LA MADRE ALLE SPALLE DI ZEUS

Ampio e complesso è il dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese circa tematiche dirimenti per la vita pubblica e personale di ciascuno di noi: il confronto, anche se sarebbe più corretto scrivere di scontro, attivato dalla discussione in Parlamento del così detto ddl Cirinnà ci spinge a interrogarci su cosa sia la famiglia, su cosa si intenda per matrimonio, su cosa è naturale e cosa è positivo, su molto altro ancora e su come tutte queste istanze vengono giocate nella vita quotidiana di ognuno di noi. Vogliamo entrare in questo dibattito, ma vogliamo farlo a modo nostro, non in maniera belligerante; al contrario, quello che a noi interessa è fornire quanti più strumenti possibili per riuscire a decodificare i nodi cruciali di quanto sta accadendo. Ci interessa seguire una modalità quasi socratica, interdisciplinare come sempre, attraverso cui sottoporre alla vostra lettura diversi spunti e suggestioni culturali da cui ognuno potrà trarne ciò che vorrà.

Il secondo capitolo di questo nostro percorso è costituito da un articolo di Francesco Colombrita, giovane studioso di cultura e lingue classiche. Se Marta Franceschini aveva indagato il rapporto tra maschile e femminile nelle società preistoriche e protostoriche, Francesco Colombrita elegge la mitologia quale campo privilegiato di riflessione, rilevando come la Dea primordiale, l’originale femminino, sia sopravvissuto nelle narrazioni delle società patriarcali e come in esse si sia declinato.

Ancora una volta, quindi, procediamo per cerchi concentrici verso i noccioli fondamentali del dibattito contemporaneo: la prendiamo alla larga per mostrare come le categorie di pensiero a noi contigue non siano monoliti eternamente dati, mostriamo che gli stessi termini che noi utilizziamo sono figli di una cronologia millenaria e, in essa, hanno assunto significati talora molto diversi tra loro.

Mattia Macchiavelli

  1. ‹‹La più grande bugia dell’umanità sull’origine dell’umanità›› di Marta Franceschini

LA MADRE ALLE SPALLE DI ZEUS

In un tempo remoto, ma ben dopo il principio, la titanessa Meti fuggiva, trasfigurando se stessa, dalla passione di Zeus che la inseguiva per le terre della Grecia. Da qualche parte tra i monti, i boschi e i fiumi egli la trovò e riuscì a fecondarla; fu allora il turno di un oracolo che rivelò ciò che diversi prima di lui avevano svelato ad altrettanti antenati di Zeus: Meti avrebbe partorito una femmina ma il suo secondogenito sarebbe stato un maschio che avrebbe spodestato e ucciso il re degli dei. Allora l’astuzia s’impossessò del figlio di Crono, che aveva ucciso il padre per simile vaticino e ben aveva dunque ragione di temerlo, e lo convinse a persuadere Meti: “ancora una volta giaci con me”. Ella acconsentì e tramutatasi in una goccia d’acqua per compiacere l’amante fu inghiottita. Un atroce dolore s’insinuò allora nella testa di Zeus, che non potè più avere pace, e dunque consigliato da Ermete ed aiutato da Efesto si fece dare un colpo secco al cranio, dal quale fuoriuscì la figlia annunciata che prese nome Atena.

giove_atena

Questo famoso mito, tra i più celebri del corpus greco, narra la nascità di Atena dalla mente di Zeus e molteplici sono state le analisi, principalmente di carattere allegorico, di questa narrazione. Un taglio particolare, antropologicamente molto interessante, è quello proposto da Robert Graves1 che, sulla scia di Frazer2, suggerisce l’esistenza di un background comune alle popolazioni pre-indoeuropee di cui il mito sarebbe una sorta di “manifesto” di difficile, ma possibile, lettura.

Il punto chiave dell’analisi di Graves circa l’identità culturale-religiosa di un’ampia area geografica che comprenderebbe tutto il Medio Oriente, l’Europa e non solo, è l’ipotesi di una società matrilineare che lentamente, a seguito di invasioni ed evoluzioni interne si sia modificata in quella che conosciamo ora; società che ben si adattava allo scorrere del tempo, con un calendario lunare di tredici mesi e tre stagioni3, in cui la regina-sacerdotessa al vertice (sovrana della materia religiosa e di conseguenza anche politica) sceglieva liberamente un compagno4, cui veniva riconosciuto il merito della fecondazione, il quale veniva sacrificato, affinchè il sangue nutrisse la terra, in apposite cerimonie; le dinamiche del sacrificio del “re” si sarebbero poi modificate col tempo fino a diventare puramente simboliche5. Piano piano la figura maschile acquisendo spessore si sarebbe imposta a quella femminile decretando il tramonto del matriarcato.

La successione divina del Pantheon greco è ricca di spargimenti di sangue che sembrerebbero reminiscenze di questo tipo di dinamiche di succesione: Zeus uccide Crono, il quale aveva evirato il padre Urano per prendere il suo posto. Ma il nuovo re degli dei trova modo di aggirare la questione e ingloba la Grande Madre Terra, la quale però rispunta fuori sotto forma di Atena, anche se rimoderata all’interno del nuovo assetto culturale che pone la mascolinità al vertice. Non a caso Jane Ellen Harrison, una delle fondatrici dei moderni studi della mitologia greca (nonchè femminsita e suffraggetta), definisce la nascita di Atena come un “disperato espediente mitologico per liberarla dai suoi precedenti matriarcali”6.

Se il mito nel caso precedente sembra tentare di aggiustare l’ideologia, in altri sembra celare avvenimenti più cruenti. I dati archeologici sembrano confermare l’esistenza di culti sacerdotali pre-dorici7 in cui le sacerdotesse, uniche depositarie dei misteri, indossavano vessilli della dea madre dall’aspetto terrificante (una primitiva immagine della dea con la testa di medusa e il corpo di cavalla è stata trovata in Beozia). Spetterà dunque ad un figlio di Zeus, anch’esso nato col destino cruento di uccidere un antenato (in questo caso il nonno materno), l’ardua missione di affrontare la Gorgone Medusa, unica mortale delle tre sorelle (tutte le manifestazioni della dea madre sono tripartite): Perseo che, riuscendo nell’impresa perchè aiutato da un infinità di Ninfe e deità femminili costrette con l’inganno o il ricatto, la decapiterà. Perseo_decapita_Medusa_-_Gio_Andrea_AnsaldoDal sangue di Medusa nascerà dunque Pegaso ed ecco che un altro simbolo della dea riemerge dalle ceneri. Graves interpreta questo avvenimento come eco dell’occupazione dei sacri templi da parte degli invasori. Del tutto analoga è la storia di Bellerofonte, che ucciderà la Chimera, dopo aver trovato e addomesticato lo stesso Pegaso; vicenda, questa, che lascia trapelare (come nella storia della nascita di Atena) un’assimilazione dei simboli di potere precedenti l’avvento del patriarcato.

I casi abbondano: celebre il tentativo di Apollo di violare Dafne, che Era trasformò in lauro per salvarla. Gli psicologi freudiani citano questo mito come il simbolo dell’istintivo orrore delle fanciulle per l’atto sessuale; tuttavia Dafne pare non fosse una vergine indifesa. Il suo nome è una forma contratta di Daphoene, la sanguinaria, cioè la dea in preda al furore orgiastico le cui sacerdotesse si inebriavano masticando foglie di alloro8.

medeaEchi di una femminilità forte, e a volte cruenta, percorrono l’intero corpus della letteratura greca. In una società in cui la donna era soggetta al predominio maschile epica, commedia e tragedia mettono in scena Dee indipendenti e streghe terrificanti; uno fra tutti il caso di Medea: figlia del re di Colchide Eete, Medea è nipote di Elio e della maga Circe; dopo aver aiutato, per amore, Giasone (altro caso mitico in cui il supporto femminile ad un impresa è fondamentale per la sua riuscita) a recuperare il Vello, fugge con lui. Nella versione di Euripide dopo un soggiorno a Corinto, Giasone lascia Medea per sposare la figlia di Creonte, il quale impone l’esilio alla maga; ottenuta la proroga di un giorno del decreto, la strega organizza la sua vendetta: non solo uccide la promessa sposa per mezzo della magia ma di suo pugno decide, dopo molta incertezza, di assassinare i propri figli, eliminando così la stirpe di Giasone. Il coro (composto dalle donne di Corinto) incalza sì Medea per farla desistere dal commettere atti esecrabili come l’infanticidio (uno tra gli atti considerati più tremendi) ma non manca di definire lei una povera sventurata, dipingendola quasi come vittima della situazione, spingendosi poi fino ad affermare: “sembra che in questo giorno la divinità infligga giustamente molti male a Giasone”9 10.

Nel suo essere “l’infelice e sanguinaria Erinni, mossa dal genio maligno della stirpe”11 alla nostra Medea spetta uno strano destino, considerate le sue colpe: su di un carro trainato da cavalli alati (ancora una volta legati alla dea) ascende verso il cielo, nella pratica diretta ad Atene, in una chiara iconografia da apoteosi divina.

Emerge da questi esempi una femminilità o, per meglio dire, un ruolo della donna, diverso da quello che si è soliti attribuire al mondo antico e, in un atto sconsideratamente iperbolico, alla storia dell’umanità; si è così abituati ad applicare il noto da non accorgersi che lo scibile necessita di elasticità di pensiero e anche di un certo grado di avventatezza. Le dinamiche sociali che hanno percorso la storia dell’umanità sono state le più disparate e questa diversità è grande prova della loro origine culturale12, pertanto estremamente circostanziale. Che sia la linguistica, l’antropologia, l’archeologia o la letteratura la strada scelta, un approccio innocente potrà portare a riflessioni che lasceranno di stucco il paradigma imperante giungendo, per riprende T. Khun, ad una rivoluzione del pensiero.

Francesco Colombrita

NOTE

  1. Robert Graves, I miti greci, 1963, Milano
  2. Frazer, Il ramo d’oro, studio sulla magia e sulla religione, 1890
  3. L’ipotesi di un anno suddiviso in tre stagioni è sostenuta da P. Nilsson nel suo Primitive Time Reckoning. Un interessante spunto d’analisi offerto da Graves invita a considerare alcune delle “bestie” mitologiche del corpus greco come rapresentazioni del medesimo concetto (Chimera, sfinge ecc. sono creature “tripartite”)
  4. Un antichissima società matrilineare, tutt’ora esistente, è quella dei Nayars dell’India meridionale dove le principesse non agiscono in modo dissimile da quello ipotizzato da Graves per le sacerdotesse in quesionte, scegliendo compagni a loro piacimento.
  5. Pare addirittura che, in questa fase di passaggio, al “re” fosse concesso di parlare pubblicamente solo indossando paramenti femminili. R. Graves, Op. Cit.
  6. J.E.Harrison, prolegomena to the study of greek Religion, 1903
  7. Secondo la memoria storica greca la penisola ellenica sarebbe stata oggetto di svariate invasioni da parte di tribù che vengono definite Doriche, Ioniche ed Eoliche, che rappresentano le aree culturali della Grecia di epoca storica. Nell’ interpretazione di Graves il patriarcato corrisponde all’avvento di tali invasori.
  8. Le foglie di alloro contengono cianuro di potassio. In epoca storica solo alle pizie era concesso di masticarle.
  9. Euripide, Medea vv 1231/1232
  10. Medea non è la prima figura femminile che uccide i propri figli; sempre il coro ricorda (vv1281/83) la vicinanza di Medea ad Ino (figlia di Cadmo e resa folle dalle Erinni) la quale dopo aver ucciso i figli si buttò in mare.
  11. Euripide, Medea vv 1259/60
  12. Dove si intenda cultura in senso antropologico e cioè come il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.

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