Il 18 febbraio p.v. sarà ospite di Metro-Polis la regista Mariangela Casalucci, che ci presenterà il suo Album: documentario su Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, che ha come oggetto le vite degli attori che hanno recitato nella pellicola Pasoliniana. Con l’occasione, il nostro appassionato di cinema Antonio Rossi ci ha regalato una sua brillante recensione del capolavoro di Pier Paolo Pasolini. Antonio analizza il film concentrandosi su ciò che caratterizza fortemente il punto di vista di Pasolini nel narrare la vicenda di Gesù di Nazareth; in particolare le scelte del regista come quella di arruolare attori non professionisti, di utilizzare abiti di scena semplici, ci catapultano nella volontà di Pasolini di svelare Cristo nella sua accezione più strettamente umana, proprio come emerge dal racconto di Matteo, scelto quindi non casualmente ma con un intento ben preciso e delineato. Antonio, poi, non si ferma agli aspetti stilistici del film, ma ci regala un ritratto di Pier Paolo Pasolini come uomo, partecipe e interprete instancabile delle vicende del suo tempo.
Laura Comitogianni
Il Vangelo Secondo Matteo è un film del 1964 diretto da Pier Paolo Pasolini.
La pellicola di Pasolini, seguendo per filo e per segno il Vangelo di Matteo, traccia la vita di Gesù di Nazareth, dalla Santa Annunciazione a Maria alla predicazione della Parola di Dio, fino alla morte di Gesù sulla croce e alla Resurrezione.
L’uomo e regista Pasolini fa mostra, in questa pellicola, della sua natura di eterodosso. Egli fu, infatti, eterodosso poeta, intellettuale, scrittore, attore, regista e finì per farsi cacciare da entrambe le “Chiese” che hanno caratterizzato la sua epoca: quella cristiana e quella comunista. L’intellettuale bolognese, che per tutta la vita si definì nipote del marxismo, riesce ad incastonare la figura di Gesù nel solco di queste due grandi dottrine. Il Cristo infatti, se da una parte è presentato come figlio dell’onnipotente dispensatore di parabole e miracoli, è al tempo stesso molto più umano di quanto le scritture, o meglio la loro interpretazione ufficiale, lascino trasparire: non è certo casuale la scelta di Pasolini di riprodurre la vita del Figlio di Dio sulle orme del Vangelo di Matteo, nel quale Cristo è visto nel suo volto più umano (cosa rilevabile sin dai primissimi versetti che puntano sulla carnalità della discendenza del Figlio dell’Uomo: «Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, […] Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo»). Ma proprio per la sua natura di “non cattolico” distaccato dal marxismo ortodosso Pasolini è riuscito a regalare un capolavoro di sensibilità ed equilibrio, che ha addirittura strappato i consensi sia – seppur a mezza bocca – alla voce ufficiale del PCI (ovvero l’Unità), che – molto più entusiastici – alle sezioni meno conservatrici del clero cattolico. È infatti questo Cristo pasoliniano quasi l’incarnazione della conciliazione tra l’ideologia rivoluzionaria comunista e l’interpretazione più aderente al pauperismo, e dunque anch’essa rivoluzionaria, del messaggio del Figlio del Padre: una figura di Gesù in cui spiccano gli attacchi ai ricchi ed al potere costituito nel nome di una rivincita dei sottomessi, e si punta sulla violenza scioccante del “porgi l’altra guancia”: una delle idee più sconvolgenti della storia dell’umanità.
Il Vangelo secondo Matteo ci dà un’interpretazione del messaggio evangelico che è probabilmente uno degli elementi che sta alle fondamenta dell’incredibile riuscita di questo film, in quanto grazie al suo lato più marxista Pasolini riesce a darci una figura di Cristo più verace, un’idea della potenza del suo messaggio molto più efficace (ed in effetti, finora insuperata) di quanto avrebbe potuto fare un qualunque regista cattolico. Lo spiritualismo, sempre presente in questo film, infatti, sembra quasi comparire di riflesso, senza mai disturbare: l’arcangelo Gabriele viene presentato nella sua essenza angelica vestito di umili cenci, senza ali, luci o gingilli vari. La stessa resurrezione, il trionfo dello spiritualismo, viene discretamente indicata senza sensazionalismi di sorta, ma semplicemente con Gesù che ritorna a parlare ai suoi apostoli. Tutto ciò è possibile anche perché non è nel vero interesse di Pasolini (o almeno non è il suo interesse principale) in questo film il giustificare o mettere in dubbio la corrispondenza narrazione-realtà nel messaggio evangelico, bensì il confronto con il perché del mondo, studiato attraverso l’analisi della morte: complementare alla vita per una piena comprensione delle ragioni dell’esistenza. Si spiega dunque così la forma utilizzata dal regista per descrivere il Vangelo di Matteo: visionaria e onirica, o se si preferisce semplicemente iperpurista, è la scelta della rappresentazione pasoliniana, che decide di non toccare minimamente la “sceneggiatura originale” – temendo d’intaccarne la poesia che il regista stesso vi sentiva, osservando il più umano degli uomini (com’egli riteneva Cristo, portatore di un’umanità ideale e dunque in tal senso divina) – ma semplicemente di trasporla crudamente esattamente così com’è, senza alcuna immagine o alcuna parola di raccordo di sorta, e dunque proponendo la vita di Gesù a salti, proprio come le visioni durante un sogno. Continue reading