1. La strada racconta
2. Un’altra goccia d’acqua
3. I bambini palestinesi stanno piangendo
Questi primi giorni dopo il mio arrivo si sono susseguiti in maniera lineare e senza troppi sconvolgimenti, la mattina preparo le lezioni e al pomeriggio tengo due corsi d’inglese. Dalle 13 alle 16 seguo bambini dagli 8 agli 11 anni e provo ad insegnargli un inglese basilare, per ora abbiamo fatto l’alfabeto, i numeri e qualche frase semplice come “what’s your name?”, “How old are you?” e così via. Con loro faccio particolarmente fatica dal momento che il mio arabo si limita a “grazie” e “ciao”. Cerco di lavorare principalmente con immagini. Dalle 16 alle 18 invece, provo a fare conversazione e inglese “avanzato” con ragazzini di età compresa fra i 12 e i 14 anni. Saif, 14 anni, spicca immediatamente rispetto agli altri. Non parla benissimo l’inglese ma capisce molto meglio di qualunque altro suo compagno. Mi ha dato l’idea di essere uno di quei ragazzi che in generale s’impegna molto a prescindere da ciò che fa. Quando finiamo le lezioni di gruppo resta sempre un po’ più degli altri e mi chiede di raccontargli della mia città, della mia vita in Italia e di quello che vorrei fare “da grande”. Quegli occhi azzurrissimi che mi scrutano con così tanta curiosità mi lasciano spesso senza parole e devo fare uno sforzo non indifferente per restare concentrata su quello che sto dicendo, cercando di proporgli il mio inglese migliore, e non lasciandomi prendere dal desiderio incontrollabile di portarlo via con me. So che in ogni caso non sarebbe una soluzione, non è adottando tutti i bambini palestinesi che vivono in uno stato di apartheid, tutti i piccoli somali che muoiono di fame o i ragazzi iracheni che crescono in mezzo alla guerra che si salverà il mondo. Hanno famiglie e amici che li amano e che continueranno a farlo, perché anche se è molto facile dimenticarsene, i sentimenti migliori fioriscono anche nei terreni più aridi. Ciò non toglie che senza alcun dubbio si meritino maggiori opportunità. Gira tutto intorno a questa parola. Opportunità. O possibilità se preferiamo. La possibilità di andare a scuola ed essere in una classe di 20 alunni e non di 60, la possibilità di viaggiare senza bisogno di chiedere un permesso speciale come se fosse una concessione destinata a pochi privilegiati e non un diritto com’è nella maggior parte del mondo, la possibilità di sperare di avere un futuro migliore rispetto alla vita dei propri genitori e di non essere condannati al dolore e alle umiliazioni che hanno caratterizzato le loro storie. Questi bambini queste possibilità non le hanno.
Amir, il fondatore dell’associazione, sta preparando con un gruppo di ragazzi di Jenin uno spettacolo teatrale da mettere in scena in Italia, a Roma fra aprile e maggio. Stanno lavorando tantissimo a questo progetto e anche i ragazzi si stanno impegnando molto. Il titolo dell’opera è “The freedoom wings” il volo per la libertà. È la storia di una foresta che un tempo era piena di luce e abitata da creature vitali e coloratissime, poi, improvvisamente la foresta viene colpita da una tremenda tempesta, in seguito alla quale la foresta perde i propri colori e la sua allegria. Cade quindi su di essa una nebbia fittissima, densa come un muro privo di luminosità. Di seguito riporto una delle canzoni dello spettacolo tradotta in italiano:
I bambini palestinesi stanno piangendo,
dove sono il diritto e la giustizia?
Vogliono quella libertà che gli è stata rubata
In u mondo fatto di ingiustizie e disparità.
Vogliono vivere in pace, liberi dalla guerra e dalla sofferenza.
I nostri bambini vogliono vivere senza muri e senza persecuzioni,
vogliono frequentare le loro scuole.
Conquistatore ti sei imposto sulla nostra terra ma è il momento per te di partire.
Il sole della nostra terrà splenderà
Ed il mondo intero ne conoscerà la luce.
Doneremo la pace al mondo e il mondo accenderà delle candele.
F.S.
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