L’ODISSEA DEL LIBRO PERDUTO: LESTRIGONI

«Allora?» domandai subito a Lusa, appena rientrati in macchina. «Cosa c’è scritto nel biglietto?».
«S. Maria del soccorso».
«Come?».
«C’è scritto “S. Maria del soccorso” tutto in stampatello».
«Sì, ok, non volevo sapere com’è scritto, volevo solo che lo ripetessi».
«S. Maria del soccorso» ripeté Lusa, diligentemente.
Sospirai. «D’accordo, grazie».
«Prego». Mi sorrise, prima di chiedere: «Andiamo?».
«Dove?».
«S. Maria del soccorso».

Cominciai a perdere la pazienza. «Ho capito che dobbiamo andare lì, ma tu sai dov’è?».
«No».
«Allora dove dovrei andare?».

Come se avessi appena posto la domanda più stupida del mondo, Lusa mi fissò negli occhi, fissò il foglio e infine tornò a guardarmi. Poi, con una calma assolutamente naturale mi disse: «A S. Maria del soccorso».

Mi morsi il labbro, mentre contavo fino a dieci. Riuscii a trattenermi. «Allora, cerco di spiegarmi. S. Maria del soccorso potrebbe essere una chiesa, oppure un ospedale oppure un altro posto di cui non sono nemmeno a conoscenza!».

«Cominciamo dal primo posto».
«Non vorrai andare a trovarli tutti?».
«Sì, perché no?».
«Perché non finiremmo più! La cosa migliore è tornare a chiedere al fratello».

chiesa-di-san-michele-2Scesi dalla macchina, ma il ragazzo non c’era più. Provai a chiedere di lui all’interno del locale, ma il buttafuori non mi fece entrare. Avrei dovuto ripagare un’altra volta. Tentare di persuadere quell’ammasso di muscoli era inutile, così tornai da Lusa.
Rassegnati, decidemmo di andare alla chiesa, sperando di trovare qualcosa.
Ero scettico, ma Lusa era così sicuro e tranquillo che provai a fidarmi di lui e della sua calma.
Arrivammo all’esterno della chiesa: la facciata, imponente era scarsamente illuminata dai pochi lampioni. Il portone era chiuso e nessuno degli ingressi laterali sembrava pronto ad accogliere due visitatori notturni.

«Qui è tutto chiuso…».

Lusa, però, sembrò non ascoltarmi. Senza aspettare, si avvicinò a una porta, posta nell’edificio subito a lato della chiesa. Solo in quel momento mi accorsi che era l’ingresso di un convento.
Annalisa poteva essere lì? No, non poteva essere! Una suora non poteva certo abitare in un appartamento. Forse una novizia? No, perché altrimenti avrebbe comunque vissuto nella comunità di suore, così da sperimentare la vita del convento. Forse…
Ma Lusa interruppe i miei pensieri, perché, nonostante fosse già l’una e mezza di notte, suonò al campanello.

«Sei impazzito?».
«No».
«Staranno tutti dormendo a quest’ora! E tu suoni così?».
«Dobbiamo chiedere informazioni».
«D’accordo, ma…».

La mia obiezione fu interrotta dalla porta cigolante che iniziò ad aprirsi.
Sulla soglia apparve una suora anziana, piccolina, alta non più di un metro e quaranta. Così minuta da poter essere confusa con una bambina, se non fosse stato per il suo volto duro, solcato da rughe profonde, ma ancora vivo e reattivo.

«Chi siete? Cosa volete? Come vi salta in mente di suonare a quest’ora al convento?».
«Io sono…» iniziò a rispondere Lusa, ma subito venne interrotto.
«Non mi interessa chi siete! Non è questo il modo! Siete fortunati che non ero ancora a letto! Sicuramente avrete svegliato le mie sorelle, che ora si staranno preoccupando. Vi pare possibile? Dovreste vergognarvi!».
«Mi scusi, ma è stato il mio amico che…».
«Ah, bravo, complimenti! Ora stai pure scaricando la colpa sul tuo amico? No, no, giovanotto, non si fa così! Devi prenderti le tue responsabilità. Siete insieme, per cui la colpa è di entrambi!».
«Ok, ma…».
«Sempre a obiettare, voi giovani! Mai un atteggiamento umile, un segno di pentimento da parte vostra!».
«Ha ragione, ma…» tentai ancora una volta di ribattere, così da spiegarmi meglio.
«Non le voglio sentire le vostre scuse! Sarò vecchia ma non sono stupida! Solo perché sono una suora, poi, dovrei starmene zitta ad ascoltare le sciocchezze che mi vengono dette? Non sia mai!».
«Posso…?».
«Che c’è?».
«Ciò che stavo cercando di dire, è che il mio amico ha suonato perché cercavamo informazioni su una persona…».
«E vi sembra questa l’ora di venire a chiedere informazioni? Cosa siete, della polizia? Se è così dov’è il distintivo, la divisa? Con quale autorizzazione vi presentate qui?».
«Sono un bibliotecario» intervenne Lusa, come se quella professione lo autorizzasse a disturbare la gente di notte.
«Mi credi nata ieri? Non prendermi in giro! Io non credo a una sola parola…».

In risposta, Lusa mostrò il proprio cartellino.

D’improvviso la suora tacque, sorpresa. «Se sei un bibliotecario cosa ci fai qui?».
«Cerco Annalisa. Non ha restituito il libro che ha preso in prestito e la scadenza era oggi. Anzi, ieri».
«E chi è Annalisa?» domandò la suora, con un tono più pacato.
«La ragazza che ha preso il libro. Non posso aggiungere altro per motivi di privacy».
«Qui non c’è nessuna Annalisa».
«Capisco. Grazie mille del suo tempo. Scusi ancora per la perdita di tempo e per il disturbo. Le auguro buonanotte».

E dette queste parole, Lusa si voltò e tornò alla macchina. La suora restò come paralizzata da un simile comportamento. Fino a pochi momenti prima la piccola donna era sembrata quasi un gigante mentre urlava, ci sgridava e si lamentava. Ora, invece, sembrava essere una piccola creatura indifesa.

Le sorrisi, comprensivo. «Il mio amico è speciale. Stupisce tutti quelli che lo incontrano».

La suora ascoltò, poi, forse presa da un moto d’orgoglio, riprese a sbraitare: «Se è davvero così speciale, allora cerchi di tenerlo a bada, invece di lasciargli fare simili pazzie! Vergognatevi!».
Mentre agitava le braccia, cominciò a chiudere la porta. Lo fece con calma, quasi dolcezza, senza rabbia. E contro ogni mia aspettativa, prima di serrarla, ci augurò buona fortuna. «Siate cauti!».

Tornai in macchina disorientato. Da un lato mi sentivo in colpa per aver disturbato il convento e dall’altro provavo una certa pace per quell’augurio così sincero.

Era strano, era come se quella suora, pur così piccolina, fosse stata un vero gigante, dall’alto della sua esperienza: e come uno dei Lestrigoni, i giganti antropofagi, anche lei aveva mangiato una parte di me, quella parte che dubitava di quella follia notturna, quella parte ansiosa di fronte alla ricerca finora così infruttuosa. La suora mi aveva decisamente alleggerito di un peso.

Francesco Tarud

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.