di Francesco Colombrita
«No Henry, no. L’Aids è una cosa che hanno solo gli omosessuali. Io ho il cancro al fegato». A parlare è Roy Marcus Con, il potentissimo avvocato di New York interpretato da Al Pacino nel film Angels in America (tratto dall’omonima pièce teatrale). Siamo sul finire degli anni Ottanta, sotto Ronald Reagan, e in poche parole questo anziano uomo di potere spiega al proprio medico per quale motivo non potrà scrivere sulla cartella clinica la vera natura del male che lo affligge. Nelle battute di un monologo magistrale, la sceneggiatura riesce a scolpire con precisione agghiacciante quell’insieme di ipocrisia e preconcetti che ha caratterizzato la percezione dell’Hiv.
Sono passati ormai trent’anni da quella decade che ha assistito alla nascita e al diffondersi di uno dei virus più tremendi di sempre. Periodo di lungo corso che ha visto una iniziale omertà e che solo a seguito di svariate, durissime, lotte ha dato spazio alla presa di coscienza dell’entità di ciò che stava accadendo. No, l’Aids non colpisce solo gli omosessuali. No l’Aids non colpisce solo i tossicodipendenti. No l’Aids non colpisce solo gli emofiliaci. No l’Aids non è una cosa che riguarda solo gli altri. Eppure ancora oggi c’è moltissimo da fare, ancora oggi è opinione diffusa che in un qualche modo siano solo certe categorie a doversi preoccupare, malgrado i dati parlino di tutt’altro.
Nel 2016, in Italia, sono state registrate 3451 nuove diagnosi di Hiv (uomini 76,9%; donne 23,1%), la maggior parte delle quali tra Msm (maschi che fanno sesso con maschi) e tra maschi eterosessuali. L’85,6% delle nuove segnalazioni riguarda controlli svolti a seguito di rapporti non protetti. Il 30,7% delle persone con una nuova diagnosi ha fatto controlli solo per l’emergere di sintomi e solo il 12% a seguito di controlli di routine (svolti abitualmente). I dati portano a riflettere anche sull’apparente minoranza della componente femminile per la quale è da segnalare un minore controllo dovuto a svariati fattori: un report delle Nazioni Unite, tuttavia, stima che tra i giovani che compongono il 41% delle nuove infezioni più del 60% siano donne.
Mettendo temporaneamente da parte le scoperte mediche che, anche se ancora lontane dalla cura, sono arrivate al punto di riuscire a tenere sotto controllo il virus (a fronte di una terapia farmacologica da assumere a vita), sembra chiaro che il luogo della battaglia rimanga quello della prevenzione. È lì che vanno ancora proiettati tutti gli sforzi ed è solo lì che si ha davvero la possibilità di cambiare le cose. Per l’Hiv e per tutte le Ist (infezioni sessualmente trasmissibili). Per questo è di grande importanza l’occorrenza del 1 dicembre che, dal 1988, è la Giornata mondiale contro l’Hiv, per questo è fondamentale documentarsi e parlarne, soprattutto di fronte a una società che con la pubblicità progresso Se lo conosci lo eviti ha posto un’aura viola estremamente stigmatizzante sulle persone sieropositive. Una società che considera ancora chi ha contratto il virus come un paria, un intoccabile, che porta negli occhi di Linda Evans la massima espressione di pregiudizio e ignoranza che, su questo tema, ha colpito e colpisce tutti noi.
Domenica 9 dicembre Metro-Polis dedica l’aperitivo a tema del mese alla tematica dell’Hiv. Come sempre al Centro Socio Ricreativo Culturale Stella, in via Savioli 3, alle 19 e 30!
Vi aspettiamo numerose e numerosi!