di Francesco Colombrita
«La shari’a è come una candela. Ci mette a disposizione una luce molto preziosa ma non bisogna dimenticare che la candela ci aiuta ad andare da un luogo all’altro quando è buio. Se dimentichiamo dove stiamo andando e ci concentriamo invece sulla candela, a che potrà servire?».
Quando due oceani si incontrano, l’eco di un boato tremendo e magnifico percuote l’eternità. La vibrazione di un suono così profondo, si annida nel ricordo e nella memoria di quello stesso incontro: è tanto forte da cambiare una vita. Ella è una donna americana dedita unicamente al marito e ai figli, alla cura della casa e del giardino. Quasi per noia e per passatempo, accetta un lavoro come lettrice e consulente di una casa editrice. Il primo romanzo le arriva giusto quando il suo vuoto moralismo la costringe a una lite senza senso con la figlia. È rigida, questa madre, senza capirne nemmeno il motivo, fredda, senza sapere perché. Il dattiloscritto poi è particolarmente strano. Un romanzo storico, si direbbe, che racconta l’incontro di due uomini oltre sette secoli fa. Rumi e Shams-i-Tabriz. Teologo insigne il primo, mistico sufi tacciato di blasfemia il secondo. La dolce eresia è il titolo di quest’opera. Fin dal principio il tema dell’intero libro viene snocciolato nel prologo: l’amore. Cosa sia questo sentimento Ella l’ha dimenticato da tempo e inizia così un percorso che modificherà la sua vita. Le quaranta porte è una storia che con una semplicità disarmante sembra riaprire Le mille e una notte per aggiungersi ai racconti senza tempo delle terre d’Oriente. Un racconto che sonda con implacabile decisione il rapporto tra religione e spiritualità, smascherando l’ipocrisia di una teologia dogmatica spesso manipolata e impugnata a difesa di battaglie terribili.