TUTTO È POLITICA. BILANCIA, LA RICERCA DELL’EQUILIBRIO

di Rosalba Granata

«Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, […] dovrei parlarti della Berenice nascosta, la città dei giusti, […] anziché rappresentarti le vasche profumate delle terme sdraiati sul cui bordo gli ingiusti di Berenice intessono con rotonda eloquenza i loro intrighi e osservano con occhio proprietario le rotonde carni delle odalische che si bagnano, dovrei dirti come i giusti, sempre guardinghi per sottrarsi alle spiate dei sicofanti e alle retate dei giannizzeri, si riconoscano dal modo di parlare, specialmente dalla pronuncia delle virgole e delle parentesi; dai costumi che serbano austeri e innocenti eludendo gli stati d’animo complicati e ombrosi; dalla cucina sobria ma saporita, che rievoca un’antica età dell’oro: minestrone di riso e sedano, fave bollite, fiori di zucchino fritti.

Da questi dati è possibile dedurre un’immagine della Berenice futura […] Sempre che tu tenga conto di ciò che sto per dirti: nel seme della città dei giusti sta nascosta a sua volta una semenza maligna; la certezza e l’orgoglio d’essere nel giusto – e d’esserlo più di tanti altri che si dicono giusti più del giusto – fermentano in rancori rivalità ripicchi, e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smania d’essere al loro posto a far lo stesso di loro. Un’altra città ingiusta, pur sempre diversa dalla prima, sta dunque scavando il suo spazio dentro il doppio involucro delle Berenici ingiusta e giusta.

Detto questo, se non voglio che il tuo sguardo colga un’immagine deformata, devo attrarre la tua attenzione su una qualità intrinseca di questa città ingiusta che germoglia in segreto nella segreta città giusta: ed è il possibile risveglio – come un concitato aprirsi di finestre – d’un latente amore per il giusto, […]. Ma se si scruta ancora nell’interno di questo nuovo germe del giusto vi si scopre una macchiolina che si dilata come la crescente inclinazione a imporre ciò che è giusto attraverso ciò che è ingiusto, e forse è il germe d’un’immensa metropoli […].

Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevo avvertirti è un’altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante, avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili».

(Calvino, Le città invisibili)

Le città invisibili è un originalissimo testo di Calvino del 1972.

All’inizio di ogni capitolo Marco Polo è a colloquio con il Gran Khan, il sovrano di un impero sconfinato, ed è proprio il grande viaggiatore ad essere chiamato a dare notizie sugli immensi territori.

Tra un dialogo e l’altro le immagini delle città, suggestive, visionarie, che acquistano la potenza di emblemi. Sono come sentenze di un oracolo in cui siamo noi a cercare un orientamento, una via.

L’ultima città è Berenice. In lei si aggrovigliano le possibilità, città dell’ingiustizia e città dei giusti, in un duello che vive di continui ribaltamenti.

Calvino affronta il tema dell’utopia, già trattato in tante opere letterarie e filosofiche.

Ma lo scrittore ha la certezza che l’utopia non possa mai realizzarsi. L’Utopia è una tensione, non una realizzazione.

Afferma Citati: «Non c’è una città perfetta. Non c’è la città giusta. Eppure, nei buchi che ogni tanto si aprono nel libro e nell’universo, Calvino disegna una sua utopia minima seppure non sia mai dimenticato il dolore e l’inferno».

Dice infatti Marco Polo a Kublai Khan:

«Alle volte mi basta uno scorcio che si apre nel bel mezzo di un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie».

E nella parte finale invita quindi il grande imperatore, ma al tempo stesso tutti noi, a non cercare nell’atlante dell’esistenza la città ideale: essa non può esistere, ma non dobbiamo per questo ritenere che tutto sulla terra sia solo inferno e arrenderci ad esso.

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

C’è sicuramente Calvino dietro questo Marco Polo visionario, dietro alla sua amarezza, dietro alla sua continua ricerca pur nella consapevolezza pessimistica dell’esistenza. Ma c’è Calvino anche dietro al personaggio del Gran Khan, teso a comprendere razionalmente il suo impero, metafora del mondo.

Calvino ha Sole e Mercurio in Bilancia, Luna in Capricorno. Saturno è congiunto al Sole. È quindi decisamente una Bilancia Saturniana. Lo afferma lui stesso:

«Sono un saturniano che sogna di essere mercuriale e tutto ciò che scrivo risente di queste due spinte»(1).

E nella sua personalità convivono due aspetti diversi della Bilancia. Rigore e Leggerezza. Rigore nella sua ricerca di leggerezza.

Dopo l’imprescindibile Calvino vorrei fare riferimento a John Lennon e a Gandhi che ben rappresentano i valori della Bilancia: l’aspirazione alla Pace e Armonia universale, senso di giustizia, non violenza.

Il testo musicale più famoso di John Lennon, e uno dei più famosi di tutti i tempi, è sicuramente Imagine del 1971, espressione della ricerca di un mondo migliore, di un mondo di pace e giustizia:

«Immagina che non ci sia alcun paradiso/ è facile se ci provi/ niente inferno sotto di noi/ sopra di noi solo il cielo/ Immagina tutte le persone/ vivere per il presente.

Non è difficile da fare/ niente per cui uccidere o morire/ e nessuna religione/ Immagina tutte le persone/ Vivere la vita in pace.

Puoi dire che sono un sognatore/ ma non sono il solo/ Io spero che un giorno ti unirai a noi/ e il mondo sarà come una cosa sola».

John Lennon era Bilancia con Ascendente Ariete. Il suo era un tema natale tormentato specchio di una personalità complessa ma con ferree convinzioni.

«Credo che la non – violenza sia infinitamente superiore alla violenza. […] Non sono un utopista: sostengo di essere un idealista pratico. La religione della non violenza non è solo per i Rishis(2) e per i santi. È anche per la gente comune. La non violenza è la legge della nostra specie come la violenza è la legge dei bruti. […] La non violenza non vuol dire umile sottomissione alla volontà del malfattore, ma significa impegnare tutta la propria anima contro la volontà del tiranno». (Gandhi, Autobiografia, Feltrinelli)

È Gandhi sicuramente il maggiore alfiere dei valori di pace e non violenza.

Nel suo oroscopo tali valori sono molto evidenziati, infatti in Bilancia si trovano sia il Sole che l’Ascendente. Particolarmente evidente è anche l’aspetto della spiritualità: il Sole in casa 12 e la Luna (in Leone) è in bellissimo trigono tra Nettuno e Saturno.

Con la Bilancia «L’uomo scopre la polis» (Sicuteri).

Con il settimo segno dello Zodiaco, opposto all’Ariete, si passa quindi dall’io all’incontro con l’altro. Ne scaturisce la socialità, l’impegno etico, la tensione verso la giustizia.

Il senso di giustizia, il bisogno di mediare ne fanno un segno particolarmente adatto per la politica.

 

E infatti molti sono i politici della Bilancia. Possiamo citare Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro, Berlusconi e Nicola Zingaretti. Fuori dall’Italia Vladimir Putin e Margaret Thatcher.

Tra i politici di “ieri” troviamo Sandro Pertini, il Presidente sicuramente il più amato della storia repubblicana. 

Pertini era Bilancia con Ascendente Acquario, la prevalenza netta dell’elemento Aria rispecchia la sua curiosità e capacità comunicativa. Aveva anche una casa ottava fortissima, segno spesso di forte amore per la politica.

Pensate che quando venne eletto presidente, molti si domandarono che cosa mai sarebbe riuscito a fare un vecchio di 82 anni che era stato un ribelle per tutta la vita (Pansa). Anche tra i socialisti vi erano tanti dubbi: è troppo anziano, è imprevedibile, è bizzarro, ama far troppo di testa sua, non guarda in faccia a nessuno. 

Erano anni difficili, gli anni del terrorismo, dell’assassinio di Aldo Moro, gli anni dell’eversione nera, delle stragi.

È stato un presidente eccezionale. Si sono rivelati esplosivo il suo stile e il suo linguaggio, diceva con naturalezza “pane al pane”.

Era presente, lo sentivamo vicino nei momenti del dolore (a Bologna lo ricordiamo molto bene ai funerali delle vittime del 2 agosto). In anni di sfiducia nelle istituzioni ci stringevamo attorno a lui con fiducia.

Era presente anche nei momenti della gioia. Come dimenticare il suo trascinante entusiasmo ai Mondiali di Spagna!

Come molto spesso gli uomini della Bilancia era galante e un po’ vanitoso. La sua verve trasgressiva e la spiccata carica umanitaria si collegano invece molto bene all’ascendente Acquario.

Ma soprattutto sue spiccate caratteristiche erano il rigore e l’onestà.

Rileggiamo le parole della sua famosa intervista ad Oriana Fallaci:

«Senta la politica se non è morale non mi interessa. Io, se non è morale, non la considero nemmeno politica, la considero una parolaccia che non voglio pronunciare. Mi dia pure del sentimentale o dell’ingenuo. Tanto non me ne offendo, per me anzi è un onore. Ma non esiste una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, perbacco». (da Intervista con il potere, Oriana Fallaci, 1973)

E nella sua lunga vita solo coerenza. Non fu mai al centro di uno scandalo né di un sospetto.

Affermava che i giovani “non hanno bisogno di prediche ma di esempi”

E lui era ed è un esempio. Non dimentichiamolo.

 

Note:

1) In Lezioni americane, lezione sulla rapidità.

2) Rishis, un saggio, un santo, un eremita.

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