Sul blog di Metro-Polis ospitiamo, questo mese, un articolo di Claudio Bindella, pittore, fotografo e artista milanese. Ho conosciuto Claudio quasi per caso, come nelle migliori commedie hollywoodiane, e ho avuto il piacere di collaborare, con un mio piccolo contributo, al suo libro ‹‹A world of happiness››: una raccolta di suoi lavori degli ultimi dieci anni. Ho così avuto la possibilità di chiedere a Claudio di raccontarsi e di raccontarci la propria esperienza artistica. Vi invito a esplorare il sito internet di questo artista per poter curiosare nel mondo colorato e cangiante della sua produzione.
Nel ringraziare Claudio Bindella per la generosa disponibilità, vi auguro buona lettura!
Mattia Macchiavelli
LA CONVIVENZA DEGLI OPPOSTI
Per me non è facile scrivere. Una volta non era così, credo sia colpa della pittura o delle immagini in generale, credo si sviluppino abilità contrapposte che è difficile far convivere: nella scrittura il pensiero è lineare, ha un tempo, i concetti devono essere messi in fila, nell’immagine si ha tutto e subito, un colpo d’occhio; la prima è analitica, sviscera, approfondisce, la seconda ha la forza e la debolezza di una impressione, è imprecisa ma difficile da sradicare. Raccolgo comunque la sfida che Mattia mi ha lanciato, perché il far convivere gli opposti, e per me scrittura e immagini lo sono, è la sostanza del mio lavoro artistico e perché mi sembra che l’argomento possa in qualche modo ricollegarsi allo spirito di Metro-Polis che è la leggerezza unita all’impegno, la differenza che ci rende uguali, ancora una volta l’armonia che nasce dalla coesistenza degli opposti.
Tutto questo gira nella mia testa da quando lessi La terra senza il male di Umberto Galimberti. Da lì, da un libro e dai suoi concetti, e leggendolo capireste la portata della contraddizione, nascono le mie prime immagini, l’idea stessa di Armonia e la predilezione per le immagini a scapito della parola. La difficoltà che ho nello scrivere è anche in questo: le parole mirano a limitare lo spazio rappresentato, a delimitare il reale mentre le immagini non solo non vogliono circoscriverlo ma vogliono espandersi, fluttuare, aprirsi.
Vi mostro tre miei quadri degli esordi: Cuore di farfalla, Ki … me! e Contagio. Nel primo, Cuore di farfalla, il ‹‹di›› è già un depistaggio, è una tela molto grande, 2 metri per 2, al cui centro c’è un’enorme farfalla; questa farfalla è però anche un cuore ed anche un mondo, perché al suo interno vediamo mappe ovvero piantine/piante, paesaggi e scene di vita, in un animale tanto piccolo c’è l’universo intero, l’Uno e la Moltitudine sono la stessa cosa. Nella seconda tela, Ki … me! lo spazio lo possiamo riempire con due SS o con due LL, ciò che è sopra sta sotto e viceversa, la morte genera la/e vita/e. Nell’ultimo Contagio, i ragazzi sono rinchiusi nelle vene, il fuori e il dentro perdono consistenza e la bellezza dei colori si unisce ad un significato terribile. Tutto questo detto a parole perde senso, è follia pura, ma forse c’è del vero in questa follia che la ragione e la parola non riescono a contemplare, e che sicuramente non riescono a spiegare. È il simbolo che con il suo eccesso di significazione destabilizza il senso, sono opere che nate da un’idea l’hanno però subito accantonata per lasciare che le cose e le esperienze si esprimessero libere di sprigionare significati ignoti persino a me; né follia né ragione, quindi, ma entrambe assieme.
LA MILITANZA GAY
Non so se militanza sia la parola giusta. Per natura sono timido e solitario, ma allo stesso tempo determinato e sicuro. Queste caratteristiche mi hanno portato a combattere la mia battaglia da dentro uno studio. Non ho mai avuto dubbi o problemi con la mia omosessualità, l’ho sempre considerata un dono, qualcosa che mi ha permesso di uscire da traiettorie già segnate e di aprirmi verso orizzonti nuovi. Fa parte di me e investe tutto il mio essere, non solamente la sfera sessuale, ne sono felice e orgoglioso e questo ho voluto trasmettere con tanta parte del mio lavoro. Rivendico di essere un artista gay che vuole rappresentare la comunità gay, partendo ovviamente da una prospettiva molto personale.
In particolare, ad un certo punto, mi sono concentrato sulla sfera affettiva, perché pensavo ci fosse un deficit figurativo su questo aspetto e perché è fondamentale nella mia vita, ho ritratto così numerose coppie nella loro intimità quotidiana.
Ho realizzato però anche alcuni disegni erotici, perché il sesso è un’esperienza fondamentale della nostra esistenza, un luogo che custodisce segreti e verità che un artista che ha l’uomo come baricentro della sua produzione non può non indagare. Io sono nato nel ’67 l’anno della Summer of love, quando ragazzi da tutti gli Stati Uniti si riunirono sulle colline di San Francisco sognando un mondo migliore, ed io ho vissuto questo clima nei primi anni di vita attraverso i miei fratelli che erano molto più grandi di me. È quello un mondo colorato che porto dentro di me; la controcultura e la rivoluzione sessuale di quegli anni sono fenomeni che mi hanno formato personalmente prima ancora che artisticamente, ed è lì che si trovano le radici e le fondamenta del movimento gay.
LE TEMATICHE ARTISTICHE
Credo nelle arti visive come forma intellettuale di comunicazione. Non sono un artista ingenuo, mi pongo problemi relativi agli strumenti che utilizzo, per questo molta della mia produzione ha una consistente impronta meta-linguistica.
L’immagine è uno spazio e quindi mi interessa come interagisce con gli altri spazi, per esempio quelli esclusi dalla rappresentazione; poi mi colpisce in particolar modo la facoltà che hanno le immagini di contenerne altre, in un gioco di scatole cinesi capace a volte di rovesciare ad ogni passaggio il contenuto di quello precedente. Due esempi su tutti: Reframing07 e Boxes in the box. Nel primo quadro il modello incornicia il suo viso tenendo una cornice con le mani, ad un secondo livello percepiamo che quello che vediamo non è il modello direttamente ma una foto del modello posata su altre foto, infine c’è il limite della tela che delimita il tutto. Potremmo anche dire che all’interno della prima cornice abbiamo un ritratto, all’interno della seconda un nudo o una natura morta visto che si tratta della rappresentazione di una foto. In più potremmo anche dire che quella che state osservando è la fotografia di un quadro che rappresenta delle fotografie.
Nel secondo quadro fotografia e pittura convivono fisicamente sulla tela, il modello sulla destra ha occhi e bocca che sono fotografie, ci sono polaroid sul pavimento ed inserimenti di pezzi di giornale incollati sulla tela. Inoltre all’interno della fotocamera c’è il quadro stesso che misteriosamente include anche la nuca del fotografo, ed in fondo alla stanza c’è ancora una volta il quadro, prima delle inserzioni fotografiche. C’è inoltre l’auto-citazione di altre mie opere, infatti la testa del fotografo è in realtà un mio vecchio disegno, e la statua in fondo Jake, un altro progetto a cui ho lavorato a lungo. Una scotola piccola e grande che contiene diverse tecniche, che contiene altre opere, e che contiene se stessa uguale ma anche diversa ogni volta.
Concludo dicendo quello che doveva stare all’inizio, ma se avete letto sin qui non dovreste esserne più sorpresi. Perché vi ho parlato del mio lavoro? Perché in questi giorni ho pubblicato un libro, che vuole riassumere la mia attività degli ultimi dieci anni. Vedo in questo lavoro un’opera corale perché veramente tante sono le persone che a vario titolo mi hanno aiutato a realizzarlo. Dopo aver lavorato coi modelli ho chiesto anche la collaborazione di chi volesse aiutarmi a descrivere quello che faccio, ciò mi ha permesso di vedere anche da una prospettiva esterna il mio lavoro e una volta di più mi ha consentito di uscire dal mio studio e di incontrare fisicamente o anche solo via web persone intelligenti e capaci che altrimenti non avrei avuto modo di incontrare.
Claudio Bindella