Erika da Copenhagen: I non cervelli in fuga

… ed ecco un’altra rubrica su un’Italiana all’estero. “Un’altra???!” direte voi “Un’altra” vi rispondo io.

Non molto tempo fa,  parlando con altri amici esuli, siamo giunti alla conclusione che  più o meno metà dei conoscenti della nostra generazione (anno più, anno meno) sono, per qualche motivo, fuori dai confini Italici.
C’è chi sta facendo l’Erasmus, chi un internship, qualcuno che ha deciso di dedicare un po’ di tempo ad un progetto di volontariato, chi ha trovato lavoro, chi fa il ricercatore, chi ha trovato l’amore, chi è andato in avanscoperta perché “magari, se poi mi piace, mi posso trasferire”, e via dicendo.

Non possiamo dire che sia una ricerca statistica propriamente definita, ma in ogni caso sono numeri mi hanno fatto riflettere.

Come se non bastasse, ogni giornale online ha inflazionate sezioni di blog e valanghe di articoli di “Italiani all’estero”, “Cervelli in Fuga”, “Come scappare dall’Italia e vivere felici”, e chi più ne ha più ne metta.
Pare abbastanza ovvio provare a suggerire che l’emigrazione italiana sia tornata ad essere un fenomeno sociale.

Girl holding suitcaseSiamo una generazione di emigrati?! Ma soprattutto, cosa vuol dire emigrare nel XXI secolo?

Perché abbiamo deciso di andarcene? Con quali aspettative? Cosa abbiamo trovato? Siamo felici?

In genere queste sono domande che ci sentiamo porre quasi quotidianamente, a cui non è sempre facile dare una risposta ed a cui è praticamente impossibile dare una risposta univoca.
Giovanna da Londra vi darà una cosa, Michele da Nantes un’altra, per non parlare di Alessandro da Melbourne.

Erika da Copenhagen non ha le presunzione di conoscere la Verità. Questa rubrica non sarà un Vademecum di “cosa fare” e cosa “non fare” per essere un emigrato di successo.
Principalmente perché non lo sono nemmeno io. Voglio dire, di sicuro non rientro nelle statistiche dei “cervelli in fuga”. Si, di cervello ne ho uno, ma non sono una famosa ricercatrice né un broker a Wall Street. 

Poco prima di essere arruolata per il  blog di MetroPolis, mi sono imbattuta in un articolo di tale Matteo Cavezzali sul “il Fatto” proprio a proposito di questa fuga di “non cervelli”.

E mi sono chiesta se il contenuto di questo articolo, di forma assai discutibile, è ciò che realmente passa per l’opinione pubblica: non riusciamo a tagliare il cordone ombelicale con l’Italia,  mangiamo male, ci vestiamo peggio, abbiamo freddo, facciamo lavori umili (“che mai avremo accettato in Italia”) e ci portiamo dietro gli italici vizi di furbizia e scaltroneria.
E’ davvero tutto qui?!

Oppure, cerchiamo di rimanere aggiornati sulle vicende Italiane perché ogni volta che qualcuno scopre che sei Italiano scatta il “ehhh Mafia, Berlusconi e Bunga Bunga” che mette in moto analisi (più o meno accurate)  sul perché della situazione italiana di oggi.
Perché magari anche noi pensiamo a possibili soluzioni alla stagnazione culturale dell’Italia.
Perché voglio, ad esempio, provare a spigare cosa sia la mafia, quella vera, non quella dei film,  perché è così radicata e perché è così difficile da estirpare.

Perché è incredibilmente frustrante dover sempre fare paragoni in negativo.

Penso che ogni essere umano sia, anche inconsapevolmente, alla ricerca di qualcosa, qualcosa che lo faccia stare bene, che lo renda felice, che dia un senso alla sua esistenza.
Per qualcuno è mettere su famiglia, per altri la carriera, può essere la pubblicazione di un libro, il riconoscimento di certi diritti, realizzare il proprio sogno nel cassetto.

Ed è qui che colloco il mio viaggio di emigrata. Nel XXI secolo, all’interno dei porosi confini dell’UE, è incredibilmente semplice guardare oltre le alpi e chiedersi “Ma se quello che cerco è Copenhagen?!”  Ed ecco che si prenota un volo, non bisogna neanche fare il passaporto, non è necessario. E via.

Questo, ben inteso, non ha nulla a che vedere con altri tipi di flussi migratori. Non c’entra nulla con l’essere un rifugiato, la mia migrazione non è minimamente equiparabile a chi cerca disperatamente di attraversare il Mediterraneo su di un gommone, non sto scappando da un paese in cui la mia vita è a rischio ogni singolo giorno né tantomeno in preda alla guerra civile, non rischio di essere incarcerata per le mie idee politiche e non ho mai rischiato di morire di fame.

Sono semplicemente alla ricerca di un qualcosa che (per ora?!) non sono riuscita a trovare in Italia.

 

Erika Fini

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