di Roberta Merighi
«Noi non sapevamo che cosa stava per succedere. Nessuno ci diceva nulla. Mio padre continuava ad essere ottimista e continuava a credere che i soldati olandesi avrebbero protetto i civili, senza badare al fatto che egli stesso vedeva i Cetnici [così erano chiamati i nazionalisti serbi] all’interno della fabbrica [la base dei caschi blu]. […] Gli olandesi non avevano armi […] e notai che non sembravano più così sicuri come al nostro arrivo alla base. Ciò che veramente mi sorprese fu che essi stessi stavano presso quei sacchi di plastica dove gli uomini erano costretti a svuotare le loro tasche. Siccome camminavo dietro a mio padre Lutvo, vidi quando un soldato olandese lo forzò a lasciare nei sacchi persino il suo berretto. Io pensavo ai soldati olandesi che ci avevano promesso che nulla di brutto ci sarebbe successo, che ci avevano detto di non aver paura perché ci avrebbero protetto. Quando fummo molto vicini ad uno degli autobus parcheggiati, uno dei Cetnici che indossava una uniforme olandese si avvicinò e disse a mio padre: “Tu vecchio seguimi”. Io mi girai e vidi un folto gruppo di uomini che erano già stati separati dagli altri. Mio padre Lutvo fu costretto a raggiungerli. A causa degli olandesi il sogno di mio padre di raggiungere un territorio libero non si avverò». Continue reading