VOLERSI CINEMATOGRAFICAMENTE BENE A NATALE

di Alessandro D’Argento

C’è un uomo a cui dobbiamo tanto. Sia ben chiaro.

C’è un uomo che 175 anni or sono ci ha richiamati all’ordine, ci ha condannati e poi ci ha redenti.

Con un suo breve e potente racconto continua a metterci in discussione. Un uomo che continua a insegnarci come un cuore consumato dall’avidità e dall’egoismo possa essere risanato dalla misericordia. Un uomo creatore di miti. È Charles Dickens, e quel racconto porta il titolo di A Christmas Carol, Un canto di Natale, o, meglio ancora, se vogliamo fare i musicologi schizzinosi, Una carola di Natale.

  1. Senza quel piccolo volume, senza quel mito moderno che è Ebenezer Scrooge, il mondo intero vivrebbe ancora un dicembre vuoto, fatto di freddo, di viandanti in cerca di un alloggio, di camini spogli e di noia mortale. Se io ora mi trovo qui a scrivere circondato da addobbi, ghirlande, candele accese e Mariah Carey in sottofondo che raggiunge acuti sovrumani in Oh holy night, lo devo a lui, al mio mentore, al mio psicoterapeuta perpetuo: Charles Dickens. Sia ben chiaro che il Natale lo ha re-inventato lui. Per secoli è regnato il nulla. Solo festeggiamenti nelle chiese e nei conventi, nulla di più. Lo ha re-inventato con le sue storie (tantissime, a dire il vero, le Christmas Stories, in Italia ancora poco conosciute). Insomma, il Natale, quello dei festoni, dell’albero, dei doni, della cena della Vigilia, del focolare domestico, delle danze e dei cantori per strada, esiste grazie a lui. Amen.

Finito questo indispensabile introito apologetico, ci tengo a precisare che non è del caro Carlo che voglio parlare, ma di tutto quello che cinematograficamente ne è derivato. Il Natale e il cinema, il cinema e il Natale. Una bella tazza di tè, un pigiamone rigorosamente di pile, un divano, un televisore e le nostre occhiaie di fine anno a farci compagnia. Ma non basta: ci vogliono i film, quelli buoni, quelli a cui tu vuoi bene, quelli che ti vogliono bene.

Lo so che vi sarete già detti «ecco il solito post sui film da vedere a Natale», e avete ragione, per carità, ma cerchiamo di stilare un prontuario ragionato e che esuli da ogni finta aura glitterata dei giorni nostri. Il nostro obiettivo è far tornare quella vera aura di candele dondolanti dello spot della Coca Cola, della leggendaria magrezza di Mariah Carey che si rotola nella neve come se niente fosse, dei montgomery di dieci taglie più grandi, dei numeri vincenti al TeleMike e del caschetto improponibile di Alessandra Martinez in Fantaghirò. Pronti?

«Natale non è Natale senza regali, brontolò Jo». È uno degli incipit più belli della letteratura terraquea. Louise May Alcott con Piccole Donne e anche con i suoi racconti natalizi (suggerisco fra tutti Un sogno di Natale e come si avverò, edito da Mattioli1885) ha plasmato ed educato menti e cuori al Natale. Ecco, l’adattamento cinematografico del 1994, per la regia di Gillian Armstrong, che vede una meravigliosa Winona Ryder nei panni di Jo e una iconica Susan Sarandon nei panni della Signora March, è un must natalizio che ben ci ricorda quanto siamo fortunati nel vivere in tempi come questi, quanto sono importanti i legami familiari e quanto la morte di Beth ci riporta inevitabilmente nel magico pantheon di tragedie che spettava adeguatamente a un bambino del secolo scorso come il sottoscritto.

«Bah, bubbole!», brontola l’avaro Ebenizer Scrooge al nipote. Che le si voglia chiamare “bubbole” o “schiocchezze” o “baggianate”, di una cosa sono più che certo: il Canto di Natale di Topolino, per la regia di Burny Mattinson, è una perla preziosa del cinema di animazione, nonché l’unico cartone in grado di sciogliere anche un cuore di pietra come quello del sottoscritto. Il soggetto lo conosciamo tutti, ma pochi sanno che questo cortometraggio ha segnato la rinascita dello stesso Topolino la cui ultima comparsa sugli schermi era stata nel 1953. Dopo trent’anni il mondo intero ritrovava Mickey Mouse nella parte dello sfruttato e mal pagato Bob Cratchit, dipendente di Scrooge interpretato da Paperon de’ Paperoni, il cui nome originale è, appunto, Scrooge McDuck o comunemente Uncle Scrooge. Non mi dilungo oltre. Questo cortometraggio è nell’olimpo dei miei film preferiti, perché mi riporta inevitabilmente all’infanzia, alla spensieratezza, ai natali condivisi con la famiglia intera. Vi prego, diffidate dal ridoppiaggio del 1990 e cercate quello originale, con uno strepitoso Mario Milita a dar voce a Scrooge. Io ne conservo gelosamente il VHS che ogni anno viene prontamente esposto come una santa reliquia. Non dimentichiamo, però, che nel 2009 la Disney affidò a quel gran genio di Robert Zemeckis un nuovo adattamento in motion-capture del racconto di Dickens, e il suo A Christmas Carol resta un capolavoro che rasenta la massima fedeltà al libro. La locandina di questo film è appesa nella mia camera tutti i santi giorni dell’anno per ricordarmi che siamo più “Scrooge” di quanto pensiamo: non vogliamo seccature e, visti i tempi politici che corrono, ci educhiamo alla gelida ed esplicita indifferenza per i deboli e gli indifesi. Quella storia, alla fine, ci ricorda come la prima risposta a tutte le sofferenze sia sempre e innanzitutto un abbraccio d’amore.

«Every Christmas Eve we are part of a miracle» dice il brano di apertura, composto da Henry Mancini, di un film senza il quale il Natale non può essere Natale: La vera storia di Babbo Natale: Santa Claus, regia di Jeannot Szwarc, 1985. David Huddleston nei panni di Babbo Natale ha contribuito non poco al mio amore viscerale per questa festa e per tutte le leggende che ci girano attorno. Resta un must assoluto, ma la versione italiana del DVD non rende giustizia a una storia magica, piena di importanti messaggi e incantevoli musiche.

«Sì, lo so, tutti abbiamo una storia. Però scommetto che nessuno ne ha una come questa. Nessuno» è l’incipit di un cult comedy-horror movie natalizio ineguagliato nel suo genere: I GREMLINS, regia di Joe Dante, con Chris Columbus alla sceneggiatura. Come dimenticare i teneri e paffuti mogwai che a contatto con l’acqua si trasformano in terrificanti gremlins che conoscono solo il caos e la distruzione? La sequenza in cui, sotto la neve, con cuffia e cappello, cantano Joy to the world davanti alla porta di una misera vecchietta, resta una delle cose più belle che il natale cinematografico ci abbia mai donato.

«Auguri…è un cavatappi. È un oggetto fine, per gente di classe, ti piace?» «Hai esaudito un sogno!». Una delle scene più esilaranti e paradigmatiche di un altro capolavoro natalizio tutto italiano: a parlare sono Gina (Cinzia Leone) e Lina (Marina Confalone) in Parenti Serpenti di Mario Monicelli, 1992. Questo film meriterebbe un articolo tutto per sé, perché riguarda tutti noi, perché, volenti o nolenti – e chi scrive è uno nato e cresciuto nel profondo Sud – ci siamo tutti noi italiani. La famiglia, la tombolata, il susseguirsi di pranzi e cene, il televisore sempre acceso, i regali. C’è tutto. E questa commedia culto risponde alla domanda: quanti hanno veramente piacere a stare in famiglia? Quanti sorrisi e baci che ci scambiamo sono autentici? È una chiara denuncia alla società italiana firmata Mario Monicelli, e ho detto tutto. Il piccolo Mauro, narratore della vicenda, non vede nessuna malizia, nessun odio, nessuna vendetta. È un bambino. Ma noi adulti vediamo ben altro; una realtà di provincia dove bisogna per forza andare alla messa di mezzanotte con l’abito più bello, altrimenti la gente parla…Quanto è vero questo film, e ogni anno è d’uopo rispecchiarcisi e anche cadere nel tenero vortice della nostalgia per un tempo che, forse, non tornerà più. Vi consiglio, a tal proposito, la visione di Una famiglia perfetta (regia di Paolo Genovese, 2012) che ci interroga sulla felicità e la solitudine dei nostri giorni, con un bravissimo Sergio Castellitto che ingaggia una compagnia di attori per trascorrere insieme un Natale “in famiglia”.

E infine c’è lei, la regina del Natale cinematografico, la padrona di casa del Natale televisivo (con uno Christmas Special passato alla storia), che nel 1944 ci ha regalato una delle ballate natalizie più sognanti e romantiche nel film Meet me in St. Louis (Incontriamoci a Saint Louis). Il brano è Have yourself a merry little Christmas e a cantarlo è Judy Garland, che la vigilia di Natale dedica alla sorellina per convincerla che un trasferimento da Saint Louis a New York non è poi così drammatico come lei paventa. «Ti auguro un felice piccolo Natale/ rendi leggere il tuo cuore/ L’anno prossimo tutte le nostre preoccupazioni/ saranno svanite», che meraviglia. Il film diretto dal futuro marito di Judy, Vincente Minnelli, è ambientato nel 1904 – l’anno in cui la canzone che dà il titolo alla pellicola venne lanciata con enorme successo. Meet me in St. Louis, resta un capolavoro brillante, sfarzoso, vitale, sgargiante e colorato come l’anima del suo regista.

Lo rivedremo in tutto il suo splendore, in versione restaurata, mercoledì 19 dicembre nella sala del nostro Cineclub Bellinzona! Festeggeremo con un brindisi l’ultimo appuntamento del 2018, dandoci l’arrivederci al 10 di gennaio quando, in compagnia di Livio Crescenzi, traduttore di Dickens per la Mattioli1885, proietteremo il restauro di un altro musical: OLIVER! di Carol Reed (1968), capolavoro vincitore di sei premi Oscar, tratto da Oliver Twist, un altro grande romanzo del caro Dickens.

Insomma, di film natalizi ne sono stati girati a centinaia. Come non ricordare The Nightmare before Christmas, White Christmas, The Polar Express, La vita è meravigliosa? Ma ho proceduto d’istinto e alla fine ho parlato egoisticamente dei miei film del Natale, quelli che amo condividere con i miei amici, quelli che anno dopo anno mi fanno compagnia durante questo periodo magico di festa, di luci, di carols, di cenoni, di palinsesti televisivi che puntualmente da vent’anni ci fanno vivere nella tragedia di come Fantaghirò abbia potuto scegliere quel salamelecco di Romualdo a Tarabas.

Buon Natale a tutti.

Vogliamoci cinematograficamente bene.

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