di Ottorino Tonelli
Provate a chiamare un idraulico, un antennista, l’elettricista, ma anche il meccanico e il muratore quando ne avete bisogno. Irreperibili o impegnati in lavori urgenti e improcrastinabili, quelli degli altri, s’intende. Ma anche l’ingegnere o il geometra o un tecnico d’ogni genere, un falegname: tutti impegnati, senza tempo da dedicare alle vostre necessità. Eppure, giudicare dai magri introiti indicati dalle loro dichiarazione dei redditi, sembra che lavorino ben poco. Evidentemente i liberi professionisti, quelli che lavorano a partita IVA, lavorano un paio di giorni a settimana ma lavorano, come i poliziotti, carabinieri e finanzieri impegnati ad allenarsi in palestra e negli stadi per partecipare alle prossime olimpiadi.
Ed è una prerogativa generalizzata quella del lavorare poco. Il dipingere e lo scolpire prevedevano un tirocinio, quello che si intende per “imparare un mestiere”. Oggi è sufficiente comperare una banana e appenderla al muro, o attaccare delle foglie secche ad una parete e scrivere il titolo: “Autunno”, punto. E perché stare a scrivere quando tanti e tanti hanno già scritto e stampato: prendo una pagina, cancello parole e mezze righe, ad ispirazione, e lascio qualcosa di scritto per carità di patria.
E poi c’è il coinvolgimento del pubblico, come a teatro quando l’attore intima “lei con la giacca seduto in prima fila, salga sul palco accanto a me” a recitare in simil spalla, ovviamente a gratis.
O ancora, come si fa con i bambini: ad una mostra ti offrono matite ed un pezzo di carta dicendoti di “rifare” il Campo di grano di Van Gogh, così, d’un tratto, quando meno te lo aspetti e tanto meno ne hai voglia, quando ti sei svegliato male ed hai girato mezz’ora per trovare parcheggio.
E qui siamo ancora nell’alveo di quelli che possiamo definire “sentimenti”: ti stimolano a “tirare fuori” quello che sta in un non ben definito “dentro”.
Ma poi c’è il cimento con la materia. Martello e scalpello offerti per aggredire un pezzo di marmo. La qual cosa implica il ricorrere alle risorse di energia fisica, perché il martello è pesante, e poi bisogna batterlo con forza nella maniera giusta sullo scalpello, e lo scalpello deve avere una giusta inclinazione rispetto al marmo… Tutte cose che chi te lo propone sa perfettamente ma non te lo dice: vuol vedere l’effetto che fa, come nei film di Ridolini o di Keaton… Ma poi quel manufatto, quel pezzo di marmo cianciucato verrà esposto in una galleria a nome del”artista? con quale titolo?
In una cava di marmo a Carrara il filo diamantato ritaglia un blocco di marmo; una gru lo solleva e lo posa sul cassone di un camion che lo trasporta in un laboratorio ben attrezzato dove un’altra gru lo deposita. Nel frattempo una persona entra in un museo e, con un aggeggio elettronico fa il rilievo a tre dimensioni di una scultura, di Michelangelo ad esempio; la registrazione viene inserita nella “mente” di un robot predisposto per lavorare il marmo. Al via, il robot inizia a togliere il marmo in eccesso. Piano piano il blocco inizia a somigliare a quella scultura di Michelangelo. Ad assomigliare, intendiamoci bene, perché il risultato iniziale è simile a delle enormi sottilette di formaggio sagomate e sfalsate una sull’altra. E comunque ci si può accontentare. Una gru solleva nuovamente il manufatto, lo pone sul camion che lo porta in una piazza dove un’altra gru lo pone su di un piedistallo. Un titolo e l’opera è fatta.
Una cosa è certa: quel marmo non è stato toccato da mano umana e, trovandosi sul piedistallo, neppure sporcato dai cani di passaggio.
I giovani sono sdraiati, gli artisti pensano, evidentemente da sdraiati.