DASÌI LA MOLA! DASÌI LA MOLA!! (LIBERATELI, LIBERATELI)

tratto dal libro di Maurizio Casali MO I TIRA A TE – RACCONTI DI GUERRA E DI FAMIGLIA

Nella piazza di Alfonsine di Ravenna, come un boato, risuonano le urla di un gruppo di donne: “Dasìi la móla!” (Lasciateli andare).

Quella mattina all’alba era scattata un’operazione di rastrellamento, da parte della milizia repubblichina, alla ricerca di renitenti alla leva obbligatoria.

La guerra andava male, per i più era persa, e l’idea di andare a morire per una guerra persa non trovava molto entusiasmo, inoltre il consenso al fascismo, un tempo molto diffuso, si stava sfaldando sotto i bombardamenti degli alleati.

L’antifascismo stava dilagando, il risultato era che molti giovani, quando gli arrivava la cartolina di precetto dell’amministrazione militare, non si presentavano e si davano alla macchia, per lo più nascondendosi a casa, in case di amici di famiglia, scappando in montagna o unendosi ai gruppi partigiani, sempre più forti e organizzati.

Quella mattina il rastrellamento ebbe un buon risultato ed un folto gruppo di giovani era stato arrestato e portato alla casa del fascio. Va detto che la renitenza alla leva generalmente era punita con la fucilazione.

Nel giro di poco le donne delle famiglie dei ragazzi imprigionati, madri, nonne, sorelle, amiche di famiglia, si organizzano e si radunano davanti all’edificio, che si trova proprio nella piazza principale, per reclamare la liberazione dei loro cari.

Come accade nella tragedia greca, dove dal coro si staglia il corifèo, nella piazza, dalle donne urlanti, si fa avanti una donnona alta, sovrappeso, con una voce che neanche una cantante lirica. Con le mani sui generosi fianchi, urla con quanta voce possiede: “Dasìi la móla!!”

Tutte le donne ripetono in coro: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

Si apre il portone della casa del fascio, esce un capetto del partito, con alcuni miliziani armati, che dice perentorio: “ I giovani arrestati sono accusati di renitenza alla leva! Devono essere portati a Ravenna per essere processati; andate a casa, è inutile che stiate qua!”.

Le donne si fanno sotto minacciose incuranti delle armi, il capetto e i suoi miliziani rientrano rapidi e sprangano il portone.

Nella piazza il boato delle urla rimbomba: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

Le donne aumentano, anche quelle più paurose si fanno coraggio e si uniscono alle altre, arrivano anche donne che non sono delle famiglie e neppure amiche, ma antifasciste convinte che vanno ad ingrossare la folla urlante: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

La casa del fascio ha un terrazzo che incede sulla piazza, si apre la porta ed escono alcuni fascisti che intimano alle donne di andarsene: “La legge è legge e i giovani, renitenti alla leva, saranno portati a Ravenna per essere giudicati dal tribunale! Andate a casa è un ordine!”.

La donnona risponde con la sua voce stentorea: “No ch’a ni purtì a Ravèna, ai duvì dé la móla! (No che non li portate a Ravenna, li dovete liberare!)”.

Le donne tutte assieme: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

La tensione sale, le donne circondano la casa del fascio bloccando tutte le uscite, gli uomini delle famiglie stanno nei paraggi ma non entrano in piazza.

Fintanto che nella piazza ci sono solo donne, sarà difficile per i fascisti sparare, la presenza di uomini, invece potrebbe aumentare il rischio di una reazione violenta.

Dal balcone i fascisti urlano: “Andate a casa! Gli arrestati non saranno liberati per nessun motivo senza un regolare processo!”

La donna corifèo (d’ora in avanti corifèa): “E’ prucës an e’ farì brisa! (Il processo non glielo farete per niente!)”.

Le donne: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”

I fascisti che cominciano a preoccuparsi, passano alle minacce: “Se non sgombererete la piazza verranno presi severi provvedimenti!” .

La corifèa: “An farì gnita, ai duvì dé la móla! (Non farete niente, li dovete liberare!)”.

Le donne: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

La notizia degli arresti del mattino e dei successivi sviluppi viene comunicata alla ventottesima Brigata Garibaldi, che ha alcuni distaccamenti nei pressi di Alfonsine e subito parte un gruppo di partigiani alla volta del paese.

Le ore passano, la tensione si taglia col coltello, le donne non si muovono, i fascisti dentro la Casa del Fascio sono pochi, una decina di miliziani in tutto. Decidono di montare una mitragliatrice sul balcone del palazzo.

Il capo dei fascisti urla: “Se non libererete la piazza spareremo ad altezza d’uomo!”.

La donnona risponde: “ No ch’an tiraré, al savì che da lè dôp an scapì piò! (No che non sparerete, lo sapete che dopo da lì non uscirete più!)”.

Le donne: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

I miliziani si danno da fare attorno alla mitragliatrice, il loro capo dà un ultimatum perentorio: “Andate a casa o apriremo il fuoco! Gli arrestati saranno in ogni caso portati a Ravenna per essere processati, è l‘ultimo avvertimento poi spareremo!”.

La donnona: “E’ curagi ad sparé an l’avì, ai duvì dé la móla! (Il coraggio di sparare non l’avete, li dovete liberare!)”.

Le donne, che ormai riempiono tutta la piazza: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

Dal balcone parte una lunga raffica di mitragliatrice, però non sulle donne ma dritto per dritto contro le vetrate della chiesa, che si trova proprio di fronte.

Il rumore delle raffiche e il fragore delle vetrate sbriciolate dai proiettili che piombano a terra rimbomba terribile nella piazza.

Le donne restano immobili, probabilmente col cuore impazzito, ma l’amore per quei poveri ragazzi, che andrebbero a morte certa, a diciassette anni, è più forte.

Sulla piazza cade un silenzio opprimente, poi la corifèa si fa avanti: “E adès ch’av si divartì ai dasi la móla, nuietri an s’muvé da què finchè an gnavì dé la móla! (E adesso che vi siete divertiti li liberate, noialtre non ci muoveremo da qui finché non li avrete liberati!)”.

Le donne: “Dasìi la móla! Dasìi la móla!!”.

Il distaccamento della Ventottesima è arrivato. Armati fino ai denti i partigiani sono a pochi metri, nascosti alla vista dei fascisti pronti ad un assalto alla Casa del Fascio.

Le donne sono sempre più sicure, il grido di battaglia di quella giornata continua a rimbombare nella piazza, la giornata volge al termine, comincia a farsi sera.

I fascisti sono chiusi da ore nel palazzo. Non sappiamo perché i fascisti non siano riusciti ad avere rinforzi. E’ possibile che nessun gerarca si sia voluto assumere la responsabilità di un eccidio di sole donne, possibile che i miliziani, chiusi dentro la casa del fascio, con un rapido calcolo abbiano capito che sarebbero sicuramente morti, se la situazione fosse degenerata, pensando che da qualche parte gli uomini sarebbero saltati fuori.

Fatto sta che all’imbrunire la porta della casa del fascio si apre.

Un gruppo di giovani disorientati e spaventati da quegli avvenimenti esce e può riabbracciare i propri cari.

Tutti abbandonano la piazza, i partigiani si dileguano rapidamente. Quella lunghissima giornata è finita.

Nei giorni successivi i sostenitori del fascismo di Alfonsine dicevano scuotendo la testa: “Tot cal dunazi. (Tutte quelle donnacce.)”

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