LUSA – Al bar

Mi riavvicinai a Lusa cautamente. Ero ben deciso a parlargli, ma non sapevo come dare inizio alla conversazione. Lo raggiunsi allo stesso scaffale in cui l’avevo lasciato. Mi schiarii la voce, poi gli chiesi: «A che ora finisci di lavorare?».

«Alle 19 in punto» mi rispose, sicuro.

«Bene, allora, che ne dici… possiamo trovarci per un aperitivo appena finisci al bar qui di fronte?» gli proposi.

«Sì, possiamo».

Soddisfatto, lo lasciai ai suoi libri, per poi tornare a casa. Mancavano ancora un paio d’ore all’appuntamento, così mi dedicai a risistemare la mia roba.

Cominciai a catalogare i miei libri negli scaffali del mio mobile nuovo e il tempo mi sfuggì. Arrivai, infatti con circa dieci minuti di ritardo.

Mi guardai attorno, ma Lusa non c’era. Guardai dentro il bar, e ancora niente. Pensai che fosse uscito in ritardo dalla biblioteca, così attraversai la strada ed arrivai di fronte alla porta già chiusa dell’edificio.

Non capivo. Ero forse arrivato troppo in ritardo e Lusa se n’era già andato?

Deluso dall’appuntamento mancato, tornai a casa.

Il giorno dopo tornai in biblioteca appena possibile. Rintracciato Lusa, mi avvicinai e seccato gli dissi: «Allora? Non hai forse dimenticato qualcosa, ieri?».

Lusa si mise a pensare, poi, sorridendo rispose: «No».

Allibito, rimasi in silenzio alcuni secondi, a bocca aperta, prima di reagire e chiedergli: «Ti ricordi del nostro incontro, ieri?».

«Sì. Avevi disposto male un libro» ricordò.

«E ti ricordi che dopo ti avevo chiesto di trovarci per un aperitivo?».

«No, veramente tu mi hai chiesto se potevamo».

«Appunto! Perché non ti sei presentato al bar, allora?».

«Perché tu non mi hai invitato» mi spiegò con estrema calma.

«Come no?».

«Io ti ho confermato che potevamo trovarci, ma poi tu non hai aggiunto altro. E io sono tornato al mio lavoro».

Ero incredulo! Per la prima volta stavo sperimentando l’assenza di aspettative di Lusa. Io avevo lasciato intendere che ci saremmo incontrati, ma lui non aveva colto la proposta sottintesa alla mia frase, e non l’aveva fatto per il semplice motivo che Lusa non si aspetta nulla al di là del semplice significato delle parole.

Adesso, a distanza di tempo, l’episodio mi fa sorridere, anche se un leggero fastidio permane, un’eco lontana di quanto provato allora. Ricordo, infatti, che quel momento mi sentii ribollire di rabbia, o meglio, mi sentii profondamente irritato dalla sua condizione. Fui colto dall’irrefrenabile impulso di afferrarlo per le spalle e scuoterlo, sperando di riportarlo ad una normalità. Ovviamente mi trattenni.

Ritrovata la calma, o almeno una parvenza, riformulai la mia proposta. «Oggi pomeriggio, alle 19 e 10 ti invito a prendere un aperitivo al bar di fronte alla biblioteca».

«Accetto l’invito!» rispose Lusa, in totale semplicità, senza chiedersi cosa volessi da lui o perché un (quasi) perfetto sconosciuto lo stesse invitando.

«Bene, a dopo, allora».

Questa volta tenni d’occhio l’orologio. Alle 19 in punto ero già seduto al bar, aspettando Lusa. A quell’ora lo vidi uscire dalla porta dell’edificio e poi aspettare. Alzai il braccio e gli feci segno, sperando di attirare la sua attenzione, ma fu inutile. Lusa stava guardando l’orologio e non staccava il proprio sguardo dalle lancette che scorrevano. Stava aspettando le 19 e 10 esatte.

“Un’altra caratteristica che è bene ricordarsi!”, pensai.

Passati i minuti, finalmente Lusa attraversò e mi raggiunse. Lo salutai e ci sedemmo insieme. Ordinai da bere e poi iniziammo a parlare, dopo esserci presentati.

«Quindi non hai aspettative?» gli domandai, diretto, senza tanti giri di parole.

La sua faccia buffa mi rispose, facendomi ridere una seconda volta. Lusa, paziente, attese.

“Meglio adottare un’altra tattica”, decisi. «Secondo te, perché ti ho invitato?».

«Tutte le volte che qualcuno mi ha invitato è per chiacchierare» spiegò.

«Sì, d’accordo. Ma io ti ho chiesto che cosa immagini che succederà in questo nostro appuntamento».

«Non capisco» mi disse Lusa, a disagio. «Noi stiamo parlando… adesso».

«Sì, è vero. Ma io vorrei sapere cosa pensi del dopo».

«Io so che il dopo diventerà presente».

“Sembra parlare come un libro…”, pensai. «Cambiamo argomento… domani cosa farai?».

«Mi alzo alle 7, apro la finestra, accendo la radio, bevo un caffè, vado in bagno…» iniziò ad elencare.

Lo interruppi, dicendo: «E se domani mattina la sveglia non suona? E se hai la febbre e non riesci ad alzarti? E se la radio è rotta?».

Lusa non capiva cosa stessi cercando di dirgli. «La mia sveglia suona sempre. Ora non ho la febbre e la mia radio funziona» rispose.

«Sai» gli dissi, dopo un momento di silenzio passato ad osservarlo. «Sei veramente unico!».

Lusa sorrise al complimento. Lui sapeva di essere unico. Molti già l’avevano informato di questo fatto, di conseguenza ci credeva con tutto se stesso.

Il nostro dialogo continuò parlando del più e del meno.

Mentre tornavo a casa, sapevo che avrei rivisto Lusa ancora molte altre volte. Ma di sicuro non immaginavo le avventure che mi avrebbe fatto vivere.

Francesco Tarud

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