Ad ormai più di due mesi dalle elezioni dell’Europarlamento, il vecchio continente, in occasione di questo centenario dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, rischia di perdere il “treno dell’unità” che tanto spesso si profetizza ma che manca di essere praticata.
Molto probabilmente l’impegno che i governi applicheranno alle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra sarà molto più incisivo e concreto in confronto ai loro stessi sforzi nel cercare di porre rimedio alle attuali crisi internazionali. Speriamo che non sia così, ma staremo a vedere…
In un clima così di alta tensione che si respira in tutto il globo terracqueo, certamente sarebbe pericoloso impedire le celebrazioni legate ad uno dei pochi eventi nella storia che ha assunto una accezione globale. Lo spunto che però vorremmo sollevare in queste brevi e semplici righe vorrebbe perlopiù inserirsi nelle modalità e nei temi a cui questo centenario potrebbe portarci. Lo scorso giugno, in occasione delle cerimonie per i 100 anni dall’attentato a Sarajevo – l’evento che viene ripreso nei manuali scolastici come la miccia scatenante per il primo conflitto mondiale – sono già divampate svariate polemiche all’interno di un paese, la Bosnia Erzegovina, ancora scisso tra coloro che considerano Gavrilo Princip (l’assassino serbo-bosniaco dell’arciduca d’Asburgo) un eroe nazionale o quelli che lo vedono come un terrorista. Senza contare poi il risentimento provato da questo paese verso la comunità internazionale per la prolungata negligenza dimostrata durante la guerra del 1992 in ex Jugoslavia nella stessa Sarajevo: il preludio al centenario non sembra molto invitante. Queste polemiche vengono rinforzate dalle considerazioni del giornalista bosniaco Zlatko Dizdarevic, recentemente comparse su La Repubblica, con parole che vogliono dimostrare la falsità dell’utopia di avere un’Europa unica ed unita da Est ad Ovest. Secondo Dizdarevic, con le celebrazioni dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, ha avuto inizio una politica di immolazione della città di Sarajevo da parte degli altri Stati coinvolti, che la additano come unica responsabile della Grande Guerra, tracciando così una linea di demarcazione tra “l’Europa Austro-Ungarica” ad occidente e “l’Europa slava” ad oriente.
Le forti affermazioni del giornalista bosniaco, che forse sminuiscono in parte il gesto compiuto da Princip, non mancano di farci notare come la serie di commemorazioni del centenario tra gli Stati coinvolti da Est ad Ovest, tra vincitori e vinti, stiano già creando più divergenze che avvicinamenti tra le nazioni. Al contrario, se l’Europa facesse uno sforzo verso una gestione comune di eventi come questo, allora essa infliggerebbe probabilmente un duro colpo agli spiriti nazionalistici che spesso si celano dietro celebrazioni di questo tipo. Oltre a ciò, in un continente come il nostro, dove un neonazifascismo “europeista” sta prendendo sempre più piede – si vedano i gruppi neonazifascisti che da tutta Europa sono confluiti a sostegno delle milizie di estrema destra in Ucraina – una tale serie di iniziative, trasversali e condivise da tutti gli Stati, ne ostacolerebbe attivamente l’avanzata.
Questi Stati, che solo un secolo fa iniziavano a scontrarsi tra loro e a sacrificare milioni di vite per nulla, hanno oggi i mezzi e le tecnologie per creare una memoria condivisa di un evento così importante per la realtà che viviamo. Per farlo potrebbe però diventare necessario un cambiamento culturale generale attraverso una problematizzazione della fruizione della memoria, mettendo in parallelo opere, come quelle letterarie e cinematografiche, che tengano in considerazione gli innumerevoli punti di vista sulla Grande Guerra. Questo non significherebbe ovviamente eliminare un patrimonio che ogni Stato possiede, ma contestualizzarlo e renderlo il più possibile libero da un’ottica nazionalista e a favore di una visione comune. Perché non affiancare un film come Uomini contro, di Francesco Rosi, ad Orizzonti di gloria, di Stanley Kubrick, oppure confrontare libri come Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Erich Maria Remarque, ed Addio alle armi, di Ernest Hemingway?
Per concludere, quello che possiamo augurarci da questo centenario è che le celebrazioni previste siano molto più condivise di quanto hanno fatto presagire, ma soprattutto che i cittadini europei, in primis, possano prendere molto più spesso questo “treno dell’unità” che in questi giorni sta passando.
Massimiliano Dalfiume