LA RELAZIONE EDUCATIVA – L’IMPORTANZA DEL LIMITE

di Angelo Errani

Nascendo, abbiamo bisogno di poter contare su di uno sfondo in cui trovare posto

Nel Protagora, Platone racconta che Zeus aveva affidato a Epimeteo – il cui nome significa “colui che pensa dopo” l’incarico di assegnare una dotazione a tutti gli esseri viventi. Ma Epimeteo, quando arrivò a occuparsi degli uomini, essendo stato troppo generoso, scoprì di non aver più nulla da offrire. Allora Zeus incaricò Prometeo – il cui nome significa “colui che pensa prima” di assegnare agli uomini due dotazioni: la capacità di provvedere al futuro, cioè la possibilità di progettare la loro vita utilizzando gli insegnamenti del passato, e il fuoco, cioè le tecnologie indispensabili per compensare i loro limiti.

È questa la ragione per cui, mentre tutti gli altri esseri viventi possono vivere esclusivamente negli ambienti che sono coerenti con le loro caratteristiche, gli uomini sono riusciti ad abitare tutte le aree del pianeta, anche quegli ambienti per i quali non avevano alcuna predisposizione. E lo hanno potuto fare, paradossalmente, proprio grazie ai limiti che li caratterizzano. Infatti, se non fossero stati costretti a ricercare delle compensazioni al loro inadeguato equipaggiamento organico, non avrebbero avuto la possibilità di sopravvivere. Le compensazioni sono la cultura.

Non avrebbero inoltre avuto la possibilità di sopravvivere neppure se i singoli soggetti non avessero messo in comune le rispettive risorse. Il mettere in comune è la dimensione sociale.

La cura di trasmettere le due dotazioni – la cultura e la dimensione sociale – hanno costituito nel corso del tempo il più importante impegno degli esseri umani nei confronti delle nuove generazioni, un impegno che si chiama educazione, insegnamento. Insegnare è una parola di derivazione latina composta dalla preposizione in e dal verbo signare che tradotto nella lingua italiana significa segnare, marchiare.

Antoine de Saint-Exupery, nell’episodio dell’incontro fra la volpe ed il piccolo principe, indica con il verbo apprivoiser, che nella edizione italiana del libro è stato tradotto con addomesticare, l’accompagnare chi si affaccia alla vita a costruire il senso di appartenenza a una comunità, un percorso che ha bisogno di avvalersi di metafore dei vissuti reali, che la volpe indica con la parola riti:

“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, “sono così triste”.
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! Scusa”, fece il piccolo principe.

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:

“Che cosa vuol dire ‘addomesticare’?”
[…]
“È una cosa da molto dimenticata: Vuol dire ‘creare dei legami’.
[…]
“Se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano che è dorato mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”.
[…]
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami”.(1)

La conversazione fra la volpe e il piccolo principe descrive il quadro entro cui si realizza la responsabilità dell’educare e richiama l’attenzione sui mediatori che occorre ricercare per rendere possibile la relazione educativa. La volpe spiega che l’appartenenza a una comunità, l’inclusione in società, non può fondarsi sull’anonimato e sulla impersonalità e che per costruire appartenenza occorre elaborare regole condivise, frutto di un’esperienza di legami che riguardano la fiducia, la reciprocità, e anche offrire il riferimento a un patrimonio comune di immagini, a una narrazione sociale in cui l’io possa entrare in un noi.

La costruzione di un legame sociale è dunque essenzialmente un negoziato di significati ed è nello scambiarsi i significati che ciascuno diventa significativo per l’altro. È la relazione che rende possibile la significazione e che consente di dare significato a ciò che sembrava non averlo.

Come nelle immagini le figure acquisiscono significato solo se messe in relazione con uno sfondo, poiché figura e sfondo si co-definiscono, così i bambini, per potere riconoscere e perché possa venir riconosciuto il significato della loro presenza, hanno bisogno di potersi collocare sullo sfondo della comunità di appartenenza.

La nostra è una quotidiana ricerca di sapere chi siamo, che cosa facciamo e dove stiamo andando e il prendersi cura di accompagnare i bambini in questa ricerca è stato affidato dalle generazioni che si sono avvicendate nel corso del tempo a narrazioni, metafore, riti che li aiutassero a progettarsi verso il futuro con senso di appartenenza a una storia comune, con le sue potenzialità, ma anche con la consapevolezza dell’esistenza di limiti.

La parola limite, così come tante altre, ha subito una corruzione nel corso del tempo. Costituendo l’idea del limite un evidente ostacolo all’affermarsi di un’espansione illimitata di comportamenti consumistici, essa ha finito per assumere il significato negativo di impedimento, vincolo, mancanza. Ma, se interroghiamo la parola limite, scopriamo che essa rimanda alla parola latina limes, che indicava il sentiero che tracciava il confine fra i terreni agricoli e che, quindi, aveva il significato di controllo, di regola. Limes ha poi la stessa radice di un’altra parola latina, limen, che ha il significato di soglia della casa e, per espansione, di abitazione, dimora. La cultura introdotta dal consumismo ha provocato dunque un rovesciamento di significato.

Occorre riconsegnare alle parole l’autenticità: il limite non è impedimento, ma regola della casa comune, accoglienza dei vincoli fisici e sociali necessari alla continuità della vita, assunzione di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri, comprese le generazioni future.

Note

  1. De Saint Exupery (1943), New York, Reynal & Hitchcock, trad. it. (1949), Il Piccolo Principe, Torino, Bompiani, pp. 91-94.

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