Guardando al deserto

Guardando al deserto

Sahara occidentale: uno stato che esige libertà.
Come ogni volta in ritardo mi precipito il più velocemente possibile nell’aula Magna dell’università di Forlì. Oggi la professoressa ci ha informati che non ci sarà la solita lezione di diritto costituzionale comparato ma ascolteremo le parole di un ospite molto speciale: la rappresentante della presidenza del Sahara Orientale. Io non sono propriamente un asso in geografia perciò il fatto che questo stato non mi dica granché non mi sorprende particolarmente ma dal momento in cui anche i miei compagni di corso (che mi hanno preventivamente tenuto un posto consci della mia scarsa attitudine alla puntualità) mi paiano un tantino perplessi realizzo che, forse, le poche informazioni che il nostro cervello riesce a racimolare su questo stato e il suo popolo, i saharawi, non sono frutto della nostra evidente ignoranza in geografia ma di un problema internazionale volutamente insabbiato.Minurso
La storia che questa donna, venuta da così lontano, ci racconta è la storia di un popolo africano che dal 1976, quando crollò l’impero coloniale spagnolo, combatte e soffre per raggiungere una più che legittima indipendenza. La regione del Sahara Occidentale di cui viene rivendicata l’autonomia è ora sotto la sovranità marocchina da più di trent’anni nonostante l’intervento delle Nazioni Unite e il riconoscimento da parte dell’Unione Africana della Repubblica Democratica Araba Sahrawi. Ma cosa succede a questo popolo privato del suo territorio e costretto a rispettare istituzioni che non ritiene legittime?
Scappano. Se ne vanno dalla loro terra dove sono vittime di violenze e soprusi per fuggire in Algeria primo stato che invece riconosce la Repubblica Sahrawi. Qua, sul confine col Marocco, si organizzano in tendopoli che persistono tutt’ora.
Ascoltiamo ogni sua parola completamente rapiti, rendendoci conto che oltre il muro di Berlino o il Muro del Pianto esistono ancora tanti muri che l’uomo non è stato capace di distruggere e che dividono famiglie, amici e popoli dalle loro terre. Forse questo muro non sarà tangibile come quello che divideva Berlino ma può essere giudicato meno ingiusto? Io personalmente non credo. Credo anzi che se le informazioni che ci giungono su questo deserto che non possiamo conoscere o sondare personalmente, sono così poche e sporadiche è perché probabilmente l’obbiettivo è proprio quello di far scomparire completamente questi muri così insondabili ma paradossalmente più pregnanti e presenti di molte altre cose che possiamo toccare.
Ma al di là dell’esodo che sono state costrette a subire queste persone, perdendo parenti, amici, le loro abitazione e tutto ciò che caratterizzava le loro vite fino a quel momento hanno anche dovuto subire non solo un non indifferente danno ma anche una beffa, perché nel gennaio del 1992 l’Onu aveva promesso in accordo con il Marocco di presentare alla popolazione marocchina e ai sahrawi un referendum sullo statuto definitivo del Sahara Occidentale.
A parte la natura profondamente ingiusta di tale referendum determinata dal fatto che la popolazione marocchina fosse notevolmente più numerosa di quella saharawi, il suddetto referendum non è mai avvenuto e ancora oggi l’Onu permane nella regione per consentire l’esame di una nuova proposta di pace, che prevede un referendum entro 5 anni.
Ovviamente se questa situazione di sottomissione e prevaricazione da parte del Marocco persiste senza che ci siano stati reali interventi in soccorso del popolo Saharawi è dovuto principalmente al fatto che quello del Sahara Orientale sia un territorio estremamente ricco di risorse alle quali sono legati inevitabilmente molti interessi. La stessa Francia per questo motivo non riconosce il Sahara Orientale come stato autonomo.
Ci chiediamo quindi se durante questo periodo di allontanamento si siano sviluppate fra i Saharawi cellule terroristiche o gruppi sovversivi. La risposta della delegata ci spiazza completamente e anzi sembra quasi offesa da questo nostro dubbio. Dopo aver combattuto per 15 anni nel 1991 viene infatti posta fine alla guerriglia in seguito alla consapevolezza raggiunta da un popolo che ha già così tanto sofferto dell’impossibilità di conquistare la pace con la guerra, la vita nella propria terra con la morte di chi l’ha abitata. Le istituzioni sorte nei campi profughi tentano infatti di educare alla legalità e alla diplomazia mandando delegati nelle varie nazioni a parlare e raccontare di persona quello che accade al loro popolo. Lo sforzo e la dedizione che ho visto in questa persona che ci ha raccontato di come da anni lei e i suoi concittadini combattono senza sosta per l’autodeterminazione mi ha fatto riflettere su come l’informazione e la parola siano sempre i mezzi migliori per cambiare le cose e soprattutto combattere le ingiustizie. La violenza non può che generare altra violenza, chi meglio di noi italiani che abbiamo vissuto anni di strategia della tensione e il terrorismo delle brigate rosse proprio sulla nostra pelle ne ha consapevolezza? Non sempre il fine giustifica i mezzi anche se esso appare un fine giusto e importante ma difficilmente raggiungibile. La legalità e la legittimità delle istituzioni sono state grandi conquiste ed i saharawi ce lo ricordano con il loro grande coraggio.

Federica Stagni

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