DIARIO DI BORDO – TERZA SETTIMANA

di Mattia Macchiavelli

BOLOGNA, 27/03/2020
DIARIO DI BORDO N°8

Non so esattamente perché o come, ma oggi mi sono sorpreso a pensare che nei momenti più difficili io do qualsiasi cosa, senza risparmiare e senza risparmiarmi. Do tutto, fino a prosciugarmi e a sentirmi arido, senza più nulla da offrire. È in quel preciso momento che mi chiedo se ce la farò, se per me non è troppo, se riesco a sopportare tutto. È successo dopo il funerale della Leti, quando le cose di cui occuparsi erano finite e quando rimanevano solo il dolore e la certezza della sua inesauribilità. È successo dopo la prigionia del negozio, quando ho dovuto interrompere tutto, quando c’era solo un lavoro da fare per quasi 90 ore a settimana, alienante e ineluttabile. Succede oggi, quando avrei bisogno di spegnere un mondo che macina pur rimanendo fermo ma non posso farlo: perché sarebbe folle e irresponsabile da parte mia, perché sono vietate tutte le mie persone sicure. Oggi mi accorgo che questo fondo che ogni tanto mi capita di toccare e che mi restituisce le mie cattiverie, ha a che fare con la cattività delle cose che sono così e che non possono essere altrimenti. Io sono la persona delle strade alternative, delle vie del compromesso, delle luci che si accendono anche quando sembra impossibile farlo: lo sono autenticamente, ci credo davvero e razzolo quello che predico. Eppure, quando l’inevitabile mi sovrasta e capisco che le cose stanno come stanno e non c’è appello, allora sento il bisogno di arrendermi completamente e vivere la disfatta assoluta. Ho bisogno di tornare primordiale, umorale, cattivo, ho bisogno di quell’umanità sporca e sconveniente che comunque mi contraddistingue. Perché alla fine le risposte le so: non ce la farò, non riesco a sopportare tutto, per me è troppo. E allora lo accetto. Lo accetto per il tempo in cui posso accettarlo: una manciata di ore, qualche giorno, una settimana, un mese, quello che è. Sprofondo, rimango in contatto con la bestia, la faccio sfogare nei limiti del possibile. Questo è il mio compromesso con l’inevitabile. Continue reading

DIARIO DI BORDO – SECONDA SETTIMANA

di Mattia Macchiavelli

BOLOGNA, 16/03/2020
DIARIO DI BORDO N°6.

Oggi è stata la giornata più difficile. La giornata delle scelte pesanti e delle comunicazioni complesse, dove anche le parole si asciugano e fanno fatica, schiacciate dal peso delle responsabilità. Perché quelle scelte ho contributo a disegnarle e perché quelle comunicazioni mi sono incaricato di darle. La tosse nervosa mi ha accompagnato tutto il giorno e di questi tempi non è il massimo, sicuramente non il miglior biglietto da visita dopo un «Ciao!». Continue reading

Erika da Copenhagen: I non cervelli in fuga

… ed ecco un’altra rubrica su un’Italiana all’estero. “Un’altra???!” direte voi “Un’altra” vi rispondo io.

Non molto tempo fa,  parlando con altri amici esuli, siamo giunti alla conclusione che  più o meno metà dei conoscenti della nostra generazione (anno più, anno meno) sono, per qualche motivo, fuori dai confini Italici.
C’è chi sta facendo l’Erasmus, chi un internship, qualcuno che ha deciso di dedicare un po’ di tempo ad un progetto di volontariato, chi ha trovato lavoro, chi fa il ricercatore, chi ha trovato l’amore, chi è andato in avanscoperta perché “magari, se poi mi piace, mi posso trasferire”, e via dicendo.

Non possiamo dire che sia una ricerca statistica propriamente definita, ma in ogni caso sono numeri mi hanno fatto riflettere.

Come se non bastasse, ogni giornale online ha inflazionate sezioni di blog e valanghe di articoli di “Italiani all’estero”, “Cervelli in Fuga”, “Come scappare dall’Italia e vivere felici”, e chi più ne ha più ne metta.
Pare abbastanza ovvio provare a suggerire che l’emigrazione italiana sia tornata ad essere un fenomeno sociale.

Girl holding suitcaseSiamo una generazione di emigrati?! Ma soprattutto, cosa vuol dire emigrare nel XXI secolo?

Perché abbiamo deciso di andarcene? Con quali aspettative? Cosa abbiamo trovato? Siamo felici?

In genere queste sono domande che ci sentiamo porre quasi quotidianamente, a cui non è sempre facile dare una risposta ed a cui è praticamente impossibile dare una risposta univoca.
Giovanna da Londra vi darà una cosa, Michele da Nantes un’altra, per non parlare di Alessandro da Melbourne.

Erika da Copenhagen non ha le presunzione di conoscere la Verità. Questa rubrica non sarà un Vademecum di “cosa fare” e cosa “non fare” per essere un emigrato di successo.
Principalmente perché non lo sono nemmeno io. Voglio dire, di sicuro non rientro nelle statistiche dei “cervelli in fuga”. Si, di cervello ne ho uno, ma non sono una famosa ricercatrice né un broker a Wall Street.  Continue reading