di Rosalba Granata
Martedì 16 ottobre è uscito il primo volume del libro di Murakami Haruki, L’assassinio del commendatore. L’avevo atteso con impazienza. Avevo segnato la data sul calendario tanto era il desiderio di un suo nuovo romanzo. E martedì mi sono precipitata in libreria. Già tornando a casa mi dicevo: “potrei scriverne una recensione”, ma poi nei giorni successivi ho cominciato ad avere dubbi.
A che cosa poteva servire una mia recensione? Nel Blog di Metro-Polis ci sono gli Appetizer Books di Francesco Colombrita e questi hanno un senso perché sono segnalazioni di libri poco scontati, segnalazioni che possono incuriosire, invogliare alla lettura di testi che aprono finestre su mondi, realtà poco conosciute.
Ma quale senso può avere la mia recensione su un autore così famoso?
Da alcuni anni leggo con piacere tutti i libri di Murakami. Ho iniziato con Kafka sulla spiaggia e ancora adesso, se dovessi consigliarvi un libro con cui accostarvi a Murakami, senza esitazione indicherei questo romanzo. Comprenderete subito con questa lettura se lo amerete incondizionatamente o se lo rifiuterete.
Forse non saprei riferire la trama dei vari romanzi, vengo talmente catturata dal suo mondo onirico da lasciarmi trasportare nel piacere puro della lettura. Questo è il tratto comune, ma ogni romanzo è diverso dall’altro e Murakami mi sorprende sempre.
Un quadro dal titolo L’assassinio del commendatore è al centro di quest’ultimo romanzo. È stato dipinto da un famoso artista contemporaneo secondo l’antico stile della tradizione giapponese.
Il protagonista e io narrante della storia, lo scopre, lo riporta alla luce dal nascondiglio in cui era rimasto per anni. Ne è affascinato, ma anche profondamente turbato. Cosa ha voluto dire il celebre pittore con questo inquietante dipinto che pare illustrare una scena del Don Giovanni di Mozart trasportandola nell’antico Giappone?
Quello del quadro non è l’unico mistero. «Di cose strane ne ho viste e sentite tante, ma come questa storia mai» è il titolo di un capitolo, parole che procedendo nella lettura potremmo dire noi stessi.
Un antico racconto giapponese, i monaci che tendono al nirvana, la musica classica e l’opera lirica, una campanella che suona nella notte, Alice che entra nel mondo sotterraneo. Come si tengono insieme tutte queste cose?
“Le cose strane”, le atmosfere fantastiche e gotiche si alternano con ricordi della vita del protagonista raccontati invece con lucidità e realismo. Mi pare che l’uso della prima persona renda particolari questi passaggi da surreali accadimenti e personaggi agli interrogativi che si pone l’io narrante, quasi dando voce al nostro stesso smarrimento. Mi ha dato l’impressione di essere catturata, incuriosita ma sempre con la percezione chiara del confine tra realtà e allucinazione.
Del resto lo stesso Murakami quando parla di sé mostra consapevolezza dell’alternarsi nella sua personalità di razionalità e attrazione per quello che si distacca dalla realtà.
«Scrivo storie strane. Non so perché […] Sono una persona molto realista […] però quando scrivo, scrivo di stranezze».