L’ODISSEA DEL LIBRO PERDUTO – LE SIRENE

Io, Lusa e i quattro ragazzi stavamo spingendo l’auto nel cuore della notte.

Gli altri ridevano, scherzavano e cantavano nel cuore della notte, mentre io ero l’unico a vedere la situazione per come stava: eravamo senza macchina, alle quattro e mezza del mattino a più di un’ora a piedi dalla nostra meta, senza nemmeno un soldo per un taxi.

«Potete fare un po’ di silenzio!» sbottai a un certo punto, seccato.

Tutti mi guardarono stupiti.
Il ragazzo tedesco mi guardò con un sorriso sornione. Poi intonò una nuova canzone nella sua lingua. Dal rossore sempre più acceso delle sue guance e dalla risata facile che lo scuoteva, intuii che le parole del suo canto non dovevano essere adatte alle orecchie di tutti.

Rassegnato all’idea, domandai a Roberto, l’amico di Lusa: «Quanto manca per questo meccanico?»

«Ormai ci siamo, siamo oltre metà strada.»

Ma a quel punto, accadde.
Giunse a noi leggero, soave, con grande dolcezza e delicatezza. Da principio non si fece quasi notare, ma lentamente ci avvolse. Si palesò solo quando ci tolse ogni via di fuga. Ci aveva circondato, riempiendo completamente l’aria. Ormai non c’era un luogo sicuro.
Sapevo subito che qualcosa sarebbe andato storto, ma il piacere che provai subito dopo annebbiò il mio giudizio.
Era così dolce, così pieno, così intenso da penetrare la carne, da attivare ogni singola cellula del corpo. Era come un fremito che dalla testa si espandeva al corpo, fino alle punta delle dita, per poi sprofondare nelle viscere e risvegliare lo stomaco.
Già, perché l’aroma che arrivò ai nostri nasi fece venire l’acquolina in bocca a tutti noi.

12 - Lusa«Krapfen!» gridò il tedesco.
«Croissant!» gli fece eco il francese.
«Bomboloni!» si unì Roberto.
«Magnifique!» esclamò il ragazzo più silenzioso.
«Di là!» indicò Lusa, seguendo l’odore.

E in men che non si dica, la macchia restò ferma in mezzo alla strada, mentre il gruppo si staccava e andava verso la fonte così attraente di quel misto di dolci aromi.
Sconfitto dalla stanchezza, dalla fatica e dalla fame, li seguii.
Dietro l’angolo, stava aperto un piccolo forno, assediato da una folla di giovani. I bomboloni e le paste appena sfornate erano un invito impossibile da rifiutare.

«Ragazzi, offro io per tutti!» esordì Roberto, il cui sguardo era fisso su un cornetto gonfio di cioccolata.

Una vocina dentro di me continuava a dirmi che era una pazzia, ma lo stomaco aveva ormai preso il sopravvento.
Quando arrivò il mio turno, rimasi incantato dalla scelta. Il mio sguardo passò in rassegna l’intera scelta, ma si fermò su un cornetto. La sua forma, così perfetta, curva, mi ricordava la coda di una sirena appoggiata su uno scoglio. Il suo dolce canto era quell’aroma così vero e intenso, quell’aspetto così fragrante e meraviglioso.

«Prendo quello!»

Lusa, alle mie spalle, mi rubò il posto e, ancora peggio, rubò il mio cornetto, la mia sirena.
E fu lì, che realizzai.
I ragazzi che ci aiutavano a spingere si erano già seduti per terra ad addentare i loro bomboloni. E nel sedersi si erano ormai arresi alla notte e alla stanchezza. Capii, in quel preciso momento, che non li avrei più fatti rialzare.
L’alcol e la stanchezza dopo la notte di bagordi li avevano ormai vinti. Il bombolone sarebbe stata la dolce sconfitta, la cremosa trappola che li avrebbe fatti arrendere.
E al loro ultimo morso ne ebbi la certezza.
Ormai persi nell’oblio dello zucchero, ci salutarono e si incamminarono verso casa.

«Lusa, se ne stanno andando!»
«Chi?»
«Roberto e gli altri. Come facciamo a spingere la macchina, adesso?»
«Ci mettiamo dietro la macchina e con le mani spingiamo, mentre facciamo forza con le gambe.»
«Senti… “Ladro di cornetti”» iniziai, scherzando, «più avanti la strada va in salita e in due non ce la facciamo a spingere l’auto!»
«Non sono un ladro di cornetti!»
«Ok, sto scherzando… ma questo non cambia che non ce la facciamo a spingere.»
«Allora andiamo a piedi.»
Sospirai. «Presumo tu abbia ragione… ma almeno cerchiamo di spostare l’auto da in mezzo alla strada.»

Mentre tornavamo alla macchina, dopo esserci ristorati, mi chiedevo perché Lusa, pur avendo mangiato la mia sirena, non ne avesse subito l’effetto. Forse, proprio per la sua peculiarità: il canto di questa creatura è un invito a qualcosa che verrà, a un desiderio soddisfatto, ma Lusa non vuole niente che sia oltre il suo adesso, il suo qui e ora.

«Sai, Lusa, sono felice di accompagnarti questa notte.»

Mi sorrise.

Entrambi ignoravamo che il peggio doveva ancora arrivare. E che quella notte ci avrebbe riservato ancora delle sorprese…

Francesco Tarud

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