LE DOMANDE DI PIE’

di Ottorino Tonelli

Non so se la luna e gli astri influiscano sulla vita degli uomini. Quella di Galbiato, detto Pie’, dimenticato in fasce sul tetto dai genitori inseguiti dagli squadristi fascisti nel 1928, in qualche cosa devono avere influito. La bassa statura è stata dettata dal di-enne-a, ma quello spirito di osservazione, quella curiosità onnivora, rara in chi non ha fatto le “scuole alte”, non potevano avergliela somministrata che le stelle di quella notte e dall’essere discendente di pastori.

Lavorava in uno stabilimento petrolchimico, ma per decenni fece il bottegaio e gestiva da solo, scapolone com’era, un piccolo spaccio alimentare rilevato dalla Cooperativa del Partigiano che a Carrara, nell’immediato dopoguerra, contribuì ad alleviare la carenza di cibo e a combattere la borsa nera.

Scendeva a Carrara di buon’ora in autobus dal vicino paese di Gragnana; comperava uno dei due giornali dediti alle notizie locali, si chiudeva nella sua “bottega” e cominciava a leggerlo alternandolo al settimanale anarchico Umanità Nova. E là dove le sue conoscenze non arrivavano, non si peritava di chiedere alle persone che, avendo “studiato” e che, secondo lui, “dovevano” sapere. Quando per tanti anni tutti i distributori di carburante esponevano il cartello “coupon”, senza che nessuno si fosse mai sognato di sapere e chiedersi cosa volesse dire, dal Pie’ arrivava la domanda a bruciapelo: «te che hai studiato, cosa vuol dire “coupon”?»

Lui, scapolo e mattiniero, godeva del vantaggio del tempo, così che, quando uno entrava nel suo negozio, era svantaggiato dal non avere neppure sfogliato il giornale; giocava a fare la parte del gatto col topo con i rari avventori.

Quando apparve la prima foto di una delle “Teste di Modigliani” ripescate nel fosso di Livorno, Pie’, vedendomi varcare la porta del negozio, come suo solito, cioè a bruciapelo, mi chiese: «te cosa ne pensi?»

La notizia della ricerca delle sculture presumibilmente gettate nel canale da Amedeo Modigliani era di pubblico dominio dopo che ne aveva parlato anche la Tv. Io mi ero chiesto, senza darmi una risposta, come un sasso potesse essere rimasto per tanti decenni nel presunto posto di un canale soggetto all’andirivieni delle maree, alle piene, ai dragaggi… Ma non era questo l’importante: ora il “ritrovamento” era avvenuto, documentato da una grande foto a colori in prima pagina di quel giornale che Pie’ aveva comperato, sfogliato e letto anzitempo. E per Pie’ era semplice, logico e lapalissiano inchiodarmi con l’inaspettato: «giusto te: cosa ne pensi?», riferendosi alla cubitale notizia.

Cos’altro potevo dire, dopo aver visto fugacemente l’immagine di quel sasso informe, senz’arte né parte, senza riflettere né pensare? E d’istinto dissi: «Se è di Modigliani era meglio se non la trovavano». Sottolineando il se.

A domanda risposta, per me la vicenda era finita lì.

Nel tempo seguirono tutte le classiche vicende caciarone, e un po’ italiche, delle due fazioni, pro e contro l’autenticità di quella pietra e delle altre ritrovate successivamente. Ma la prova provata che si trattava di una burla tipicamente livornese, che metteva il punto finale alla vicenda, non convinse tutti. Però convinse il Pie’ che si trattasse di una burla e di un falso. Così, un bel mattino, nell’atto di varcare la soglia del suo negozio il Pie’ mi apostrofa:

E te come facevi a saperlo?

A sapere che cosa?

A sapere che i Modigliani erano falsi

Io non sapevo che erano falsi, ho solo visto che erano più che brutte

No, te lo sapevi!

Ti dico che sono bruttissime, una schifezza!

Come fai a dire che sono brutte se tutti i professoroni hanno detto che erano vere?

I professori hanno studiato, sanno tante cose, più di me, ma non hanno occhi per vedere.

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