L’ODISSEA DEL LIBRO PERDUTO – CIRCE

«Andiamo» mi disse Lusa appena risaliti in macchina.
«Dove?»
«Hai parlato di un ospedale, no? Sarà lì.»
«Speriamo! Anche se, ora che ci penso, potrebbe essere una dottoressa o un’infermiera e fare il turno di notte.»

Misi in moto la macchina, pieno di speranza. L’idea di trovarla mi dava la carica. Sfrecciammo per le strade della città nel buio della notte: e non sapevo più se ero io a percorrere quelle vie o se erano loro ad accompagnarmi. Stanchezza e speranza si unirono in quel momento.
Parcheggiammo e subito entrammo, passando sotto l’insegna “Pronto soccorso”.
All’interno ci accolse una grande confusione. Una fauna di malati di ogni genere. Chi era fasciato a un braccio, chi era pallido e chi, invece, era sdraiato su un lettino, troppo debole persino per stare seduto.
Guardai quelle persone e non le invidiai, ringraziando il motivo per cui mi trovavo lì.
Lusa si avvicinò immediatamente al bancone dove un’infermiera accoglieva le varie persone. «Salve, noi…»
«Allora, qual è il problema del suo amico?» chiese la donna a Lusa, dando per scontato che fossi io il malato.
«Di problemi ne ha sicuramente tanti, ma noi…»
«Sia preciso. Mal di testa, di stomaco, intestino, gola… altro?»
«No, niente del genere.»
«Allora vi do un codice bianco. Nome?»

10 - LusaLa donna, così sbrigativa e dura mi colse alla sprovvista. Restai in silenzio a bocca aperta, mentre Lusa rispondeva diligentemente alle domande, fornendo le mie generalità. In men che non si dica mi trovai con un foglio, seduto tra altre persone, in attesa di essere chiamato, mentre su uno schermo compariva la scritta: “Codice bianco: tempo d’attesa previsto 3h”.

Lusa sedette al mio fianco, sorridente, convinto che quella attesa potesse portargli qualche risultato.
Ci vollero almeno cinque minuti prima di riordinare i pensieri.

«Lo sai cosa stiamo aspettando?»
«Di poter parlare con qualcuno e chiedere di Annalisa.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, ci hanno dato un foglio per avere il nostro turno.»
«Ehi, sveglia!» gli dissi, schioccando le dita davanti al suo viso. «Siamo in un ospedale e quello che ci hanno dato è il turno per essere visitati. Anzi! Per visitare me.»
«Ma non sei malato. O sì?»
«No che non lo sono!»
«Allora perché ti sei fatto dare il turno?»
«Io non lo volevo! Sei tu che hai dato i miei dati.»
«Ma la signorina mi ha chiesto…»

Sospirai, sfinito.

«Senti, Lusa. Di sicuro non possiamo stare qui ad aspettare tre ore. Bisogna riuscire a parlare di nuovo con quella donna e a chiederle se qui c’è Annalisa.»
«Ok» mi rispose il mio amico con una calma che invidiai. «Allora vado.»
«Buona fortuna!» gli augurai con tono sarcastico.

Non seguii Lusa, quella volta. La donna al bancone era chiaramente scorbutica, sbrigativa e maleducata. Esattamente l’opposto della parola scritta sul cartello sopra di lei: “Accoglienza”.

Guardai la gente attorno a me: sembravamo degli animali. Chi era ferito, chi si lamentava, chi sospirava, chi si faceva coccolare da un parente o da un fidanzato o da una moglie. Nessuno di noi, in una situazione simile è totalmente lucido. L’ora della notte, l’attesa, il dolore, la paura della diagnosi, l’impazienza: tutto questo caos di emozioni e sensazioni ci travolgeva, rendendoci come maiali, immersi nel fango, in attesa di ricevere nutrimento.

Qualcosa, però, accadde. E quel che successe, accadde tra Lusa e quella donna. Non sono mai riuscito a capire cosa si siano detti, ma da lontano, ricordo bene i loro gesti. Vidi l’espressione buffa di Lusa far capolino sul suo volto, vidi la donna diventare sempre più rossa nel tentativo di spiegare qualcosa. Le sue mani si agitavano nell’aria, come se stesse cercando di lanciare un qualche incantesimo.

Lusa, invece, sicuro, immobile, ascoltava con attenzione e ribadiva con frasi brevi. O forse delle domande. Non mi stupirei se avesse  posto molti “perché”.

Dopo poco, però, la donna si calmò e scoppiò a ridere, mostrando un sorriso che non avrei mai immaginato potesse avere sotto quella dura scorza.
Tutti i pazienti in sala si voltarono a osservare la scena, catturati da quel sorriso, da quella piccola atmosfera di sollievo, di serenità. Forse quel clima li avrebbe contagiati?
Lusa e la donna passarono molto tempo a chiacchierare. Sembrò trascorrere tutta la notte, anche se in realtà fu questione di un’ora.

Al suo ritorno, Lusa mi disse semplicemente: «Annalisa non è qui.»
«Come?»
«Non è qui. Bisogna cercare ancora.»
«Sei sicuro?»
«Sì.»
«D’accordo, ma… cos’è successo con la donna?»
«Abbiamo parlato.»
«Di cosa?»
«Non posso parlarne. Sono discorsi legati alla biblioteca. E c’è una privacy che devo rispettare.»
«Non puoi proprio dirmi nulla?»
Lusa mi sorrise e sembrò arrossire un po’. «No.»
Decisi di non insistere. «D’accordo, andiamo. Anche se non so dove.»
«Io sì!» ribatté Lusa, con aria da saputello.
«Dove?»
«Prima saliamo in macchina» mi disse con aria di mistero.

Mentre uscivamo, Lusa si voltò a salutare la donna. Mi voltai anch’io per rivedere quel volto illuminato da un sorriso. Quel sorriso, figlio di un incontro tra Lusa e quella donna, che come la maga Circe, era stata sconfitta dall’astuzia del suo avversario. In questo caso, un’astuzia davvero particolare!

Francesco Tarud

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