3. DANTE GEMELLI?
Né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né il debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto
[…]
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
Quando venimmo a quella foce stretta
Dov’Ercole segnò li suoi riguardi,
Acciò che l’uom più oltre non si metta:
[…]
“O frati”, dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo […]
(Inferno canto XXVI)
Tutti ricordiamo e forse le abbiamo addirittura imparate a memoria, le parole utilizzate da Ulisse per spingere i compagni all’ultimo e più pericoloso dei viaggi. «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
Siamo nel canto XXVI dell’Inferno. Il Canto di Ulisse. Ulisse il viaggiatore è di fronte a Dante, il pellegrino. Tanto simili, tanto diversi il viaggio di Ulisse e il viaggio di Dante. Il viaggio di Dante è voluto dal cielo «vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare» dice Virgilio, guida di Dante a Caronte e a Minosse. Il pagano Ulisse, invece, osa varcare le Colonne d’Ercole, il confine tra il mondo terreno e l’Aldilà e per il suo viaggio non può quindi esserci un lieto fine.
Eppure sentiamo che Dante infonde nel personaggio di Ulisse la sua stessa sete di conoscenza.