di Angelo Errani
Educare o punire? L’ interrogativo accompagna da sempre la storia dell’educazione.
La dichiarazione fatta nei giorni scorsi dal ministro dell’Istruzione e del Merito: “l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità” ne richiama l’attualità. Il ministro si è poi corretto, ma, sostenendo che non intendeva suggerire di umiliare ma di promuovere l’umiltà, ha di fatto confermato una logica moralistica e punitiva come fondamento dell’attività educativa. Una logica che ben si collega alla parola “merito”, parola che, con la formazione dell’ultimo governo, è stata aggiunta alla tradizionale denominazione del ministero.
Secondo tale logica bisognerebbe procedere all’individuazione, il più possibile precoce, dei soggetti meritevoli, perché questi possano ricevere tutte le attenzioni, mentre gli altri, gli immeritevoli, dovrebbero essere messi nelle condizioni di non far perdere tempo e di non far sprecare energie e denaro. Coerentemente con tale concezione, sarebbe dunque non solo inutile ma dannoso ed uno spreco di risorse organizzare il tempo pieno scolastico, curare i contesti dell’apprendimento in direzione inclusiva e dedicare impegno alla ricerca didattica(1).
La logica descritta orienta ovviamente anche i comportamenti, suggerendo stili di vita nei quali ciò che conta è il successo individuale e la visibilità. Nella scuola, in spregio alla formazione per tutti, che, come indica la Costituzione va ricercata attraverso le compensazioni necessarie alla riduzione delle disuguaglianze delle opportunità formative, si rischia così di confermare le disuguaglianze di partenza.
Tale logica selettiva non può certo vantare grandi risultati, visto che il 25% dei giovani del nostro paese non studiano e non lavorano, e visto che nella scuola si registra una demotivazione sempre più diffusa, che produce abbandono degli studi, e fa registrare comportamenti di sopraffazione, come il bullismo, e distruttivi verso se stessi, come l’abuso di alcool e dipendenze.
I dati sull’esclusione scolastica e gli abbandoni precoci segnalano che non si tratta di ragazzi svogliati appartenenti trasversalmente a tutte le classi sociali: Si tratta di ragazzi e ragazze che appartengono per lo più ai ceti economici più modesti, che vivono in contesti poveri di risorse, che spesso non hanno frequentato un nido o una scuola dell’infanzia a tempo pieno e neppure nella scuola dell’obbligo hanno incontrato esperienze che li motivassero, allargando i loro orizzonti troppo chiusi dalla mancanza di opportunità. Sono perdenti della “lotteria della nascita”, per usare l’efficace e drammatica immagine utilizzata quest’anno da Save the children nell’”Atlante dell’infanzia a rischio”(2).
L’obiettivo dell’educazione è quello di giudicare e punire le inadeguatezze di chi sta crescendo o è quello di accompagnare bambini ed adolescenti a superare gli svantaggi e a ridurre i comportamenti inadeguati che ne ostacolano l’apprendimento e impediscono loro di diventare cittadini socialmente responsabili?
È evidente che i bambini nascono in un mondo che c’è già e crescono immersi nella cultura che c’è nel mondo che trovano. Proviamo allora a chiederci quali sono i riferimenti che ne accompagnano la loro e la nostra quotidianità e verifichiamo se si tratta di riferimenti che aiutano a promuovere educazione, apprendimento e impegno alla responsabilità e alla legalità.
Negli ultimi decenni si è diffuso un progressivo disincanto riguardo alla realizzabilità di una società solidale, che viene indicata come un passato in cui abbiamo perso tempo con “i buoni sentimenti”, e che cerca di annullare progressivamente le faticose conquiste sociali e civili delle generazioni precedenti.
La responsabilità sociale ha lasciato il posto a un’idea che, come affermava Margaret Thatcher, “la società non esiste, esistono solo individui.” Ne deriva la pretesa che ogni singola persona, a prescindere dal contesto e dalle risorse che ha avuto in sorte, possa e debba gestire da sola ogni aspetto della sua esistenza. Se non riuscirà, sarà lei la colpevole della sua situazione. Così facendo, lasciamo soli coloro che sono già nella solitudine e riserviamo i sevizi a chi se li può permettere. Abbiamo in questo modo assistito alla progressiva crescita di disuguaglianze vergognose: milioni di persone che vivono senza risorse e senza speranze e soggetti con privilegi e consumi senza limiti. Si è creata una divisione profonda fra chi cresce disponendo di risorse economiche, sociali e culturali e chi non può disporne, fra chi riesce a tenere il ritmo imposto dalla competizione e chi non ce la fa e, di conseguenza, viene respinto nella marginalità e nell’esclusione. E l’esclusione, nella scuola come nel resto della società, ha anche un costo assai più alto dell’inclusione.
Una scuola che esclude invocando rigore e severità non promuove conoscenze, ma ignoranza. E costa di più.(3).
Nel panorama sconfortante di profonda ingiustizia sociale e di disorientamento culturale, che comprende ovviamente anche l’impegno educativo verso le nuove generazioni, resiste fortunatamente anche una scuola che non ha dimenticato i riferimenti del bene comune e della responsabilità.
Sono gli insegnanti che, in controtendenza con il pensiero dominante, non hanno fatto proprio il modello competitivo, smentendo che esso sia un dato naturale e non invece il prodotto di una cultura. Sono insegnanti che non ritengono le difficoltà degli studenti come un ostacolo alla loro realizzazione professionale e come una perdita di tempo per i più capaci. Anzi, per loro, l’avanzamento nell’apprendimento e nei comportamenti sociali di chi rischia l’esclusione è condizione di autostima professionale e personale. Sono insegnanti che continuano con convinzione ed impegno quotidiano a costruire le condizioni che consentano a bambini ed adolescenti di acquisire fiducia nelle loro potenzialità, si impegnano ad allenarli all’esercizio critico riguardo alle seduzioni bugiarde e a far loro scoprire che ci può essere un piacere più grande di quello millantato dal consumismo: il piacere di capire e quello di condividere con gli altri il guadagno che deriva dalla acquisizione di nuove conoscenze e dalla collaborazione con i compagni.
Sono insegnanti che con i loro studenti costruiscono contesti d’apprendimento in cui non si motiva con le minacce e l’umiliazione, ma con la ricerca di strategie didattiche che aiutino a scoprirsi e a venire riconosciuti come ragazzi capaci di riuscire.
La scuola di tutti è un vantaggio per tutti, perché, come hanno scritto i ragazzi di Barbiana, infatti anche chi non vive in condizioni di svantaggio non è immune da rischi.
La cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessuno, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola. Una scuola che seleziona distrugge la cultura: ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose(4).
È nella realizzazione post scolastica e professionale che spesso il merito, cioè l’impegno e le competenze offerte al servizio della società, non trova l’adeguato riconoscimento, provocando profonde ingiustizie, sfiducia ed emigrazione di tanti ricercatori e giovani con tanta voglia di mettere alla prova le proprie competenze. Nei percorsi di realizzazione professionale:
Il rifiuto del merito è l’arma delle vecchie élite, dei poteri costituiti, dei clan, di tutti coloro che hanno dei privilegi da difendere(5)
Per ottenere un posto e per avanzare nelle responsabilità professionali – spiegano gli economisti Codogno e Galli – la nascita, l’appartenenza a gruppi privilegiati e le relazioni con personaggi di potere hanno assai più importanza delle competenze, perfino nel caso di professioni socialmente sensibili per la comunità, come la medicina, l’università e la giustizia.
Abbiamo bisogno di capire che l’esclusione scolastica e postscolastica è un danno per tutti, è uno spreco che non possiamo permetterci ed è una violenza sui più deboli che non possiamo tollerare.
Umiliare e punire non hanno mai ottenuto alcun risultato, anzi, hanno sempre alimentato frustrazione, disistima e desideri di vendetta, hanno cioè fatto diventare peggiori.
La strada della ricerca per comprendere le ragioni delle difficoltà scolastiche e dei comportamenti inadeguati è sicuramente più lunga e difficile, ma non fa del male a nessuno e, forse, può anche consentire di scoprire che la collaborazione e la solidarietà convengono a tutti.
Note
1. Canevaro A. (2013), Scuola inclusiva e mondo più giusto, Trento, Erickson.
2. Saraceno C. (26/11/22), La lotteria dello studio, La Repubblica, Milano.
3. Canevaro A. (2013), Scuola inclusiva e mondo più giusto, Trento, Erickson.
4. Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina.
5. Codogno L.e Galli G.(2022), Crescita economica e meritocrazia: Perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce, Bologna, Il Mulino.