La ragazza con l’orecchino di perla: tra icona e trascendenza

Palazzo Fava a Bologna ospita nel periodo 8 febbraio – 25 maggio 2014 la mostra da titolo La ragazza con l’orecchino di perla: il mito della Golden Age; da Vermeer a Rembrandt, capolavori dal Mauritshuis.
La ragazza con l’orecchino di perla è uno dei tre quadri più famosi al mondo, insieme alla Gioconda di Leonardo da Vinci e all’Urlo di Munch; è conservato al museo Mauritshuis de l’Aia, che da due anni è chiuso a causa di imponenti lavori di restauro che termineranno prima dell’estate 2014. L’esposizione di quest’opera d’arte in Italia è indubbiamente un’occasione unica e, sebbene l’attenzione sia focalizzata sul quadro di Vermeer, la mostra è in realtà un’esposizione dedicata all’età d’oro della pittura olandese del XVII secolo, la cosiddetta Golden Age richiamata nel sottotitolo. Vi sono quindi quadri di artisti come Rembrandt, presente con ben quattro opere, Hals, Ter Borch, Claesz, Van Goyen, Van Honthorst, Hobbema, Van Ruisdael e Steen: i loro capolavori ci permettono di avere uno sguardo più ampio sulla pittura olandese del secolo in questione.
La prima sezione della mostra è dedicata alla storia del Mauritshuis e si apre con la Veduta del Mauritshuis di Augustus Wijnantz in cui ammiriamo questo splendido palazzo riflesso sul lago antistante. IMMAGINE 1 veduta de mauritshuis
Si prosegue la visita della mostra verso la seconda sezione dedicata al paesaggio, nello specifico al paesaggio olandese riprodotto da vari artisti che scelgono soggetti molto diversi tra loro: dagli animali nelle campagne alle imbarcazioni sui canali, dai laghi e fiumi alle città in cui si respira un’aria di grande operosità. Osservando con attenzione i quadri contenuti in questa sezione sul paesaggio ci rendiamo conto di come la dimensione intimista dell’arte fiamminga raggiunga il suo apice proprio nel XVII secolo: lo sguardo degli artisti è rivolto al dettaglio, alla puntualità descrittiva, quasi scientifica. In merito a questa caratteristica possiamo cogliere una profonda differenza tra il mondo olandese e il mondo italiano, tra spirito nordico e mediterraneo: lo spirito mediterraneo, infatti, fino ancora all’Ottocento respira un retaggio classico, mentre il mondo nordico è già improntato ad una sorta di autoreferenzialità, le arti hanno un orientamento più privato e progressivamente viene meno la committenza ecclesiastica (diversamente che in Italia).
La terza sezione è forse la più affascinante di tutta la mostra ed è dedicata ai ritratti della Golden Age, i quali raffigurano persone che appartengono a diverse classi sociali; di particolare fascino risulta il Ritratto di uomo anziano di Rembrandt in cui il pittore muove l’osservazione verso la caducità delle cose con una pittura materica volutamente sporcata: i particolari delle mani e della veste hanno una forte espressività e il linguaggio è puro sperimentalismo tecnico rivolto a indagare e approfondire la materia.IMMAGINE 2 ritratto di uomo anziano Rembrandt
La quarta sezione risulta interessante per la grande quantità di soggetti trattati: è intitolata interni con figure e si osservano volentieri le scene di quotidianità raffigurate in questi dipinti. Per esempio troviamo la Donna che scrive una lettera di Gerard Ter Borch, La vecchia merlettaia di Nicolaes Maes, la Ragazza che mangia ostriche di Jan Steen e altre opere in cui la varietà di temi è sicuramente il filo conduttore. È importante rilevare che in questa sezione troviamo uno splendido quadro di Vermeer, dal titolo Diana e le sue ninfe, in cui è forte il richiamo a un’iconografia mitologica che deve molto al seicento italiano.
IMMAGINE 3 Diana e le sue ninfe VermeerAvviandoci verso la conclusione della mostra, al termine della quale ammireremo La ragazza con l’orecchino di perla, passiamo alla quinta e ultima sezione dedicata alle Nature morte nella quale vi sono due nature morte di Pieter Claesz: Natura morta con candela accesa e Vanitas, natura morta. Il simbolismo della candela che si consuma nella prima delle due opere citate ci rimanda a significati legati alla caducità, così come il teschio e l’orologio nella seconda opera ci rimandano alla vanitas, al transeunte, alla vita che scorre, in ultima istanza alla paura della morte. Non possiamo non accennare a un altro capolavoro di questa sezione, Il cardellino di Carel Fabritius: questo artista era specializzato in nature morte e si racconta che tenesse quest’opera in una gabbietta, dunque questo uccellino simulava in qualche modo un uccellino vero e ciò doveva essere un incoraggiamento, una promozione alla bravura dell’artista, alla sua abilità, talento, capacità di rappresentare la realtà e creare illusioni ottiche. Lo scarto tra realtà e rappresentazione è forse il punto centrale e il nodo del fascino della pittura, che è un inno al qui e ora, alla presenza, all’esserci, senza domande sul prima e sul dopo. IMMAGINE 4 Il cardellino Fabritius
La mostra si conclude giungendo all’ultima sala in cui troviamo unicamente La ragazza con l’orecchino di perla che risale al 1665 c.ca. Almeno fino al 1881 quest’opera non era pressoché conosciuta e fu battuta all’asta per pochissimo. Oggi la chiamiamo gioconda del nord, espressione che tende a costruire intorno a questa bellissima immagine un mito, il culto dell’icona.
La ragazza vista nel dettaglio ci permettere di cogliere alcuni particolari: Vermeer è capace di straordinarie ricerche sulla materia, tutto quello che ammiriamo nella sua pittura ha caratteri di morbidezza, il suo linguaggio mira a riconoscere l’atmosfera evocativa del soggetto, che permette all’osservatore di riconoscersi, di entrare in risonanza col quadro. Ci si sofferma volentieri sullo sguardo e più in generale sull’espressione della ragazza, che è un momento di sospensione del tempo, che possiamo avvertire osservando il particolare delle labbra schiuse, da cui intravediamo la dentatura, e l’umidità creata dalla saliva in prossimità del labbro inferiore. Dovremmo porci di fronte a questo quadro, e più in generale di fronte alle opere di Vermeer, con lo spirito di coloro che sanno che quello che egli descrisse non è esattamente quello che i nostri occhi vedono, bensì quell’atmosfera, quegli stati d’animo profondi e interiori che egli praticava attraverso il pretesto della pittura. Nel rappresentare la ragazza Vermeer trascende l’identità del soggetto: il quadro infatti non è un ritratto celebrativo, bensì evocativo e ci porta lontano nel tempo.
Vermeer è stato definito maestro della luce; il volto della ragazza è estremamente luminoso, come se alla sinistra del quadro vi fosse una finestra aperta; la profondità del dipinto Vermeer la ottiene ricavando uno spazio buio tra il turbante della ragazza, il suo volto e il colletto bianco.
E l’orecchino? Certamente è stato celebrato sia come una caratteristica di questa opera, sia come un particolare sconcertante, poiché bisogna precisare che all’epoca cui il quadro appartiene era quasi impossibile procurarsi delle vere perle, non esistevano le perle coltivate, ma spesso da Venezia arrivavano dei gioielli che poi venivano dipinti per simulare la perla. Osservando meglio il particolare in questione ci sorge un interrogativo: forse non è un vero orecchino? Vermeer ha grande maestria nell’ottenere la forma dell’orecchino attraverso due pennellate soltanto di bianco, per cui a noi sembra di vedere la sfumatura di grigio in prossimità del gancio, in realtà vediamo l’incarnato della giovane che fa da sottofondo e permette alla mente per inferenza di recuperare la forma dell’orecchino. IMMAGINE 5 La ragazza con l'orecchino di perla VermeerCompiamo così un atto gestaltico, riconosciamo l’orecchino perché sappiamo che è un orecchino.
Avviandoci a concludere, possiamo affermare che fenomeni come queste mostre hanno certamente il merito di risvegliare degli interessi su alcuni artisti di grande qualità che rischiano di sopirsi, ma hanno anche forti limiti che nascono da una certa forma di mitizzazione degli stessi artisti. Nello specifico, La ragazza con l’orecchino di perla si venera come un’icona che forse rischia di “nauseare” (passatemi il termine) l’osservatore poiché quando ammiriamo troppo qualcosa rischiamo di diventare ciechi e di vedere solo quello che abbiamo letto, che ci hanno detto, vediamo l’apparato critico e rischiamo di non fare buon uso dei nostri strumenti critici. Un’icona si venera proprio perché rappresenta l’indicibile, ciò che non può essere rappresentato, allora forse dovremmo riportare la gioconda del nord a quello che effettivamente è, non un’icona distante dietro un vetro, bensì l’imperscrutabilità di uno sguardo che forse è solo sorpreso, che non vuole avere nulla di ammiccante e sensuale.
Infine, la pittura del seicento olandese, caratterizzata da uno sguardo scientifico sul paesaggio, sulla natura morta, sul ritratto, ci ha lasciato opere d’arte che, pur non provocando un elevato impegno intellettuale, riescono comunque ad intrattenere lo spettatore.

 

Laura Comitogianni

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