LE PELLICOLE DI ANTONIO: “STAR WARS” – UNA BREVE DISAMINA DELLA TRILOGIA ORIGINALE CINEMATOGRAFICA

…e mentre Star Wars – Episodio VII Il Risveglio della Forza è diventato il 3° incasso della storia del cinema…

…Si può cominciare così questo racconto: mettendo subito in chiaro che, agli albori di questo pezzo di storia (non solo cinematografica), esisteva un solo e lungo soggetto, dal titolo Le Guerre Stellari, che le maggiori major avevano rifiutato e che, invece, il giovane fondatore e produttore della Ladd Company aveva portato alla 20thCentury Fox, convinto dal suo autore, l’allora sconosciuto e giovanissimo regista californiano George Lucas.
Il suo film d’esordio nel mondo cinematografico (American Graffiti) non era ancora stato distribuito nelle sale americane, sebbene Lucas stesse già da tempo a testa china su un “monumento” di (ancora) fumo che sarebbe stato volutamente legato (artisticamente) all’uscita definitiva degli Stati Uniti dall’avventura guerrafondaia e criminale del Vietnam, dalle bugie del Watergate e dagli anni nefasti del Nixianesimo alla Casa Bianca.
Ciononostante, quello che ormai veniva a essere il primo Star Wars del 1977 (dal 1999 EPISODIO IV -Una Nuova Speranza) sembrava essere proprio agli antipodi rispetto ai film realisti e politici di quegli anni di Hollywood (disimpegnato sia da un lato che dall’altro della barricata): nessuna sfumatura tra bene e male, eroi senza macchia e senza paura, neanche una goccia di sangue, una sorta di spiritualismo quasi suggerito.
Flash Gordon (nelle dichiarazioni di Lucas) è stata la massima fonte di ispirazione, oltre al “pittorismo” alieno di Griffith e Riefensthal, coadiuvato da una rilevante ammirazione per la filosofia orientale e per l’eleganza dei codici d’onore dei samurai.

La totalità di tutto ciò e quello che effettivamente seguirà sarà, a conti fatti, il più grande successo commerciale degli anni ’70 e l’avvio della saga cinematografica più seguita e amata della storia, il tutto introdotto e suggellato da una semplice scritta color verde-acqua fiabesca: «Tanto tempo fa in una Galassia lontana lontana…». Con Star Wars i movie brats – che avevano conquistato, nella Hollywood boccheggiante di fine anni ’60, un potere mai avuto prima – decretarono, proprio con i loro più grandi successi, la fine di quell’utopia realizzata, che aveva prodotto sino a quel punto, un nutrito gruppo di capolavori, capaci di resistere al tempo e alle mode.  Lucas (insieme al primo Spielberg) è stato, in fondo, il fondatore specifico della “Nuova Hollywood”, uomo di affari più abile di tutti coloro che guidavano le major di allora, capace di interpretare al meglio il palato del pubblico e di assecondarlo con un riuscito mix di nostalgia ‘tradizionale’ e un certo progressismo moderato (nel primo Star Wars elementi ancora appena accennati, a dire il vero), che ha fatto la fortuna sua e della New Hollywood da allora fino ad oggi.


Il capostipite della Trilogia Originale è il film omonimo del 1977, Guerre Stellari, per la regia di George Lucas, ri-intitolato nel 1999 Episodio IV – Una nuova speranza dallo stesso Lucas alle prese con la realizzazione della Prequel Trilogia.

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La principessa Leia Organa, che guida il gruppo dei ribelli, è entrata in possesso dei piani di costruzione della Morte Nera, una base spaziale talmente impenetrabile da essere considerata un’arma decisiva, per il successo della guerra. La sua astronave sta rientrando alla base, quando viene attaccata dalla flotta imperiale, condotta dal gigantesco Darth Vader: celato da una maschera nera impenetrabile, il respiro ansimante, usa il potere del Lato oscuro, per vincere ogni resistenza.
Prima di venire catturata, Leia riesce ad occultare i piani della Morte Nera nel droide R2D2, che assieme al robot di rappresentanza C3PO, viene inviato sul pianeta Tatooine, con il compito di trovare l’anziano Obi Wan Kenobi e consegnargli le cianografie.
I due droidi vengono catturati e venduti a Owen Lars, che vive nel deserto con la moglie Beru e il nipote Luke Skywalker. Quando il giovane scopre la loro missione, li porta dal vecchio Ben Kenobi, una sorta di solitario eremita, che vive su Tatooine da molti anni.
Kenobi istruisce Luke sui segreti della Forza, un campo di energia generato da tutti gli esseri viventi, che pervade l’universo e tutto ciò che esso contiene, venerato dai Cavalieri Jedi che sono in grado di sfruttarlo per ottenere poteri sovrannaturali. Obi Wan gli racconta la filosofia dei cavalieri Jedi e lo mette in guardia dal malvagio Darth Vader, responsabile della morte di suo padre, durante la Guerra dei Cloni.
Quando i soldati imperiali uccidono lo zio Owen, a Luke non rimane altro che seguire Obi Wan per cercare di apprendere le vie che conducono alla Forza.
Nel tentativo di salvare la principessa Leia, Obi Wan assolda il contrabbandiere Han Solo, con il fidato assistente Chewbecca.
A bordo del Millennium Falcon, i quattro si dirigono verso la Morte Nera: riescono a liberare la principessa, ma non possono evitare lo scontro con Darth Vader…

Star Wars – Episodio IVpreso da solo, possiede tutte le credenziali che hanno suggellato il successo del franchise: il meraviglioso ottimismo della volontà, che trascende il tradizionale viaggio dell’eroe, trasporta una semplice favola di crescita interiore in un’avventura fantastica, fuori dallo spazio e dal tempo.

Con una buona dose di sincretismo culturale, che allora era indubbiamente la vera forza del film, e che in buona parte va ascritto a Gary Kurtz, Lucas costruì un grande romanzo popolare, che trovava linfa vitale tanto nella tradizione arturiana e nelle suggestioni dei film d’avventura degli anni ’30, quanto nelle passioni più personali del suo autore, da Akira Kurosawa con il suo I sette samurai fino al capolavoro langiano di Metropolis, fino a una visione addolcita e ottimistica (sia ludicamente che testualmente) di Freaks del grande Ted Browning.

Ogni personaggio possiede i celeberrimi topoi della favola hollywoodiana fanciullesca ma non banale: Obi Wan Kenobi è il maestro, la guida spirituale, il giovane e ingenuo eroe protagonista: il contadino Luke Skywalker, il contro-eroico ribaldo e sbruffone (ma dal cuore d’oro) Han Solo, la principessa in pericolo Leila Organa e, infine, il cattivo “da antologia”, il capolavoro visivo e imperscrutabile di Darth Vader (Fener in italiano). Detto fatto! A Lucas non restava altro che dedicarsi alle sfumature e ai personaggi di contorno, anch’essi strepitosi ed entrati di diritto nella storia: gli indimenticabili e “cabarettistici” androidi R2D2 e C3PO,  il gigante bonaccione Chewbecca, il malvagio e sparvieristico Gran Moff Tarkin etc…

La colonna sonora di John Williams, di stampo sinfonico e iperclassico, divenne celeberrima, soprattutto per il tema iniziale e, in seguito, anche per l’immortale Marcia Imperiale.

Il film vinse 7 Oscar tecnici e fu nominato anche nelle categorie principali – film, regia e sceneggiatura.  Il team che curò i prodigiosi effetti speciali fu il fulcro della nascente Industrial Light and Magic. Particolarissimo il lavoro di Ben Burtt sul sonoro – dalle spade laser alle voci di Chewbecca, Darth Vader e R2D2 – capace di mescolare suoni presi dalla natura con distorsioni da sintetizzatore.

L’importanza storica e culturale del film ha indubbiamente superato ogni valutazione strettamente cinematografica, eppure le avventure spaziali di Han, Luke e Leia funzionano ancora oggi perfettamente, grazie al miracoloso equilibrio narrativo del film, alla freschezza delle interpretazioni ed allo spirito pionieristico dei suoi autori.

La semplicità dell’intreccio, con il bene ed il male nettamente distinti, anche da un punto di vista cromatico – con Luke e la principessa vestiti di bianco, il Gran Moff e Darth Vader di nero – finiva per essere un pregio, in questo caso. Tra l’altro, la perfetta chimica fra i tre attori protagonisti e il tono scanzonato, con il quale affrontarono quello che a Lucas sembrò invece un set infernale, resero giustizia a personaggi che sulla carta non sembravano avere grande vitalità. Non si può dire, infatti, che Lucas fosse mai stato un grande scrittore di dialoghi e sceneggiature, né ha mai avuto una grande pazienza nel lavoro con gli attori, ma l’intuizione di usare i ritmi della “commedia sopra le righe” scanzonata nei rapporti fra i tre personaggi fu senza dubbio vincente. Le schermaglie amorose tre Han e Leia, così come il controcanto surreale fra C3PO e R2D2, rendono appassionanti tutti i momenti in cui l’azione si ferma.

È lecito a questo punto chiedersi se questo capostipite avrebbe avuto la stessa importanza se fosse rimasto una goleada ricca e irripetibile del suo giovane creatore, cioè se non avesse generato seguiti cinematografici, animazioni a cui si richiama, merchandising globale etc… insomma sì, tutto quello che generalmente si associa al fenomeno Star Wars? Facile chiederselo, difficilissimo rispondersi. Una cosa è certa e pacifica: dal punto di vista narrativo non ci sono molti dubbi: il capostipite Star Wars – Episodio IV Una nuova speranza è il film più riuscito e compatto dell’intera serie cinematografica,  l’unico episodio compiuto e auto-conclusivo; unico episodio questo in cui, tra l’altro, manca una certa fastidiosa “spinta” di reazione reaganiana (elemento che ha caratterizzato quasi per intero la Hollywood anni ’80 e primi ’90…) che invece fa capolino, anche se con moderazione, nei due capitoli successivi; tutto quello che è venuto dopo ha, in qualche modo, turbato la perfetta armonia di quella celebrazione finale… e il totale tono favolistico avulso da qualsiasi propulsione politica e geopolitica di quegli anni (siamo nel 1977).


Mentre negli Stati Uniti e nell’intero mondo occidentale era esploso il mito Star Wars e impazzavavo a più non posso la “Skywalker e Darth Fener-mania”, Lucas era al lavoro sul trattamento del suo secondo film L’Impero colpisce ancora, con l’obiettivo di gestire al meglio l’evoluzione della saga.

Nella mente e nel cuore di Lucas il titolo del capostipite già cambiava e diventava Episodio IV – Una nuova speranza, mentre il piano si espandeva, potenzialmente, sino a nove capitoli. I profitti del primo film erano così ingenti che Lucas decise di produrre l’Episodio V in solitaria, cedendo alla 20th Century Fox solo i diritti di distribuzione.

La primissima bozza della sceneggiatura originale del film portava la firma della talentuosa Leigh Brackett, romanziera e autrice americana di saghe fantasy e fantascientifiche, malasorte volle che la Brackett riuscì a consegnare solo una bozza (per l’appunto) visto che si spense nei primi mesi del 1979 a causa di un tumore; lo script passò quindi nelle mani del giovane Irvin Kershner  che stava già scrivendo lo script del primo capitolo della saga spielbergana per eccellenza: Indiana Jones.
È alquanto importare soffermarsi su due elementi che contraddistinguevano il primo script della Brackett: e cioè l’assenza, in quella sceneggiatura, delle due rivelazioni chiave, grazie alle quali il regista californiano ha fondato l’essenza di questa saga (stessa caratteristica -subito accantonata- presente anche nella primissima stesura del capostipite del 1977): nessun rapporto personale e familiare lega Darth Vader, Luke Skywalker e la principessa Leila.
È risaputo che George Lucas sul set del primo film fu vittima di veri e propri reiterati esaurimenti nervosi, oltre a che di veri e propri attacchi di panico vista la posta in gioco e la potenzialità storica del prodotto che era in via di realizzazione… ecco spiegata dunque la sua rinuncia, nel 1980, alla regia de L’Impero colpisce ancora; la direzione del film venne affidata al giovane ma talentuoso Irvin Kershner, già prima menzionato.

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L’alleanza dei ribelli, con Luke, Leia e Han Solo, si è rifugiata su Hoth, un pianeta di ghiaccio: l’Impero è sulle loro tracce e ha mandato delle sonde per accertarsi della loro presenza.
Sulle tracce di Han ci sono anche i cacciatori di taglie, che vogliono la ricompensa promessa da Jabba the Hutt, per chi riuscirà a catturare il contrabbandiere.
Attaccato da un Wampa, Luke viene ferito, ma riesce a liberarsi giusto in tempo: gli appare Obi Wan che gli consiglia di raggiungere Yoda sul pianeta di Dagobah, per continuare il suo addestramento Jedi.
Nel frattempo le truppe imperiali attaccano la base ribelle con enormi quadrupedi meccanici: all’alleanza non resta che disperdersi e fuggire nello spazio.
In fuga dai caccia imperiali, sul Millennium Falcon, Han, Leia, Chewbecca e C3PO raggiungono la città nelle nuvole, la capitale del lontano pianeta di Bespin, guidata da un amico di Solo, Lando Calrissian.
Il cacciatore di taglie Boba Fett è sulle loro tracce e riferisce a Darth Vader la destinazione dei quattro: l’accoglienza ospitale di Lando nasconde una trappola.
Han Solo viene consegnato a Boba Fett, congelato e imprigionato in una lastra di carbonio, Lando fugge con la principessa ed il suo equipaggio, proprio mentre Luke, dopo aver quasi completato il suo addestramento Jedi, raggiunge Bespin per combattere contro Darth Vader…

L’impero colpisce ancora è un film del 1980 diretto da Irvin Kershner.
È il 2° capitolo della saga, il più amato dal pubblico e dai fans pur trattandosi, senza ombra di dubbio, di un secondo atto che non avrebbe ragion d’essere in assenza del primo e del terzo. Narrativamente inferiore all’apripista, ma comunque di eccelso livello.
A detta sia di Lucas che di Kreshner le intenzioni erano proprio quelle di un “bel film sponda” tra l’atto di apertura e quello di chiusura; chiare per l’appunto sono le dichiarazioni del regista stesso: «secondo movimento della sinfonia, per questo volevo che alcune cose rallentassero, che finisse in un modo che ti facesse venir voglia di sentire il vivace, il prossimo film, l’allegretto».

Irvin Kershner riesce appieno nell’impresa e dirige un film ottimo e spettacolare, buono anche a livello narrativo; certo, come scritto in precedenza, sicuramente inferiore a Episodio IV – Una nuova speranza.

È chiaro, da un punto di vista strettamente legato alla storia, che le nuove esigenze produttive avevano spinto Lucas a trasformare un perfetto atto singolo, in un racconto più lungo, con due nuovi capitoli già programmati. Il viaggio dell’eroe si era fatto più complesso ed il richiamo ‘edipico’ più evidente e pressante. L’Impero colpisce ancora è strutturato per grandi blocchi drammatici, che richiamano quelli del primo film: il ghiaccio di Hoth sostituisce il deserto di Tatooine, l’addestramento con il maestro Yoda prende il posto di quello con Obi Wan, la fuga da Bespin si contrappone alla liberazione della principessa Leila, prigioniera sulla Morte Nera. Se l’idea romantica della mitologia originaria in nove episodi, che Lucas avrebbe ideato sin dall’inizio, è chiaramente un tentativo goffo di giustificare la pratica assai remunerativa dei sequel, allora piuttosto rari, L’Impero colpisce ancora è però fondamentale perchè cambia radicalmente il canone della serie: Lucas introduce il personaggio di Yoda, l’ultimo maestro Jedi; si vede per la prima volta l’Imperatore Palpatine, sia pure solo attraverso un ologramma; viene infine svelata la vera identità di Darth Vader. Sono tutti elementi diventati essenziali e imprescindibili per l’universo di Star Wars, che trovano qui la loro origine: nel primo episodio non ve n’era alcuna traccia. Così facendo però l’epopea dell’intera saga si chiude in se stessa, le dinamiche psicologiche prevalgono sullo spirito avventuroso e gli elementi esterni rimangono solo accessori, rispetto alla necessità primaria di ricostituire l’unità familiare del terzetto Skywalker/Han Solo/Principessa Leila.
Unico vero (piccolo) scivolone dell’intero film, in sede di scrittura, è la rivelazione sulla vera identità di Darth Vader sul finire stesso della pellicola: è un tassello asimmetrico di sceneggiatura non particolarmente riuscito e calibrato, che uno script leggermente meno commerciale avrebbe evitato del tutto; si tratta comunque di un espediente di indubbia efficacia drammatica, e quindi di forte presa per il pubblico.

È lampante come L’Impero colpisce ancora si limiti semplicemente a ripercorre la stessa strada dell’originale, costruendo una nuova avventura, ma lasciandola clamorosamente a metà, con un twist finale che da solo aveva il compito di reggere il peso dell’ultimo atto. Il tentativo di dare spessore psicologico (”piuttosto d’accatto” come ebbe a scrivere severamente il New York Times) ai protagonisti non era stato molto apprezzato proprio perchè così facendo era parsa erosa un poco la cifra favolistica che permeava magicamente il capostipite di 3 anni prima.
A dirla tutta però non c’è alcun dubbio che Lucas in questo riuscì ad assestare un colpo bello e riuscito, applicando per primo, al cinema post-moderno, le tecniche della serialità televisiva o, se così si preferisce, del nuovo modus operandi della New Hollywood, rimandando la conclusione della storia ad un prossimo episodio… e poi ancora e magari ancora…

All’epoca si discusse parecchio sul contributo effettivo di Irvin Kershner ad un’operazione che mostrava, evidenti, le impronte di George Lucas sull’intero comparto tecnico della pellicola, persino sull’ultima luce di scena imbastita per uno sfondo neanche ripreso; semmai manca (o è presente, dipende dai punti di vista…) quel guizzo fiabesco e disinteressato che brillava in ogni anfratto del primo film: non volendo, il  tentativo di donare maggiore spessore psicologico ai personaggi ha portato a un leggero inaridimento delle immagini legate al semplice favolismo, a un piccolo passo indietro sull’operazione fantastica e fantasiosa in sé e, a livello di script, qualche intento moralizzante di troppo, quasi come se Episodio V dovesse fungere da moderato e tenue microfono dell’America anni ’80 regressiva di Reagan con una rappresentazione di Male (paesi nemici degli Stati Uniti) e Bene (gli Stati Uniti) più impegnati (politici) rispetto a Episodio IV del 1977.

Nulla da eccepire sul lato tecnico e degli effetti speciali: dalla fotografia di Peter Suschitzky con dominanti bianche e blu e un’illuminazione più naturale rispetto allo splendore in technicolor del primo capitolo, al sonoro, alle scenografie spettacolari e agli effetti speciali da urlo per l’epoca (la Industrial Light & Magic si spostò in una nuova e più grande sede a Marin County e realizzò effetti speciali superlativi per l’epoca, mescolando modellini, retroproiezioni, sfondi e pupazzi animati alla vecchia maniera, anche grazie ad un budget più che raddoppiato, rispetto a Guerre Stellari).
Il motivo preponderante per cui questo film però è ricordato dai più è quello di aver introdotto la figura del Maestro Yoda: un personaggio proverbiale, una sorta di folletto saggio e dispettoso, che parla con una sua consecutio tutta particolareun’icona che ha follemente conquistato il grande pubblico, divenuto -in seguito- uno degli oggetti di culto del mondo Star Wars.

John Williams compose la celeberrima Marcia Imperiale per Darth Vader, track divenuta famosa quanto (se non più) del main theme omonimo.

Il film incassò bene, soprattutto negli Stati Uniti, senza eguagliare i risultati di Episodio IV- Una nuova speranza ma contribuendo in ogni caso a rafforzare la Lucasfilm, che diventerà nel corso degli anni ’80 una fucina di talenti, soprattutto nel campo delle tecnologie applicate, dell’animazione, del sonoro e degli effetti speciali.


Il Ritorno dello Jedi (Episodio VI- Il Ritorno dello Jedi) è un film del 1983 per la regia di Richard Manquand.

Richard Manquand ebbe ancora meno potere (rispetto a Kershner) nella realizzazione attiva del nuovo capitolo di Star Wars. George Lucas ha letteralmente vissuto sul set del film per l’intera durata delle riprese e anche nella post-produzione, oltre che essere il regista di seconda unità; a dire il vero infatti manca soltanto l’accreditamento ufficiale, ma è come se il film fosse stato diretto da lui.
Marquand ebbe a disposizione il budget più alto della serie, superiore ai 30 milioni di dollari (una cifra impressionante all’epoca) ma ebbe in mano anche la sceneggiatura di gran lunga più debole.

L’Impero colpisce ancora aveva fatto storcere il naso a Lucas sia per le critiche dissonanti che per gli incassi (seppur ottimi) non sensazionali quanto quelli del capostipite del 1977. Si optò dunque per un cambio (in corso d’opera) non solo di tono scenico/tecnico, ma anche di script dopo le molte revisioni al copione, che si susseguirono fino all’inizio delle riprese; gli sceneggiatori decisero, per esempio, che Han Solo non sarebbe dovuto morire all’inizio dell’episodio (come avrebbe desiderato Harrison Ford).

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Il film si apre sul pianeta di Tatooine, dove Han Solo è tenuto prigioniero da Jabba the Hutt: per cercare di liberarlo prima vengono inviati R2D2 e C3PO, poi Chewbecca con la principessa Leia, travestita da cacciatore di taglie: vengono tutti scoperti e catturati.
Tocca quindi a Luke Skywalker cercare di liberare gli amici: è così costretto a battersi una prima volta con il Rancor, un mostro che Jabba tiene incatenato nel sottosuolo, e poi con il Sarlacc, che vive in una gola nel deserto.
Mentre Han e Leia si dirigono alla base delle truppe ribelli, Luke ritorna a Dagobah per completare l’addestramento con Yoda: il saggio maestro Jedi gli conferma che, solo combattendo contro Darth Vader, riuscirà a portare a termine il suo percorso.
Obi Wan appare a Luke per rivelargli che ha una sorella gemella. Luke intuisce immediatamente di chi si tratta…
Raggiunta la base dei ribelli, Luke si unisce all’equipaggio che dovrà disattivare lo scudo che protegge la costruzione della nuova Morte Nera, consentendo all’alleanza di distruggerla una seconda volta.
La fonte di energia per lo scudo si trova sulla Luna boscosa di Endor. Qui Luke, Leia, Han, Chewbecca e i droidi si trovano alle prese con le truppe imperiali e con gli ewoks, una popolazione di folletti pelosi, che venerano C3PO come un dio e che diventeranno loro alleati contro l’Impero.
Luke si consegna nel frattempo a Darth Vader. Al cospetto dell’Imperatore, che invano cerca di convertire Luke al Lato Oscuro, si compie così il suo destino…

Il film di Marquand soffre già di molti dei difetti che la nuova trilogia avrebbe ulteriormente amplificato: una sceneggiatura sciatta e ripetitiva, troppi personaggi minori mal costruiti, un tono complessivo infantile (nel senso peggiore del termine). Se la prima parte, fino alla morte di Jabba è anche riuscita e appassionante, il film poi non fa altro che ripetere cose già viste in precedenza. Un nuovo confronto con Yoda su Dagobah, un nuovo scontro fra Luke e l’Impero, un nuovo attacco ad una rediviva Morte Nera! L’unica novità è l’inseguimento su Endor con gli speeder imperiali, per i quali fu ingaggiato Garrett Brown con le sue steadycam. A distanza di 30 anni però si tratta di effetti obsoleti, che fanno sorridere, per lo più.

Nonostante lo sforzo di sceneggiatori e regista, il film è una delusione da molti punti di vista, a partire dall’evidente sconfessione di tutti gli elementi adulti e problematici, che erano stati introdotti nel secondo episodio e che Lucas sembrava, nel frattempo, aver completamente dimenticato. Anche dal punto di vista visivo, il film risente del passaggio da Suschitzky a Hume: l’illuminazione ed il colore sono quelli tipici del cinema anni ’80, senza ombre e senza sfumature. L’accoglienza dei critici del tempo fu più positiva rispetto a quella riservata a EPISODIO V‘ anche se, con la riedizione del 1999, fu chiaro a tutti che Il ritorno dello Jedi era il più debole dei film della Trilogia Originale.

Quanto alle modifiche apportate nel 2006 dopo l’uscita nelle sale dell’ultimo capitolo della prequel-Trilogia EPISODIO III – La Vendetta dei Sith, risulta davvero imbarazzante e ridicola la sostituzione di Sebastian Shaw con Hayden Christensen, nella visione finale del pantheon dei cavalieri Jedi. Nell’ambito del discusso ‘revisionismo’ di Lucas, questo è indubbiamente l’episodio più fastidioso e inutile, seguito dalla inconcludente sparatoria di Han Solo nella cantina. È indubbio che dopo aver abbandonato il pianeta Tatooine, il film si sfilacci sia dal punto di vista narrativo, sia della messa in scena. Prevale un tono farsesco che contagia tutti gli attori, i quali sembrano recitare ormai con il pilota automatico. Se Lucas quindi intendeva ritornare alla semplice solarità e all’ottimismo del primo episodio, non solo non c’è riuscito, esagerando con l’auto-celebrazione, ma ha compiuto un errore di prospettiva piuttosto grossolano, che alla lunga non ha giovato alla saga, dal punto di vista artistico.
Si chiude nel segno della mancanza di mordente una vicenda mitica ed epica, cominciata proprio in maniera mitica ed epica, ma conclusasi con una seconda parte di film ne Il ritorno dello Jedi molto tirata per le lunghe e sfilacciata, con personaggi totalmente riempitivi (i pelosi Ewok indigeni) e un totale crollo nelle figura del villain Darth Vader: dalla prima apparizione in questo Episodio VI non fa che far intendere che proteggerà il figlio Luke da qualsiasi sia il suo destino, salvo poi farlo quasi ridurre in fin di vita dall’Imperatore Palpatine davanti ai suoi occhi… per poi, in ultimo, salvare in corner il giovane Jedi dopo minuti e minuti di torture inflitte: l’intera sezione/sequenza del film è tratteggiata in maniera superficiale e raffazzonata a dir poco e questo non aiuta certo nel clima già diseguale e frammentario che si respira nella pellicola da circa metà durata.

Nonostante i difetti presenti e avvertibili, il Ritorno dello Jedi si ritaglia uno spazio fondamentale nella storia della saga e, ovviamente, del “cinema Tutto”: pone la chiusa a un grandissimo fumettone colorato, anarchico (nell’ archetipo visivo e immaginistico), innovativo, avveniristico, esagerato, pittoresco e grandioso.
Star Wars è un grande fumetto elevato a cinema ed elevato a sua volta a epica pura: il solo fatto che una ‘cosa’ del genere sia stata pensata e partorita non può che far gridare al miracolo -a netto di uno splendido primo episodio (capolavoro), un secondo capitolo fantastico e una più che discreta chiusa- e non può che essere un miracolo se riesce a reinventarsi e a riproporsi da ormai 38 anni, con un nuovo capitolo della storia Episodio VII – Il Risveglio della Forza che è un evidente omaggio al capostipite e che sta incassando cifre da capogiro nel mondo intero divenendo, in un solo mese, 3° incasso assoluto nella storia del cinema; il pubblico c’è ancora, la propulsione e il fuoco artistico e della fantasia molto meno, ma nulla si butta di Star Wars, a conti fatti.
Lì, «in una Galassia lontana lontana…» perlomeno, non esistono ancora ormeggi incagliati alla peggiore retorica Hollywoodiana di nuovo millennio, sia essa ‘impegnata’ o da giocattolone dei supereroi.

Antonio Rossi

0 thoughts on “LE PELLICOLE DI ANTONIO: “STAR WARS” – UNA BREVE DISAMINA DELLA TRILOGIA ORIGINALE CINEMATOGRAFICA

  1. Il 3° è vero che ha una sceneggiatura un po più semplice e lineare, ma daltro canto ci offre un confronto finale tra Luke e Vader davvero ricco ed intenso. Tra l’ altro la conclusione di quest’ ultimo per l’ epoca era a suo modo originale per il cinema di genere.
    Riguardo il lato fiabesco, penso sia rimasto anche ne L’ICA e IRDJ. Nel primo caso con le scene su Degobah e nel secondo al castello di Jabbah. Riguardo il V capitolo, comunque è stato girato ancora negli anni 70 e non penso quindi risenta della spinta reaganiana. Si vede comunque la differenza tra questo ed il suo predecessore con scelte registiche più elaborate e scene di battaglie e duelli più articolati.

    ” A distanza di 30 anni però si tratta di effetti obsoleti, che fanno sorridere, per lo più.”

    Datati si, ma tanto da far sorridere i più non direi. Tra l’ altro la scena nel nucleo della nuova morte nera fa ancora oggi la sua figura. A livello di effetti speciali il 3° da veramente la paga ai primi due. Curioso come gli Ewoks vennero ben accolti dalla critica come forza primitiva che sconfigge la fredda tecnologia dell’ impero come faceva la forza nel primo film mentre nel corso degli anni sono divenuti oggetto di antipatia.
    Comunque sarebbe stato interessante vedere le peripezie di Luke, la scoperta della sorella che non doveva essere Leia all’ inizio e poi il confronto finale con l’ imperatore. Ma vabbé, ormai è andata così e possiamo ritenerci davvero soddisfatti.
    Per il discorso riguardo la considerazione della pellicola de 77 nel corso dei tempi, penso si possa facilmente estendere all’ intera prima trilogia. L’ uscita della prequel purtroppo ha cambiato un po l’ ottica facendo crescere una certa antipatia e spocchiosità anche riguardo l’ originale.

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