FARE IMPRESA IN DOZZA

L’impulso civico di cui Metro-Polis si fa portatrice trova molteplici vie di realizzazione nello svolgimento della nostra vita associativa: articoli, Aperitivi a Tema ed eventi mirati a scoprire realtà nuove, diverse e interessanti, tutte inquadrate nell’ottica di una reale esigenza di  cittadinanza attiva.
È in questa prospettiva che ci siamo approcciati e appassionati al tema del carcere e a tutti quei chiaroscuri ad esso legati: nodi dalla complessità potente e dalle ricadute importanti. In seguito all’Aperitivo a tema ad esso dedicato (‹‹Un occhio dentro al carcere››) , abbiamo chiesto a Francesco Errani, consigliere comunale di Bologna e nostro socio della prima ora, di scrivere per questo blog un articolo incentrato sull’istituto penitenziale di Bologna: ne è nata una serie di quattro scritti che pubblicheremo a cadenza mensile, quattro articoli in cui competenza e sensibilità vanno a restituirci la complessa dimensione in cui vive la Casa Circondariale di Bologna.
Nel ringraziare di cuore Francesco Errani per l’immancabile disponibilità, auguro a tutti voi buona lettura!

Mattia Macchiavelli

  1. Fare impresa in Dozza
  2. I lavoratori detenuti: Igli
  3. I lavoratori detenuti: Marco
  4. Casa Circondariale di Bologna: una risorsa per la città

FARE IMPRESA IN DOZZA

All’interno della Casa Circondariale di Bologna, la capienza di 494 detenuti è abbondantemente superata dalle 717 presenze, gli stranieri sono 385 (53,7%). Più del 65% sono detenuti non definitivi (314, di cui 206 stranieri). Le condizioni igienico-sanitarie sono drammatiche, sia per chi lavora che per chi è detenuto. Un terzo dei detenuti (254, circa il 35,4%) è imputato o condannato per reati collegati all’uso di sostanze (gli stranieri sono 170, il 66,9%).

In questa situazione, il periodo di isolamento, previsto dalla legge, non è possibile e neppure è realizzabile l’avvio del trattamento socio-educativo, previsto dall’ordinamento penitenziario.

La situazione drammatica delle carceri in Italia testimonia la crisi di un modello culturale e sociale, e la responsabilità di leggi come la Bossi–Fini e il Decreto Alfano-Maroni, due provvedimenti che aumentano le disuguaglianze e sottraggono diritti e tutele. La detenzione, che doveva essere l’estrema ratio, è diventata la normalità, in relazione ad una maggioranza di reati che prevederebbero la domiciliazione.

carcereIl carcere è prima di tutto esperienza di esclusione, negazione di appartenenza. Entrare in carcere comporta la perdita di autostima, la vergogna di dover offrire agli altri un’immagine degradata di sé e, progressivamente, genera la convinzione che la vita non valga più la pena di essere vissuta. Se non vogliamo che il carcere sia un processo di esclusione sociale e di disumanizzazione, scontare una pena deve poter essere un percorso che ristabilisce la giustizia e non che aggiunge ingiustizia. Occorre che il carcere possa essere vissuto come dovere, ma anche come diritto di pagare per un’azione ingiusta commessa nei confronti della società, di cui si è però legittimamente ancora parte, e c’è la necessità che anche questa esperienza drammatica lasci intravedere un futuro possibile.

L’esperienza del carcere deve proporsi come un tempo di riprogettazione di vita, che significa poter contare su di una prospettiva di realizzazione professionale, abitativa, culturale e di relazioni sociali. Serve un impegno attivo nelle politiche per il carcere e un serio e costruttivo confronto fra le istituzioni cittadine, le realtà economiche, le cooperative sociali e le associazioni di volontariato.

Ci sono alcuni progetti all’interno del carcere della Dozza che confortano questa prospettiva: il laboratorio sartoriale Gomito a Gomito promosso dalla cooperativa sociale Siamo Qua, operante all’interno della sezione femminile, che offre la possibilità alle detenute di imparare un mestiere; il laboratorio per il trattamento di materiali elettronici della cooperativa sociale IT2, in collaborazione con l’azienda Hera; l’officina meccanica promossa dalle imprese metalmeccaniche bolognesi IMA, GD e Marchesini Group.

Un’azienda metalmeccanica nel carcere di Bologna

Fare Impresa in Dozza (FID) è un’azienda meccanica istituita nel maggio 2012 nel carcere di Bologna da tre grandi imprese bolognesi leader a livello mondiale nel settore del packaging e dell’automazione industriale, e con una forte cultura di comunità e di radicamento nel territorio cittadino: GD, Marchesini Group e IMA.

L’impresa FID, che attualmente occupa sedici detenuti con un regolare contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, svolge la propria attività di assemblaggi e montaggi meccanici all’interno di un’officina appositamente strutturata all’interno del carcere, un vero e proprio reparto di fabbrica fornitore delle aziende GD, IMA e Marchesini Group.

La realizzazione di Fare Impresa in Dozza nasce da un duplice obiettivo:

  • creare un’occasione di occupazione all’interno della Casa Circondariale di Bologna;
  • costruire le condizioni per i lavoratori detenuti di accedere, al termine dei periodi detentivi, alla possibilità di un’occupazione in aziende metalmeccaniche del territorio.

1367303931-carcere10Nel 2008, l’idea di dar vita ad un’azienda nel carcere di Bologna nasce grazie al contributo del prof. Italo Minguzzi, Consigliere di Amministrazione dell’ente di formazione professionale Fondazione Aldini Valeriani e attuale Presidente dell’azienda Fare Impresa in Dozza. L’impresa prenderà vita solo quattro anni dopo, nel 2012, a causa della complessità di realizzare un’attività formativa e lavorativa in una struttura detentiva, come anche della difficoltà di far dialogare la cultura d’impresa con quella dell’esecuzione penale, realtà che avevano l’esigenza di conoscersi e comprendersi a vicenda.

La realizzazione è stata poi resa possibile dalla collaborazione fra la formazione professionale, le Istituzioni locali e le aziende del territorio provinciale. Le imprese GD, IMA e Marchesini Group hanno anche realizzato l’adeguamento di un’area del carcere, l’ex palestra, che è stata adibita ad officina meccanica e, grazie ad un finanziamento della Provincia di Bologna, è stata realizzata una formazione dedicata all’apprendimento della lettura del disegno e di semplici assemblaggi per venticinque persone detenute.

L’azienda FID, fornitrice delle tre aziende madri, funziona esattamente come una qualsiasi altra vera azienda, con un livello di retribuzioni in linea con i contratti nazionali in essere, nella quale i lavoratori, compatibilmente con i vincoli derivanti dall’essere detenuti, lavorano sei ore al giorno per cinque giorni ogni settimana e godono degli stessi diritti e degli stessi doveri di tutti i lavoratori.

Francesco Errani

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