EDUCAZIONE QUOTIDIANA DI DISUMANITÀ

di Angelo Errani

17 novembre 1938

Il 17 novembre 1938, venne emanata la Legge n. 1728, Provvedimenti per la Difesa della Razza, firmata dal capo del governo Benito Mussolini e promulgata dal re Vittorio Emanuele III.

Novembre 2018, sono passati ottant’anni. Tutto risolto? Possiamo stare tranquilli?

27 novembre 2018

Il 27 novembre 2018 il Parlamento italiano ha approvato la Legge Decreto sicurezza, firmato dal ministro dell’interno Matteo Salvini.

Quando, attraverso le leggi, ma anche attraverso le parole, i gesti, gli sguardi, i comportamenti, vengono introdotti nella quotidianità elementi che permettono di allontanare dal vissuto di appartenenza comune gruppi umani o singoli, caratterizzandone la diversità come pericolo o come problema, concorriamo a creare delle categorie di differenza che ne sanciscono la lontananza e si determina quella che i sociologi chiamano una “produzione sociale di distanza”. Una produzione che si costruisce per accumulo, per un sommarsi di elementi, a volte anche non esplicitamente orientati, ma che contribuiscono a realizzare un risultato, che potrebbe anche non essere voluto o anche solo non chiaro a chi ha concorso alla sua realizzazione. Si tratta di un processo non visibile che provoca la rottura dei legami sociali, un processo che nella storia ha purtroppo avuto sempre effetti drammatici. Se aumenta la distanza fra gruppi sociali infatti, aumenta di conseguenza la non conoscenza e, se sentiamo qualcuno distante, saremo poi molto più disinvolti nell’accettare che venga trattato con modalità che, se fossero rivolte a noi, riterremmo inaccettabili.

Proviamo a interrogare la quotidianità in cui siamo immersi e chiediamoci: i bambini che sono cresciuti o che stanno crescendo negli ultimi anni che cosa ascoltano? Che cosa vedono? Quali esperienze vivono nei rispettivi contesti di vita?

  • Vedono tante persone, adulti e bambini, in fuga da guerre e da condizioni di povertà estrema, arrivare dal mare, sentono che queste persone vengono ammassate da trafficanti assassini sopra dei barconi fatiscenti, che a volte affondano o che, se vengono salvate dalle navi delle organizzazioni umanitarie, vengono poi respinti dal governo del nostro Paese. Sentono dire che quelli che riescono ad arrivare sono dei clandestini, degli irregolari e che sono un problema per la sicurezza. Sentono anche dire che accoglierli è costoso, uno spreco di risorse che potrebbero invece venire destinate ai cittadini che lavorano e che pagano le tasse, tasse che invece vengono sperperate per mantenerli.
  • Gli alunni di una serie di scuole, come è successo ultimamente anche a Lodi, hanno assistito all’esclusione di alcuni loro compagni di classe dalla mensa, motivata con il mancato pagamento della retta per la refezione e che, quindi, i genitori dei loro compagni sono dei disonesti, degli approfittatori. Altri alunni non hanno più rivisto un loro compagno di classe perché la sua famiglia, che per evidenti difficoltà era costretta con tante altre ad abitare in alloggiamenti o tendopoli di fortuna, è stata brutalmente sfrattata dalle ruspe inviate dal ministro dell’interno. Hanno anche saputo che lo stesso ministro ha annunciato che i compagni Rom e i loro familiari debbono essere schedati, perché occorre controllarli, visto che si tratta di persone che vivono di espedienti e che sono quindi assai poco affidabili.
  • I bambini sentono quotidianamente affermare da personalità che ricoprono ruoli di responsabilità che le istituzioni del Paese e dell’Europa non sono credibili, che i politici sono corrotti, che i magistrati sono di parte, che i giornalisti dicono bugie, che gli operatori dei servizi pubblici sono dei fannulloni, che molte persone si fingerebbero bisognose per vivere sulle spalle delle persone perbene. Sentono anche che per sistemare il paese occorrerebbe un capo, la cui azione non venga limitata dai troppi vincoli frapposti dai diversi organi dello stato e delle istituzioni sovranazionali, indicati con disprezzo come covi di burocrati. Viene così nascosto il ruolo di garanzia rappresentato in un sistema democratico dall’equilibrio fra i diversi poteri e viene occultato il ruolo dell’Unione Europea e delle Istituzioni internazionali per la riduzione dei conflitti ed il mantenimento della pace.
  • La terminologia con cui viene detto e scritto tutto ciò da chi, ricoprendo cariche autorevoli, dovrebbe avere come compito la cura della coesione sociale e l’attenzione al rispetto fra le persone del Paese che hanno l’onore di rappresentare, è intenzionalmente di una volgarità vergognosa, fatta di insulti e derisioni sprezzanti: parole che offendono, feriscono, provocano, ricattano, umiliano e che, inevitabilmente, legittimano la violenza.

Bambini e adulti sono investiti da una martellante dose quotidiana di odio verso gli altri, di paura verso chi è diverso per provenienza, lingua, cultura, abitudini e di fastidio verso chi vive delle difficoltà, suggerendo giorno dopo giorno l’idea che chi presenta dei bisogni mette in pericolo il benessere degli altri.

Non possiamo non constatare l’emergere di evidenti somiglianze fra la situazione presente e ciò che si è già verificato nel passato, il cui sviluppo, anche allora altrettanto imprevedibile, ha poi determinato eventi terribilmente tragici. Abbiamo quindi il dovere di rendere visibili le conseguenze inevitabili dell’educazione alla paura e all’odio verso gli altri. Lo dobbiamo alle tante vittime del passato, alla nostra dignità come persone e ai giovani e ai bambini che non possono ovviamente avvalersi delle memorie di eventi non vissuti.

Ridurre i costi provocati da vite inutili

Le leggi razziali, che vennero emanate in Germania nel 1935 e in Italia nel 1938, si pongono in continuità con la legge che, a partire dal 1933, legittimò la sterilizzazione di centinaia di migliaia di persone, giustificata da insigni medici e giuristi come «prevenzione delle malattie ereditarie». A queste, il 1° settembre 1939, fece seguito la legge che avviò il programma di «rimozione forzata delle vite senza valore» (unwertes leben) (Bauman, 1992, p. 230).

I riferimenti proposti come legittimazione di tali leggi furono: l’aspetto economico, basato sulla valutazione del rapporto costi/benefici, e l’aspirazione a difendere la «razza» dalla minaccia delle «razze inferiori».

Ogni aspetto della vita culturale – il cinema, la radio, i giornali, i libri, l’arte – si dedicò a convincere, influenzare, coinvolgere. Anche ai bambini si cercò di offrire una educazione convincente, presentando come legittimata scientificamente la necessità della sterilizzazione e dell’eliminazione delle vite descritte come «vite senza valore».

Le immagini 1, 2, 3 sono alcune delle illustrazioni che Hartmann Hinterhuber (2003) ha scelto fra le 400 che corredavano il volume curato da Sepp Burgstaller, intitolato Erblehre, Rassenkunde und Bevolkerungspolitik (Genetica, teoria della razza e politica demografica), pubblicato a Vienna nel 1941 dal Deutscher Verlang fuer Jugend und Volk, dedicato agli alunni delle scuole del III° Reich.

Le didascalie che corredano le illustrazioni affermano:

«Allo Stato uno scolaro sano costa giornalmente 1,33 marchi, uno immune da tare ereditarie costa annualmente 125 marchi. Uno scolaro delle scuole differenziali costa 1,50 marchi al giorno, un malato mentale 3 marchi al giorno, un sordomuto quattro marchi al giorno, mentre un soggetto affetto da patologie ereditarie costa annualmente 1.944 marchi. Per gli individui affetti da patologie ereditarie la Germania spende annualmente 1,4 miliardi di marchi. Con questi soldi si potrebbero costruire ogni anno 70.000 case per altrettante famiglie».

«Gli asociali non sono espressamente malati ereditari, ma sono elementi dannosi per il popolo. Un soggetto asociale presenta le seguenti caratteristiche:

  1. Non ha il senso della comunità
  2. È un pregiudicato
  3. Non è incline al lavoro
  4. Sfrutta l’assistenza pubblica
  5. È improduttivo
  6. Ha una vita coniugale disordinata
  7. Trascura la casa
  8. È bevitore e amorale.

L’asociale non può essere recuperato con la reclusione in un ospedale psichiatrico e va trattato attraverso dei decreti di sterilizzazione: gli asociali danneggiano alla lunga il nostro popolo e mettono al mondo con grande incoscienza una prole con le medesime caratteristiche».

«Effettuando una comparazione con un recipiente di latte, il popolo tedesco risulta così composto:

  • 20,5% particolarmente pregiato (strato di panna = classe dirigente)
  • 56,4% mediocre (latte magro = medio)
  • 20% asociale (fondo = scadente)
  • 3,6% malato ereditario (fondo = scadente)».

Anche il cinema venne invitato dalle autorità a offrire un suo contributo alla produzione sociale di distanza nei confronti dei soggetti disabili e dei soggetti appartenenti alle «razze inferiori». Oltre ai numerosi documentari, girati negli istituti psichiatrici per dimostrare l’inutilità dello sforzo economico profuso dallo stato per mantenere «vite inutili», vennero prodotte alcune pellicole che ottennero larghi consensi: Suss l’ebreo, girato nel 1940 da Veit Harlan, e Io accuso, uscito nel 1941. Il primo narra la storia di Suss Oppenheimer, ministro ebreo del Wurttemberg, giustiziato perché accusato di corruzione, persecuzione degli ariani e violenza nei confronti di una giovane donna ariana. Nel secondo si cercava di dimostrare l’innocenza di un medico che aveva ucciso la moglie colpita da una malattia incurabile.

«Vi era un indiretto riferimento all’uccisione di un malato mentale […] in modo da sottolineare l’assurdità insita nel fatto di mantenere un personale numeroso e molti edifici allo scopo di far sopravvivere poche miserabili creature». (Mosse, 1975, p. 233)

Inevitabilmente i riferimenti culturali divennero operativi

A un congresso medico che si svolse a Norimberga nel 1934, Gustav Wagner, presidente dell’Ordine dei medici del Reich, rese noto che le spese per le cure e il sostentamento dei soggetti disabili ospitati negli istituti sanitari erano approssimativamente pari a 1,2 miliardi di marchi e che ciò rappresentava uno sperpero ingiustificato nei confronti della parte sana e lavoratrice della popolazione che doveva pagare le tasse per il loro mantenimento. Ne conseguì la riduzione del 50% degli stanziamenti destinati agli istituti psichiatrici che, aggiungendosi al programma di eutanasia, causò la morte di decine di migliaia di pazienti. (Hinterhuber, 2003, p. 32).

Il 18 agosto 1938 un documento segreto della commissione del Reich per il rilevamento di gravi tare ereditarie e congenite ordinò la denuncia e la registrazione dei neonati disabili da parte delle levatrici, e dai reparti di maternità degli ospedali e delle cliniche ostetriche. All’insaputa dei familiari, i bimbi venivano trasferiti e uccisi con un’iniezione di morfina o di luminal nei reparti specializzati di 21 grandi istituti ospedalieri della Germania e dell’Austria.

Il 1° settembre 1939, Hitler firmò, su di un foglio privo di intestazione ufficiale, il seguente ordine segreto:

«Il Segretario di Stato del Reich Bouhler e il Dott. Brandt sono incaricati sotto la loro responsabilità di estendere a medici da nominare l’autorizzazione a concedere nei rispettivi ospedali una morte misericordiosa a quei malati che, a detta di ogni umano giudizio e dopo una valutazione critica dello stato di malattia, risultino incurabili». (Hinterhuber, 2003, p. 33)

Viktor Brack presentò ai primari degli ospedali psichiatrici del Reich il programma, denominato per segretezza con l’iniziale della via in cui avevano sede gli uffici, Aktion T4, con le seguenti parole:

«Vi prego di avere la bontà di prendere in considerazione i documenti sanitari che state per esaminare: non vi è alcuna speranza per questi abbozzi di vita, non vi è nessuna sofferenza. Voglio dire che siamo noi che soffriamo inutilmente per la loro sorte: è un lusso di cui noi tedeschi possiamo fare a meno! Non sopprimeremo degli esseri umani, ma annienteremo un incuboi». (Reiner, 1974, p. 21)

Le cliniche psichiatriche, gli istituti che ospitavano soggetti disabili e i medici di famiglia dovevano registrare tutti i pazienti in relazione alla disabilità, i pazienti ricoverati da più di cinque anni, i pazienti di “sangue non tedesco” e i delinquenti con patologie psichiatriche. I documenti compilati venivano inviati agli uffici del programma T4, dove venivano esaminati da tre periti. Dopo alcune settimane giungeva alle istituzioni ospedaliere una lettera che indicava la necessità del trasferimento dei pazienti presso una destinazione indicata genericamente come «istituto di cura o di assistenza». (Hinterhuber, 2003, p. 38)

Inizialmente in questi istituti le persone disabili venivano uccise con un colpo di pistola, in seguito, per evitare eventuali crisi di coscienza dei medici assegnati all’operazione, si preferì utilizzare il sistema dell’asfissia da monossido di carbonio: un locale, allestito con le rassicuranti apparecchiature di una sala per docce, consentiva di evitare quei sospetti e resistenze che Christian Wirth, medico primario dell’istituto di Braneburgo sulla Havel, così descriveva:

«I mongoloidi sono docili e consentono a scendere in cantina senza fare difficoltà. Ma i pazzi hanno forza, molta forza, e con loro bisogna raddoppiare il personale perché tentano di difendersi. Per causa loro bisogna riorganizzare tutto». (Reiner, 1974, p. 58)

A esecuzione avvenuta, i genitori o i parenti venivano informati con una lettera della morte improvvisa del loro congiunto:

«Coi sensi dell’emozione più profonda devo comunicarvi che il vostro caro figlio (o la vostra cara figlia) è deceduto ieri di morte improvvisa […] non ha sofferto […]. Abbiamo potuto diagnosticare: e qui si elencavano i termini medici. Due o tre motivi, sempre gli stessi. Embolia e congestione infierivano ormai per gli ospedali della Germania con la tenacia e la cadenza del maglio». (Reiner, 1974, p. 49)

La mortalità negli ospedali aumentò dal 2,5% del 1935 al 16% del 1941, fino ad arrivare al 30,6% negli anni 1944 e 1945. (Hinterhuber, 2003, p. 11) I trasporti collettivi e gli oltre 70.000 decessi non potevano passare inosservati. Le proteste, anche se si limitarono a quella del vescovo luterano Theophil Wurn e dei vescovi cattolici Konrad von Preysing di Berlino e August von Galen di Munster, convinsero, nel 1941, le autorità a sospendere ufficialmente il programma, che però segretamente non si fermò affatto. In Germania, Austria e Tirolo (che erano stati annessi alla Germania), la soppressione dei disabili intellettivi, indicata come Azione bambini, Trattamento speciale 14F13 e altre denominazioni proseguirono anche dopo il 1941. Le uccisioni venivano eseguite da medici e infermieri applicando il Programma di restrizione alimentare, che causava la morte per fame, e le tecnologie dell’impiego del gas che fuoriusciva dalle docce vennero spostate a oriente, nei campi di concentramento.

«I malati di mente fecero da cavie per gli Ebrei d’Europa. Non che il loro sterminio sia stato intrapreso a tale scopo; le due operazioni sono in apparenza indipendenti e la concatenazione dei fatti sembra fortuita: in realtà, però, esse si trovano legate da una profonda logica interna». (Poliakov, 1955, p. 250)

Ad Auschwitz il dottor Mengele aveva organizzato un laboratorio di anatomia patologica. Miklos Nyiszli, un medico di religione ebraica deportato dall’Ungheria, descriverà nel volume Un medico ad Auschwitz. Memorie di un deportato assistente di Mengele, il lavoro di sistematica sperimentazione su esseri umani a cui fu costretto a prendere parte. L’abbondanza di cadaveri, che non aveva paragoni con nessun altro luogo, e il fatto di poterne disporre liberamente, offrivano opportunità uniche per effettuare esperimenti. Gli interessi di ricerca erano concentrati su tre temi: la gemellarità, le cause biologiche del nanismo e del gigantismo e le diverse disabilità. I risultati di tali ricerche venivano poi esaminati dalle più alte autorità mediche dell’istituto scientifico allora più famoso al mondo, l’Istituto di ricerche biologiche razziali Dalhem di Berlino:

«Fin dall’arrivo dei convogli, i soldati scorrono in file davanti al treno, per trovare nani, storpi e gemelli. Sperando in un trattamento di favore, le madri non esitano a consegnare i loro piccoli gemelli. Gli adulti gemelli sanno benissimo di essere interessanti dal punto di vista scientifico; nella speranza di condizioni migliori si presentano spontaneamente. E così accade per i nani». (Nyiszli, 1962, p. 63)

Aspetti di continuità nel tempo

È fondamentale riconoscere gli aspetti di continuità nella storia, se si vuole evitare che i danni culturali e sociali che caratterizzano il presente del nostro e di altri paesi del mondo abbiano sviluppi altrettanto tragici di quelli avvenuti nel passato.

Ciò che, in analogia con il passato, caratterizza in maniera sempre più preoccupante il presente è la progressiva produzione di distanza nei confronti delle persone, in particolare le persone migranti, che vengono descritte, in analogia con le rappresentazioni delle minoranze da parte dei fascismi, come una minaccia, improduttive e inutili, un peso insostenibile per le risorse del Paese. L’obiezione che viene proposta riguardo al rischio di un nuovo fascismo si fonda sulla convinzione che nel presente si sia verificata la morte delle ideologie. Si tratta di una convinzione che nasconde un inganno: abbiamo infatti progressivamente lasciato spazio a una ideologia che, negando di esserlo, si è subdolamente impadronita del mondo, il consumismo:

«Il consumismo è una struttura di dominio in cui è difficile stabilire la differenza fra dominato e dominante, perché sembra che abbia solo dominanti: è una struttura che ha bisogno di una continua consumazione di se stessa, accumulando detriti. È dunque una struttura in cui la memoria viene offesa, non tanto nel senso della tortura propria dei campi di sterminio, quanto piuttosto nel senso della non conservazione e della frase emblematica propria del consumismo:“usa e getta”. Una memoria “usa e getta” si produce per consumarsi». (Canevaro, 1992, pp. III e IV)

È possibile individuare una linea di resistenza all’ideologia più pervasiva ed omologante mai conosciuta prima? Elie Wiesel ne indica la strada, quella di far vivere la memoria:

«A salvare l’umanità sarà forse solo il ricordo: solo il ricordo del male potrà servire da scudo contro il male stesso». (Wiesel et al., 1993)

Una pagina della storia la cui memoria corre un serio rischio riguarda l’educazione e l’impegno di quanti, come don Lorenzo Milani, hanno proposto e testimoniato le buone ragioni dell’inclusione scolastica e sociale come opportunità di valorizzazione delle risorse umane relegate nella marginalità o umiliate nell’assistenza e come mezzo di umanizzazione per tutti.

Nel ripresentarsi di una cultura che riscopre nei migranti e nelle persone relegate nella marginalità le odierne vite senza valore, è indispensabile richiamare la memoria su ciò che uomini e donne come noi fecero ottanta anni fa, sperimentando con le persone disabili ciò che poi estesero a ebrei, zingari, omosessuali e oppositori politici. È fondamentale richiamare alla memoria il lavoro di costruzione delle condizioni culturali e operative dell’integrazione delle persone disabili. La loro istituzionalizzazione, condizione che ne caratterizzava la vita prima degli anni Sessanta, non consentiva di frequentarle e, di conseguenza, di conoscerle, non permettendo così di riconoscere in loro gli aspetti comuni a tutti. L’opportunità realizzata di poter essere compagno di banco, di lavoro e di percorsi ed esperienze di vita, ha prodotto vicinanze, condivisioni, intrecci che in più occasioni hanno dimostrato la convenienza sociale e anche economica di una società inclusiva.

Ancora una volta il pericolo viene dal rischio di perdere la memoria di queste esperienze, togliendo alle persone più giovani, che non l’hanno vissuta, la possibilità di poterne utilizzare i riferimenti e privando anche noi del senso del nostro passato e della prospettiva di poter vivere in una società solidale e inclusiva. Una memoria che ci ricorda che:

«A forza di subire adeguandosi, si finisce per diventare qualcosa che non si sarebbe voluto e, all’inizio, nemmeno si sarebbe immaginato». (Zagrebelsky, 2018)

Riferimenti bibliografici

Bauman Z. (1969), Modernità e Olocausto, Bologna, Il Mulino.

Burgstaller S. (1941), Erblehre, Rassenkunde und Bevolkerungspolitik, Vienna, Deutscher Verlag fur Jugend und Volk.

Canevaro A. (1992), Universo concentrazionario e universo consumistico, HP n.1, Bologna, AIAS.

Hinterhuber H. (2003), Uccisi e dimenticati, Trento, Museo Storico di Trento.

Lifton R.J. (1988), I medici nazisti. La psicologia del genocidio, Milano, Rizzoli.

Mosse G. (1975), La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino.

Nyiszli M. (1962), Medico ad Auschwitz. Memorie di un deportato assistente del dottor Mengele,Varese-Milano, Sugar.

Poliakov L. (1955), Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi.

Reiner S. (1974), E la terra sarà pura, Milano, Longanesi.

Wachsmann N. (2004), Le prigioni di Hitler. Il sistema carcerario del Terzo Reich, Milano, Mondadori.

Wiesel E., Lustinger J.M., Sussmuth R. e Bortoszewski W. (1993), Per non dimenticare Auschwitz, Casale Monferrato, Piemme.

Zagrebelsky G. (21/11/2018), È arrivato il tempo della resistenza civile, Roma- Milano, La Repubblica.

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