di Francesco Colombrita

Edito Minimum fax, 2018, 236 pagine
Tutte le generazioni felici si assomigliano tra loro, ogni generazione infelice è infelice a modo suo: in ogni epoca è l’orizzonte del possibile e il suo raggiungimento a determinare spesso il discrimine tra queste due istanze. Gli anni Venti del ‘900 sono un esempio esplosivo di tali contraddizioni e il miglior cantore ne è stato probabilmente Francis Scott Fitzgerald.
In quello che è il suo romanzo più famoso in assoluto, Il grande Gatsby, lo scrittore del Minnesota mette in scena lo sfarzo e l’impetuosità dell’età del proibizionismo e della crisi della morale. Il protagonista e narratore è interno alla storia e racconta a distanza di anni di come, attraversata la valle della cenere e affittata una casupola per trasferirsi in quel di New York si sia imbattuto in antiche amicizie e nuovi incontri, il più emblematico dei quali è Jay Gatsby. L’uomo granitico, insondabile, dal passato fumoso e che vive in un castello dando feste a più non posso. Sotto l’apparenza patinata di ville, giardini e tende svolazzanti si cela una complessità umana che nelle poche pagine del romanzo acquista una forza sempre più dirompente mano a mano che le vicende si avvicinano all’inesorabile conclusione. Una coppa di champagne è d’obbligo, tra una pagina e l’altra!