra lo stesso Marcel e Albertine, viene introdotto già all’interno del primo tomo, Du coté de chez Swann, dove si inserisce una sorta di altro romanzo, intitolato dallo stesso Proust come Un amour de Swann. Una storia quasi a sé stante nel vasto mondo proustiano che vede come suo protagonista Swann, alter-ego di Proust (nonché suo precursore) non solo nelle proprie fragilità ma soprattutto nella propria tormentata storia d’amore.

Un amore complesso e stratificato, quello tra Swann, giovane rampollo della buona società parigina di fine Ottocento e la bellissima Odette, ingenua ed estranea alla vita mondana della capitale. Dopo un iniziale disinteresse da parte del ragazzo, la disponibilità di Odette verso Swann, così emotivamente e socialmente distanti, altera la cieca apatia affettiva del giovane in una passione torbidamente complessa.

Ed ecco che avviene gradualmente un processo di mitificazione di Odette, la sua trasformazione in una sorte di opera d’arte sospesa in uno spazio irreale e del tutto sconnesso dalla realtà. Si sedimenta così in Swann la consapevolezza del proprio amore per Odette e per la sua preziosità, così pura e mitica.

Ma ecco che, fin dal principio, comincia a insinuarsi la trama insidiosa della gelosia, presentandosi dapprima come bisogno di conoscenza, la necessità di essere al corrente del passato della ragazza e di conoscere ogni dettaglio della sua vita. Piccoli indizi, tuttavia, aprono baratri quali, ad esempio, la scoperta dell’amore di Odette per un’altra donna, un’omosessualità che, fin da subito, taglia fuori Swann, allontanandolo, rendendola già in partenza inaccessibile.

Nasce così il bisogno dell’esclusività; Odette non può essere di nessun altro, uomo o donna che sia; la fisicità diviene propriamente il desiderio di disporre del corpo altrui, il possesso fisico diviene uno strumento per assicurarsi il possesso mentale dell’amata. E progressivamente la gelosia si tramuta in ossessione. Un’ossessione diurna e notturna (si ricordano le affannose ricerche sotto la luna di Odette per le vie di Parigi), un errare ossessivo dove Swann, sulle orme di Orfeo, avverte l’assenza fisica e mentale della giovane, spiandola diviene incapace di distinguere la verità dalla falsità, la realtà dall’immaginazione. Ed ecco che le spire della gelosia portano inevitabilmente alla menzogna; sia Odette che Swann mentono continuamente, e solo brandelli di conoscenza verranno fuori, impedendo l’appropriazione della verità.

Infine, grazie alla gelosia, l’amore geloso diviene rabbia, e la rabbia diviene odio. La consapevolezza del disinteresse di Odette spingono Swann a una sorta di bipolarismo amoroso: al tempo stesso la idolatra, cercandone il pieno compiacimento, ma cresce il rancore che, progressivamente, ne divora il cuore.

In questo episodio isolato e chiuso, Un amour de Swann, si esemplifica il paradigma che si svilupperà in tutta la Recherche, ovvero l’amore inteso come il possesso stesso dell’amore. Eppure, fin dal principio, Proust e il suo lettore sanno già che il possesso è una cosa impossibile e che la sua ricerca sarà sempre vana. E lo sa bene anche Swann, artefice stesso del proprio tempo (e amore) perduto.

Il personaggio di Odette, cortigiana misteriosa, si presenta eternamente in fuga. Se inizialmente il suo fascino consisteva nell’aver dato richiesta di conferme, apparendo bisognosa d’amore, Odette arriva ben presto a tramutarsi in un essere impalpabile, socialmente indipendente e dunque inafferrabile. Un inseguimento senza fine che termina solo con l’amara conclusione finale; durante il bilancio del proprio tempo perduto Swann ammetterà paradossalmente a se stesso che, nonostante tutto, Odette “non era affatto il suo tipo”.

Dopo l’archetipo Swann-Odette, l’amore geloso continuerà nei tomi successivi della Recherche. Diverrà Albertine, infatti, l’oggetto amato impossibile e irraggiungibile, vittima di una gelosia morbosa da parte di Marcel che, in vista del suo possesso, arriverà addirittura a sequestrarla fisicamente (vedi il quinto volume della serie ovvero La Prigioniera). Tuttavia, Albertine riuscirà a evadere e a perseguire la propria auto-affermazione esistenziale e affettiva, dimostrando che l’amore e la gelosia perpetuano unicamente una falsa e vana ricerca.

Emanuele Gaiba

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