Dissertation

Ecco, lo sapevo: 15 marzo 2014, e ancora non ho scritto il mio articolo per Metropolis. Mi dicevo: vabbé dai, lo farai più tardi, per ora devi pensare al tuo mémoire, e ai tuoi esami. Il 15 è arrivato, e qui, in questa sporca (eh sì, è piuttosto sporca) cucina di Villeurbanne – periferia di Lione-, mi trovo senza idee. Ah no, aspettate: una cosa volevo dirla! Lessi l’articolo di Erika a Copenaghen, altra espatriata come me, e mi stupii de fatto che anche lei citava l’articolo di Cavezzali. Questo Cavezzali è proprio una star! Insomma, sono bastate due o tre sciocchezze sugli italiani all’estero, e ormai il suo nome attraversa il Web come una freccia l’aere – santo cielo, questa similitudine proprio potevo risparmiarmela. Vi faccio un breve resoconto – così, per prender tempo: è il 15 marzo, e due giorni fa la mia permanenza a Lione ha compiuto due anni. Forse ricordate che, al mio arrivo, esplodevo di ammirazione per quel gran genio di Maurice Merleau-Ponty. Bene. Dal 12 marzo 2012 ad oggi, ho fatto un po’ di cose: ho lavorato come cameriere in un ristorante, poi come interinale in un hotel, poi ho passato un esame per il livello di francese, e ora continuo i miei studi di Filosofia all’Ecole Normale Supérieure di Lione. Che bellezza! direte voi. Beh, aspettate un attimo: mi trovo al primo anno di specialistica a 27 anni suonati, con i primi capelli bianchi in testa e la consapevolezza che “ogni or picchia alla tomba” (da Pers); terribilmente in ritardo nella consegna del mio mémoire (tesi di specialistica) su Merleau-Ponty e l’evoluzione; e, sempre a 27 anni suonati, con nessuna idea su ciò che farò nella vita. Pensate ancora “Che bellezza!”? Ma allora siete proprio cocciuti! – del resto, probabilmente non lo stavate affatto pensando: ma dovrò pur inserire qualche artifizio retorico per rendere la lettura un po’ più piacevole. La lettura un po’ più piacevole, sì. Perché, a dire il vero, oggi vi parlerò di qualcosa di terribilmente noioso – ringraziate quindi che vi abbia introdotto all’argomento in questa maniera un po’ colloquiale. Vi parlerò della Dissertation. Ricordate, forse, che il mio scopo con questi articoli era di “dare un po’ di carne” a alcuni filosofi francesi del XX° secolo, attraverso una riflessione sul modo di far filosofia in Francia e, più in generale, sul sistema educativo francese. “E chi saresti tu per pretendere di spiegarci queste cose??” vi chiederete voi? Ma ve l’ho già detto: un tizio che, a 27 anni, non sa nemmeno come si stira il collo di una camicia. Eppure, una cosa la so: che, se uno vuole parlare del modo “francese” di far filosofia, deve per forza cominciare dalla Dissertation. Un po’ di storia: benché le sue origini possano essere rintracciabili nella disputatio medievale, la dissertation in Francia diventa canonica a partire dal 1885; dal 1955, essa si impone come genere specifico nel panorama educativo francese , e resta a tutt’oggi l’esercizio di base delle Khâgnes (classi di preparazione ai concorsi di entrata alle Grandes Ecoles), e dei concorsi di accesso all’insegnamento (CAPES et Agrégation). Come so tutte queste cose?? Wikipedia, chiaramente. Cos’è una Dissertation? Anzi no: prima, vediamo come uno studia filosofia (e letteratura, antropologia culturale, etc…) chez nous. Un piccolo appunto: tale confronto non ambisce in alcun modo a ridicolizzare il nostre sistema rispetto a quello francese. Come vedremo – forse nel prossimo articolo, dipende da quanto avrò voglia di scrivere stasera-, il paradigma “dissertation”, malgrado i suoi evidenti pregi, implica tutta una serie di svantaggi che cercherò di mettere in luce. Dunque: devo preparare un esame di estetica – ah che bello quel tempo, con quel grand uomo di Matteucci; in bibliografia, ho 5 libri. Che faccio? Mi prendo i miei 2 mesi per studiarmi i miei 5 libri, per capirne bene il senso, per dominarli a fondo, poi vado all’appello. Il prof mi interroga secondo quello che in Francia chiamano un “contrôle de connaissances”: in soldoni, mi pone delle domande su ciò che ho studiato, per vedere se “ho studiato” e se “ho capito”. Qual è la logica intravisibile dietro una tale pratica? 1) lo studente domina le opere che ha letto, le ha comprese, ed è in grado di restituirne il senso profondo; 2) lo studente capisce la specificità dell’opera a partire da un rapporto diretto al testo dell’autore; 3) lo studente può agevolmente collocare l’autore e il testo in un panorama storico-filosofico preciso. Quali svantaggi ha questo paradigma? 1) lo studente rischia di appiattirsi sul pensiero degli autori, non esercita la riflessione autonoma, e ha delle difficoltà a manipolare concetti “disincarnati” dal loro autore di partenza; 2) il legame tra autori, testi e concetti è reso difficile dall’ “impermeabilità” delle bibliografie e degli esami. Cosa significa questo secondo punto? Significa che, quando un prof dà una bibliografia, è raramente contento quando al suo esame uno gli tira fuori concetti, autori, testi che provengono da un altro esame, da un’altra bibliografia. Ovviamente tutte queste affermazione sono ampiamente contestabili, mais bon: non vi chiedo altro che stare un po’ al gioco. Cos’è, dunque, una dissertation? La dissertation è un testo strutturato, generalmente in 3 parti – ma anche in 4, volendo-, in cui lo studente articola una riflessione filosofica autonoma a partire da un soggetto dato (per esempio : Un uomo libero è un uomo solo?). Ora, quale metodo (attenzione: metodo. Vi ricorda qualcosa? Massì dai, il buon vecchio Descartes amici miei) lo studente deve seguire per costruire la sua riflessione? Innanzitutto, deve trovare una problematica: ossia, deve far “stridere” i concetti del soggetto tra loro, per individuarne la tensione interna. Per esempio “Libero” e “Solo”. Problematica: come può un uomo libero essere un uomo solo, se la libertà non si esercita che in una collettività? ma, d’altronde, come può l’uomo in collettività definirsi libero, se la vita comunitaria implica delle restrizioni alla libertà individuale? Voilà una problematica. A partire da ciò, lo studente elabora un piano per rispondere alla questione: tra i tanti piani possibili, quello più canonico – dunque, meno originale- è il piano dialettico “tesi, antitesi, sintesi-superamento del problema”. Ma ve ne sono altri: piano storico, piano A, non A, B, piano tematico, etc… Ora, vi chiederete voi – sono un po’ presuntuoso, credo: probabilmente non vi state chiedendo proprio nulla- : e gli autori? E i testi di filosofia? E Kant, Hobbes, Hegel? Che fine fanno in questo sistema? Che suspense! E, credetemi, non è finita: perché a questa domanda, risponderò nel prossimo articolo! – scusate, ma sono già a 1100 parole, e non voglio tediarvi troppo. In più ho sonno. Anzi, adesso vado a letto. Ciao.

 

Luca Ballandi

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