di Mattia Macchiavelli
«Oceano indiano.
A bordo del Pedrillo.
14 dicembre 1912. […]
Pochi nomi turbavano la mia fantasia adolescente quanto il nome di Goa: Goa la Dourada. Oh! Visitata cento volte con la matita, durante le interminabili ore di matematica, con l’atlante aperto tra il banco e le ginocchia: ora passando attraverso l’istmo di Suez e il Mar Rosso, l’Oceano Indiano, ora circumnavigando l’Africa su un veliero che toccava le Isole del Capo Verde, il Capo di Buona Speranza, Madagascar…».
Aprendo il fascicolo contenente il programma della stagione 2018/2019 dell’Arena del Sole, questa citazione – tratta da Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India – è la prima cosa in cui ci si imbatte. A colpirmi è soprattutto l’autore: Guido Gozzano. Lo stesso Gozzano che ha dato il nome, a sua insaputa, al nostro mercatino dell’usato: Le buone cose di pessimo gusto. A Metro-Polis è un po’ così: vi sono convergenze inaspettate, improvvise e insospettabili.
Continuano le analogie tra la nostra associazione e il cartellone dell’Arena del Sole, è sufficiente un accenno all’introduzione dell’opuscolo sopra citato, a firma di Claudio Longhi, Direttore Emilia-Romagna Teatro Fondazione: «Per i mesi a venire abbiamo scelto di concentrare l’attenzione dei nostri palcoscenici sugli spazi che giorno per giorno attraversiamo, sul labirinto di strade, piazze, città e paesaggi nei quali inseguiamo i nostri progetti o fuggiamo dai nostri più segreti terrori». Ecco l’esplorazione continua, la volontà di abitare nella realtà, nelle città, vivendone i luoghi più variegati, vivendoli in tutte le possibili modalità. «Un cartellone» prosegue Longhi «tutto teso a ricomporre una complessa geografia di emozioni e relazioni su cui si tesse l’impalpabile trama del nostro vivere»: ecco il ponte, lo sforzo inesauribile di creare legami di comunicazione tra ciò che è diverso e sconosciuto.
Un incontro, quello tra Metro-Polis e Arena del Sole, che sembra essere avvenuto non lo scorso settembre ma molto tempo prima, in quei luoghi misteriosi in cui vanno strutturandosi le identità aperte, sempre in movimento, sempre pronte a cedere un pezzetto di sé per guadagnare un pezzetto dell’altro.
Non stupisce, quindi, che l’Aperitivo a Tema La magia del teatro: Metro-Polis incontra l’Arena del Sole sia stata un’occasione di confronto basata su un linguaggio comune, fatto di voglia d’ascoltarsi, creatività e curiosità.
Giacomo Pedini – regista, drammaturgo, professore di drammaturgia dello spazio scenico e istituzioni di regia presso l’Università di Bologna – ha aperto la serata ragionando proprio sul teatro come luogo: come regione fisica della rappresentazione, sì, ma soprattutto come spazio pubblico, come territorio della cittadinanza. Colpisce questo accento, perché se si è abituati a pensare ai teatri come bene comune, difficilmente la nostra attenzione si concentra sui teatri come beni in comune, come zone di relazioni, abitabili nel dialogo e non solamente nel solipsismo.
Passando in rassegna le varie rappresentazioni che animeranno l’Arena del Sole fino a maggio, abbiamo avuto modo di confrontarci sul tema eterno – ma sempre attuale – del classico, di ragionare insieme su cosa per noi sia il teatro, sul perché lo frequentiamo o non lo frequentiamo; si è potuto approfondire i titoli in cartellone, le storie che raccontano e il loro rapporto con la nostra contemporaneità. Giacomo Pedini ci ha accompagnato attraverso registi e registe, attori e attrici, senza risparmiare dettagli e invitanti approfondimenti sulle tecniche di allestimento e rappresentazione. Un vero e proprio viaggio nel futuro, fatto di parole e immaginazione.
E proprio all’immaginazione va riservata una riflessione particolare. Facoltà oggi bistrattata e a cui si preferiscono abilità pratiche più spendibili nel quotidiano (come se i due mondi fossero in conflitto); eppure essa è l’istanza alla base delle più grandi scoperte scientifiche, fonte dei ragionamenti filosofici più complessi, madre dell’arte ed euristica proprio nella quotidianità. Non solo, Giacomo Pedini ci ricorda quanto l’immaginazione abbia un ruolo decisivo nella politica e nelle relazioni sociali, pubbliche: il conflitto nasce quando l’immaginazione si atrofizza. Occorre dunque coltivare questo prezioso strumento e il teatro è senza dubbio un fertile terreno, proprio a portata di mano.
«Se il teatro è il luogo del confronto, motto delle nostre esplorazioni sarà, allora, un semplice e diretto: ‘guardati intorno’. Un invito suadente alla libertà del guardare, rimuovendo freni e censure, per ritrovare se stessi in ciò che ci circonda o al fondo del nostro io. Un incoraggiamento ad esplorare la realtà e a scoprirla, nelle sue molte pieghe e nelle sue tante contraddizioni. E pure al dialogo, al rapporto fiducioso tra ‘io’ e ‘tu’, origine di ogni comunità. Ma anche un monito, che fa leva sulla natura politica del fare teatrale. In questi ‘tetri tempi’ di viscerali rigurgiti di antipolitica, ‘guardati intorno’ vuole pure essere un’esortazione a districarsi nella selva delle mistificazioni, a mantenere vigile la coscienza, senza rinunciare (brechtianamente) al divertimento, figlio del piacere della scoperta, con l’intenzione tenace di cambiare il mondo». In chiusura, torno a Longhi. Perché meglio di me ha saputo trovare delle parole che sono anche un manifesto civico, un programma ideale che potrebbe sovrascriversi a quello di Metro-Polis, da sempre salda nell’intenzione tenace di cambiare il mondo.