Ampio e complesso è il dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese circa tematiche dirimenti per la vita pubblica e personale di ciascuno di noi: il confronto, anche se sarebbe più corretto scrivere di scontro, attivato dalla discussione in Parlamento del così detto ddl Cirinnà ci spinge a interrogarci su cosa sia la famiglia, su cosa si intenda per matrimonio, su cosa è naturale e cosa è positivo, su molto altro ancora e su come tutte queste istanze vengono giocate nella vita quotidiana di ognuno di noi. Vogliamo entrare in questo dibattito, ma vogliamo farlo a modo nostro, non in maniera belligerante; al contrario, quello che a noi interessa è fornire quanti più strumenti possibili per riuscire a decodificare i nodi cruciali di quanto sta accadendo. Ci interessa seguire una modalità quasi socratica, interdisciplinare come sempre, attraverso cui sottoporre alla vostra lettura diversi spunti e suggestioni culturali da cui ognuno potrà trarne ciò che vorrà.
Questo nostro percorso è stato inaugurato da Marta Franceschini, con un articolo incentrato sulle primordiali società matrifocali1. A coglierne, idealmente, l’eredità è stato poi Francesco Colombrita, il quale ha mostrato come la Dea primigenia sia sopravvissuta e si sia declinata nelle successive società patriarcali2.
In questo terzo articolo, invece, Luca Ballandi cambia decisamente registro e pone l’accento sull’annoso problema del rapporto tra natura e cultura, tra le scienze sociali e quelle della vita.
Laureatosi in Francia con una tesi in filosofia della biologia e collaboratore di questo blog dalla prima ora, Luca Ballandi inaugura un vero e proprio nuovo ciclo di articoli dedicati a questa tematica, terra di mezzo tra l’umanistico e lo scientifico. Utilizziamo il primo di essi, quindi, come contributo in questo nostro percorso, con l’obiettivo di fornire nuovi e altri strumenti d’approccio alle tematiche qui presentate. Un diverso modo di vedere, quindi, che non esclude ma apre, che arricchisce quella complessità che andiamo cercando.
Mattia Macchiavelli
- ‹‹La più grande bugia dell’umanità sull’origine dell’umanità›› di Marta Franceschini
- ‹‹La madre alle spalle di Zeus›› di Francesco Colombrita
La Brutta Natura, ovvero: perché l’enunciato «nell’uomo, tutto è culturale, storico e sociale» puzza di contraddizione
Preamboli
Salve sono Luca Ballandi,
Forse vi ricorderete di me per articoli quali La vita Fugge e non s’arresta una Hora: vita di Petrarca, e Natura Umana e Street Sharks. In realtà il primo non l’ho scritto. Il secondo faceva parte dell’esiguo numero di articoli scritti per il Blog di Metro-Polis. Se andate a cercarveli – cosa che ovviamente non siete tenuti a fare – troverete un tema ricorrente. In soldoni, «Ciao sono un espatriato che studia filosofia in Francia, mo’ vi spiego come fanno filosofia i francesi così capirete come mai Sartre, Merleau-Ponty, Foucault, Deleuze, etc. han fatto quel che han fatto».
Progetto ambizioso, certo. D’altro canto, é pur vero che la mia intenzione originaria mi avrebbe condotto inesorabilmente a sostenere tutta una serie di stereotipi – tipo : «se i francesi fanno la filosofia così, é perché si nutrono esclusivamente di baguettes» ; «i francesi non hanno il bidet, che puzzoni» ; «Sartre aveva La Nausea perché la cucina francese fa merda, invece la cucina italiana pizza spaghetti Berlusconi cannelloni» ; etc.
Chissà, magari un giorno riprenderò quella famosa rubrica… Per ora, invece, ho intenzione di affrontare un altro argomento. Qualche preambolo s’impone. Innanzitutto, ho deciso di dedicarmi a quest’argomento perché il caro Mattia mi ha incoraggiato a farlo: ultimamente, alcuni articoli di Metro-Polis hanno tematizzato questioni relative all’omosessualità, al rapporto tra i sessi, al problema della relazione tra natura e cultura nella sfera sessuale, e via dicendo. Pur essendo lontano dalla cara Italia, immagino che questo fermento avesse a che fare con il dibattito sulle unioni civili – e sullo scandalo, tutto italiano, dell’assenza di una regolamentazione in merito. In più, c’era tutto il dibattito sul gender nelle scuole, e chi più ne ha più ne metta. Bref, il presente articolo mira a inserirsi in questo quadro.
Secondo preambolo: in ciò che segue, parlerò un pò di biologia e di etologia evoluzionista. Ora, io non sono un biologo; sono un amateur di filosofia della biologia. La mia tesi di specialistica interrogava il rapporto tra New Synthesis (neo-darwinismo + biologia e genetica molecolare1) e altri, nuovi quadri concettuali; per questo insisterò particolarmente su questi temi. Ciò nonostante, ripeto, non sono un biologo: non ho mai messo piede in un laboratorio, se non al liceo. La mia visione della biologia è, quindi, parziale, imprecisa e incompleta. Lo stesso vale per le scienze sociali e umane (alle quali farò riferimento nel corso dell’articolo). So che, tra i redattori di Metro-Polis, sono presenti degli studenti di biologie e biotecnologie: se dico troppe stronzate, vi invito caldamente a correggermi, e a sollevare il dibattito.
Terzo: il presente articolo non ha alcuna ambizione di rigore scientifico o filosofico. Certo, non é che, dopo tutti sti preamboli, mi scatenerò in una serie di ragionamenti senza capo né coda; solo, le tesi che sostengo sono perlopiù «intuitive». Nel senso che derivano da alcune intuizioni, maturate nel corso della mia esperienza di studio e quotidiana. D’altra parte, dove possibile, citerò alcune fonti – così, per rendere il tutto un pò più credibile. Metro-Polis non é una rivista scientifica, e Dio ce ne scampi! Almeno dal mio punto di vista, si tratta di uno spazio di dibattito – ove ognuno può esprimere le sue idee, argomentarle, dibattere, senza pedanterie né pregiudizi inutili. Spero, quindi, che reagirete a ciò che racconto.
Quarto, e ultimo preambolo: l’articolo completo conta una trentina di pagine; in altre parole, esso è troppo lungo per esser pubblicato ‘tutto d’un pezzo’. Per questo l’ho suddiviso in una serie di «puntate» – di cui spero riuscirete a seguire il filo.
Alé, c’est parti!
Dicevo che, per «tesi intuitive», intendo «derivanti da alcune esperienze, etc.» Dalla mia esperienza può essere estrapolata un certa tendenza ideale : il «culturalismo radicale», e la vulgata della tabula rasa.
Sottolineo che il termine «culturalismo radicale» fa riferimento a una forma precisa di doxa2. Nell’accezione utilizzata, esso sostiene la plasticità totale dell’individuo vis-à-vis dei condizionamenti storici, culturali e sociali. Condotta alle sue estreme conseguenze, questa visione é indissociabile dalla vulgata della tabula rasa: l’individuo che viene al mondo è letteralmente un nulla; le istanze storiche, sociali e culturali lo plasmano progressivamente, tanto sul piano della forma che su quello dei contenuti. Esse costituiscono così la sua vera «natura». Sul piano epistemologico3, la doxa culturalista non sfugge al realismo: la conoscenza concerne oggetti reali, determinati, e colti indipendente dai nostri schemi cognitivi.
L’elemento essenziale di questa tesi è la centralità esclusiva dei suddetti condizionamenti: i fattori «condizionanti» presi in considerazione sono di natura solamente storica, sociale e culturale. Naturalmente, ogni individuo ha un corpo, e ogni corpo è la sede di processi biologici quali il metabolismo, la secrezione ormonale, l’interazione percettiva tra cervello e organi di senso, etc. Però tutti questi processi non devono giocare alcun ruolo, nella costituzione dell’individuo: ciò significherebbe ammettere l’esistenza di un substrato4 natural-biologico, che contraddice l’assunto dell’uomo «tutto cultura, tutto storia, tutto ‘sociale’».
Quanto esposto fin qui appartiene alla doxa più parossistica: rare sono le persone che accetterebbero questi postulati come tali (mi riferisco, in particolare, al postulato realista). Ammettiamo però che alcune persone sostengano questa versione «radicale» di ciò che chiamo «culturalismo».
Detto ciò, consideriamo tre esempi (semplificati fino allo stereotipo) di domande-risposte. Gli uomini tendono a dominare le donne sul lavoro e nella vita quotidiana? É ovviamente a causa di certi rapporti di produzione, e di gerarchie formatesi storicamente. Da cosa é determinata la scelta di un partner sessuale e coniugale, in una società umana? Naturalmente, da criteri sostanzialmente (e esclusivamente) storici, culturali e sociali! Le violenze sono soprattutto degli uomini verso le donne, e meno viceversa? E ci credo! Siam pur sempre sotto un regime fallocentrico: la violenza esprime il fallocentrismo, nella sua versione più estrema…
Questi esempi non sono scelti a caso: ciascuno di essi è pienamente accettabile, almeno sul piano logico. É certamente logico attribuire le disparità lavorative uomo-donna ai suddetti condizionamente storici, sociali e culturali; lo stesso vale per il caso della scelta del partner, e delle violenze.
E allora, qual è il problema? Il problema è che, all’orizzonte di tutte queste risposte, sta l’essere umano «tutto cultura, tutto storia, etc…» che il «culturalismo radicale» (almeno nella sua forma volgare) dà per scontato. Perché, sì, per me il problema è proprio questo: non sarebbe, forse, il caso di interrogare di nuovo questo presupposto?
Questa esigenza si fa urgente, per due motivi: il primo, è che il culturalismo radicale tende a escludere a priori la possibilità di condizionamenti specificamente biologici. E non parlo di condizionamenti tipo «l’uomo é, di costituzione, più forte della donna; QUINDI DOMINA!!»; parlo di tutti i condizionamenti che potrebbero aver a che fare con i processi sottesi all’esistenza biologica dell’individuo. Il problema é squisitamente concettuale: tendenzialmente, se si accetta l’uomo «tutto cultura, etc.» – in un contesto ove é ancora in auge la separazione di natura e cultura, scienze della vita e scienze umane –, si rischia di espellere dall’uomo tutto ciò che appartiene al biologico, e – se si vuole – al «naturale».
Il secondo motivo è strettamente legato al primo. Già all’alba della civiltà occidentale, l’uomo era definito «animale razionale»; tutti conosciamo il ruolo di Darwin nello stabilire una nuova, radicale continuità tra l’essere umano e il vivente in generale. Oggidì, penso che la maggior parte delle persone (almeno in Europa) accetti tale continuità: sul piano sperimentale, i test sugli animali rivelano qualcosa del funzionamento dell’organismo umano; perché ciò sia accettabile, la continuità dev’essere postulata. É piuttosto sul piano teorico che la continuità é problematica: se non c’é rottura tra l’homo sapiens e gli altri viventi, allora è possibile applicare allo studio dell’uomo gli strumenti teorico-concettuali applicati al vivente. Sul piano ontologico5, ciò implica che l’esistenza umana (per quanto specifica: l’uomo é pur sempre «animale razionale», dunque culturale, storico, sociale) riposi su un substrato di processi biologici; processi che, in una certa qual misura, condividiamo con gli altri viventi.
E qui mi fermo. Nella prossima «puntata», chiarirò il paradosso che nasce dal conflitto tra «culturalismo radicale» e «scienze della vita».
Alla prossima allora, ciaoooooo.
Luca Ballandi
NOTE
- Nel seguito dell’articolo, spiegherò meglio cosa intendo per « neo-darwinismo » e « biologia e genetica molecolare ». Non temete!
- In filosofia, «doxa» sta normalmente per «opinione», o «sistema di opinioni». Essa tende a contrapporsi a episteme, ossia conoscenza, sapere. «Opinione» indica «vulgata», «conoscenza irriflessa» o «insufficentemente giustificata». Il culturalismo è una doxa, in quanto «vulgata», «sistema di opinioni» spesso irriflesse o insufficentemente giustificate.
- Ossia, sul piano della «teoria della conoscenza» – come assunto generale, riguardante le modalità del «conoscere».
- Letteralmente, lo «strato sottostante».
- Ossia, sul piano delle strutture proprie a «ciò che è», all’essere reale. In filosofia, l’ontologia è la disciplina che studia le strutture fondamentali dell’essere, a prescidere dalle sue concrete e individuali manifestazioni.
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