ULISSE: CHI ERA COSTUI?

di Roberta Merighi

Assistevo, tempo fa, alla trasmissione televisiva Passato e Presente condotta su Rai 3 da Paolo Mieli. Una trasmissione che tratta quotidianamente di fatti o personaggi storici, ma anche di fatti o personaggi letterari. Tutti fanno parte, comunque, del nostro patrimonio culturale, li ritroviamo e li abbiamo letti nei libri su cui tanti studenti si sono misurati.

Argomento della puntata era Il Cavallo di Troia, episodio conclusivo della guerra di Troia e dell’Iliade di Omero. Inevitabilmente il discorso si è incentrato sul personaggio che aveva partorito l’inganno del cavallo, ossia Ulisse, che diventa poi il protagonista dell’Odissea. Ulisse è così riemerso alla nostra memoria, attraverso le parole dello storico intervistato, nelle sue caratteristiche: uomo scaltro e menzognero che durante la guerra ricorre più volte all’inganno, e che nella lunga strada intrapresa per ritornare a Itaca incontra ostacoli e affronta pericoli e tentazioni che supera non solo con l’aiuto di divinità contro altre divinità a lui avverse, ma con la stessa furbizia e astuzia che già gli avevamo visto usare per sconfiggere Troia. L’Ulisse omerico è quindi anche uomo di ingegno, dotato di quella creatività atta, come direbbe oggi la psicologia, al problem solving, ma anche uomo coraggioso, sorretto dall’intento di far ritorno all’amata Itaca, all’amata Penelope e al figlio Telemaco. Continue reading

EDITORIALE: LINGUE ROSSE

Di Mattia Macchiavelli

«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona»

Dante. Naturalmente. Perché La divina commedia è l’alfabeto linguistico e sentimentale di ciò che siamo, ma anche perché ricordo distintamente quando, per la prima volta, mi resi conto della potenza di quelle parole, termini che sanno parlare direttamente all’intimo di ciascuno di noi. Era una mattinata sonnacchiosa, forse le ultime ore di un venerdì scolastico, e la mia insegnante di letteratura ci stava spiegando il quinto canto. Arrivati alle parole di Francesca, ostinatamente stretta a Paolo per l’eternità, le spiegazioni si sono per un attimo arrestate e, d’un fiato, abbiamo letto e riletto le terzine. Eccolo il potere, struggente e irresistibile, delle parole. Versi interi che penetrano la carne, suonano, risuonano e ti sconquassano tutto.
Versi che raccontano d’amore: non un amore qualunque ma un sentimento totalizzante, impietoso, che sfida ogni empietà sfidando Dio stesso. Continue reading

RUBRICA ASTROLOGICA – LEONE (parte 1)

IL LEONE

  1. IL LEONE: IL SOLE
  2. LA DONNA LEONE
  3. LEONE  E POTERE.

1. IL  LEONE:  IL SOLE

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Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
(Francesco d’Assisi. Cantico delle creature)

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
(Ungaretti. I fiumi)

Con il Segno del Leone ci troviamo nel momento culminante dell’estate, il sole brucia, la luce è abbagliante. Ed è il Sole il protagonista del Segno.
Nel Cancro è il domicilio della Luna, la parte femminile, la Madre.
In Leone, invece, vi è il domicilio del Sole che in astrologia rappresenta l’io, il centro dell’identità, ma anche il principio maschile, la figura del padre e di ogni persona di potere.

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RUBRICA ASTROLOGICA – GEMELLI (parte 3)

3.  DANTE  GEMELLI?

 

Né dolcezza di figlio, né la pièta

del vecchio padre, né il debito amore

lo qual dovea Penelopé far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore

ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,

e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto

sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto

[…]

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi

Quando venimmo a quella foce stretta

Dov’Ercole segnò li suoi riguardi,

Acciò che l’uom più oltre non si metta:

[…]

“O frati”, dissi, “che per cento milia

perigli siete giunti all’occidente,

a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente

non vogliate negar l’esperienza,

di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza”.

Li miei compagni fec’io sì aguti,

con questa orazion  picciola, al cammino,

che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,

de’ remi facemmo ali al folle volo […]

(Inferno canto XXVI)

Tutti ricordiamo e forse le abbiamo addirittura imparate a memoria, le parole utilizzate da Ulisse per spingere i compagni all’ultimo e più pericoloso dei viaggi. «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».

Siamo nel canto XXVI dell’Inferno. Il Canto di Ulisse. Ulisse il viaggiatore è di fronte a Dante, il pellegrino. Tanto simili, tanto diversi il viaggio di Ulisse e il viaggio di Dante. Il viaggio di Dante è voluto dal cielo «vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare» dice Virgilio, guida di Dante a Caronte e a Minosse. Il pagano Ulisse, invece, osa varcare le Colonne d’Ercole, il confine tra il mondo terreno e l’Aldilà e per il suo viaggio non può quindi esserci un lieto fine.

Eppure sentiamo che Dante infonde nel personaggio di Ulisse la sua stessa sete di conoscenza.

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