ODISSEA DEL LIBRO PERDUTO – TERRA DEI FEACI

Ogni giorno andai a trovare Lusa.

E ogni giorno, Lusa si sorprendeva della mia visita, guadagnandone in umore e di conseguenza in salute. La sua ripresa, infatti, fu rapida, rallentata solo da Claudia, l’infermiera.

Nonostante i medici fossero dell’idea di poter dimettere il paziente, la donna si oppose con tutte le sue forze. Disse che c’era bisogno di riposo, che era necessario tenere sotto osservazione Lusa, finché non avessero avuto la certezza della sua guarigione.

Ovviamente, capimmo tutti, tranne Lusa stesso, che il vero malato non era lui, ormai, ma Claudia, malata d’amore per il mio amico.

Ogni volta che arrivavo al reparto, venivo aggiornato dai medici e dagli altri infermieri sulle condizioni della donna, piuttosto che sulla situazione di Lusa!

«Oggi gli ha portato dei fiori» mi raccontavano. «Oggi i cioccolatini!», aggiungeva il dottore. «E poi è rimasta a leggergli un libro finché non si è addormentato».

Sorridevo a ogni nuova trovata della donna. Sorriso che prontamente nascondevo non appena entravo nella stanza di Lusa. Guai, infatti, a far capire a Claudia che sapevamo!

«Allora, come stai, oggi?».
«Male».

A questa parola, l’infermiera si alzò subito, in preda al panico. «Che cos’hai? Devo chiamare il medico? Devi andare in bagno? Vuoi da mangiare? Da bere? Un cuscino in più, uno in meno? Una coperta? Oppure… insomma, parla, ti prego, dimmi cosa ti serve!».

«Se lo lasciassi parlare…» borbottai.
«Cos’hai detto?».
«Niente… dicevo solo che magari gli dà fastidio la ferita…».
«È così?».
«No, no, sto male perché quel libro non è ancora tornato alla biblioteca! E io sono qui, invece di cercare Annalisa!».

A quelle parole mi scappò un sorriso.

«Ti sembra divertente?».
«Senti, Claudia…»,
«Signorina!».
«D’accordo… signorina Claudia, sorrido perché ammiro il suo spirito così determinato».

ospedale_03A quel complimento, l’infermiera si sciolse un po’: «Sì, il mio paziente è così forte e bravo! È un vero piacere e onore potergli prestare le mie cure».

«Quand’è che posso uscire?» domandò Lusa.
«Presto!» rispose la donna, restando vaga.
«Davvero? Ottimo!» Lusa si illuminò: per lui, quella risposta era una promessa, una verità. E quel presto, per quanto indefinito, indicava poco tempo. «Hai sentito? Uscirò presto!».

«Presto, quando?».

Claudia aprì bocca per rispondere, ma venne interrotta da qualcuno che bussò alla porta.

«Chi è?» domandai.
«Polizia, possiamo entrare?».

Aprii la porta, anticipando qualsiasi reazione dell’infermiera, trovandomi davanti due uomini in uniforme, seri e dallo sguardo scrupoloso.

«Buongiorno, agenti, è successo qualcosa?».
«Siamo stati avvertiti dall’ospedale dell’accaduto e siamo qui per ascoltare una deposizione della vittima e di chi era presente».
«Io ero insieme a lui» dichiarai, indicando Lusa.
«E lei, signorina?».
«Io… ecco…»
«No, lei non c’era» rispose Lusa.
«Allora dobbiamo chiederle di uscire. Vogliamo parlare solo con i due interessati».

Evidentemente offesa, Claudia raccolse le sue cose e si preparò ad uscire dalla stanza. Ma prima di andarsene, si avvicinò a Lusa e gli stampò un bacio sulla fronte, per poi sussurrargli qualcosa all’orecchio. Il mio amico arrossì, mentre faceva sì con la testa.

Rimasti soli, i due agenti si accomodarono. «Allora, cominciamo dal racconto degli eventi. Diteci cos’è successo».

Lusa cominciò: «È iniziato tutto quando una ragazza iscritta alla biblioteca del quartiere non ha riconsegnato il libro entro la scadenza».
«Come, scusi?».
«Questa ragazza, Annalisa, doveva riconsegnare un libro, ma…».
«Sì, ho capito, ma questo cosa c’entra con l’aggressione?».
«Io e il mio amico siamo partiti per rintracciare la ragazza, ma prima di trovare una pista c’è voluto un po’. E quando…».
«Mi scusi, ma continuo a non capire… tutto questo ha a che fare con i due rapinatori?».

A quel punto decisi di intervenire. «Vede, agente, è una storia un po’ lunga quella che ci ha portato all’incontro con quei due delinquenti. Se vuole possiamo andare direttamente al sodo…».

Il primo agente stava per dire di sì, ma l’altro lo anticipò: «Io sono curioso: raccontaci tutta la storia».

«Molto bene. Allora mettetevi comodi, perché ne sono successe tante in una sola notte…».
«Eravate così vicini alla vostra meta e per colpa di una coltellata avete dovuto rinunciare?».
«Io non ho mai rinunciato! Sono solo bloccato qui» dichiarò Lusa, colpito nell’orgoglio da quel commento.
«È incredibile!».
«Già, e nonostante siano già passati 7 giorni da quella notte, il libro non è ancora tornato alla biblioteca. Per cui siamo pronti a riprendere la nostra ricerca, non appena lui sarà dimesso».
«Ma, scusate…» iniziò uno dei due agenti. «So che può sembrare un’idea stupida, ma non potete telefonare a questa Annalisa, invece di attendere le sue dimissioni dall’ospedale?».

Fu l’altro agente a rispondere: «E rinunciare a raggiungere la loro meta? Dai, agente Gobbi, un po’ di spirito d’avventura! Comunque…» continuò, «tornando al motivo della nostra visita, ora grazie a voi abbiamo un identikit. Faremo del nostro meglio per rintracciare i due aggressori. Nel frattempo, se volete, possiamo darvi una mano».

«E come?» domandò Lusa.
«Scortandovi fino alla vostra meta».
«Sarebbe magnifico! C’è solo un piccolo problema… non lo dimettono ancora».
«E come mai?»
«Ecco…» iniziai, prendendo in disparte gli agenti e abbassando il volume della voce, «L’infermiera si è innamorata e non vuole lasciarlo andare via».

I due uomini scoppiarono a ridere, per poi ridere ancora più forte alla faccia di incomprensione di Lusa che, ovviamente, non aveva ancora capito la situazione.

«Direi che possiamo risolvere anche questo» dichiarò l’agente Gobbi. «Parleremo col medico e se darà la sua approvazione, lo faremo dimettere subito. E a quel punto, vi daremo il passaggio promesso».
«Su un’auto della polizia?» chiese Lusa, illuminandosi.
«Certo!».
«E accenderete la sirena?» domandò, con occhi pieni di sogno e meraviglia, proprio come un bambino.
«Non dovremmo, ma forse faremo un’eccezione alle regole» disse l’agente, facendo l’occhiolino.

I due uomini uscirono. Mentre li osservavo parlare con il medico, pensai che erano stati come i Feaci per Ulisse: anche loro ci avevano ascoltato, credendo alle nostre strane avventure, dandoci un piccolo aiuto nella nostra ricerca. Ormai la meta sembrava a portata di mano!

Francesco Tarud

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