Recensione: Alien


alien_movie_poster
 “Sull’astronave da carico Nostromo, le sette persone dell’equipaggio si svegliano dall”iper-sonno’ per controllare quello che sembra un messaggio di soccorso di natura ignota. Il capitano, seguito dai suoi uomini, atterra sul pianeta desolato LV-426 che sembra ospitare solo un’astronave impattata al suolo; una forma di vita aliena riesce comunque ad insinuarsi all’interno dell’astronave e comincia a mietere terrore e morte tra i membri dell’equipaggio…”

Alien è un film di fantascienza del 1979 diretto dal regista Ridley Scott alla sua seconda prova cinematografica dopo l’esordio scoppiettante del bellissimo e curatissimo I Duellanti uscito nelle sale due anni addietro, nel 1977.

Alien lo si può considerare, a tutti gli effetti, un autentico capolavoro di suspense e horror fantascientifico; i vertici di tensione, inquietudine, ansia, terrore e angoscia raggiunti in questo film rappresentano ancora oggi un unicum nella cinematografia di genere e non solo.

La pellicola risulta scorrevole perché svolge visivamente bene sia le tecniche dell’inseguimento a sorpresa che quelle della mobilità psichica in tensione dei personaggi. Lo sfondo scenico è segnato da una disperazione lucida; lucidità innescata coerentemente dalla reazione alla paura estrema presente nei protagonisti. Il film nel suo ritmo visivo non dà pause: a emozioni claustrofobiche e fobiche costruite nel chiuso ‘labirintico’ dell’astronave si alternano timori dell’ignoto cadenzati dall’irrompere di figure e presenze stranianti. Emozioni messe in gioco abilmente dal regista in relazione con lo sviluppo delle normali attese e speranze di lieto fine.

Per quanto riguarda il contenuto della sua ‘significazione’ la pellicola ripropone un’articolazione di tre temi fantascientifici noti, svolgendoli in modo originale. Da una parte quello dell’intelligenza artificiale presente nel sociale dell’astronave (Mother) che sfocia in forme di soggettività emotiva vera, dall’altra la questione del ruolo oscuro che caratterizza alcuni robot cibernetici programmati per i lunghi viaggi spaziali. Viene inoltre riproposto il tema dell’extraterrestre visto come figura aliena con qualità superiori, superiori perché non intaccati dal senso di colpa e dalla coscienza. Il film amalgama questi temi con il sale spettacolare della paura dell’ignoto; precisamente mette a fuoco la figura dell’alieno mostro che irrompe dal territorio di un pianeta sconosciuto appena visitato, una figura paurosa che entra in una animazione sociale con il ‘normale turbato’ dell’astronave componendo giochi visivi filmici già collaudati: ricchi di grande impatto claustrofobico e inquietanti.

Ash, il robot umanoide con compiti di consulente scientifico è la figura chiave del film. Gli è stato segretamente dato dai responsabili della missione l’incarico di favorire, anche al prezzo del sacrificio di parte dell’equipaggio, la ricerca di forme di vita spaziali. Forme biologiche animate da pulsioni. Esseri da portare sulla terra per uno studio più approfondito o per pura e banale speculazione. Ash è in realtà il vero regista della missione. Ha fattezze umane perfette. Esprime emozioni umane coerenti con il suo ruolo di scienziato. E’ un razionale vincente almeno fino a quando l’equipaggio non scopre per necessità di sopravvivenza lo scopo vero della sua presenza sull’astronave.
La missione dell’astronave è stata progettata da una compagnia privata senza scrupoli che antepone all’integrità delle vite umane il successo della missione. Il fine del viaggio è opportunamente mascherato attraverso il potere medico e conoscitivo del cyborg Ash. Il suo compito è anche psicologico: tranquillizzare l’equipaggio. Il mostro Alien viene considerato dal robot Ash, responsabile scientifico della missione, una forma biologica perfetta. La sua ammirazione per Alien è considerevole forse perché come lui è carente di umano. Ash sembra proporre con il suo comportamento sia una questione edipica verso il padre-uomo che l’ha creato che un problema di ricerca di una comunicazione tra alieni differenti ma potenzialmente solidali tra di loro. Una sorta di aggiramento del fratricidio. Il film sembra aver trovato un piano preciso su cui può avvenire l’incontro comunicativo tra due alieni, in questo caso tra un cyborg affetto da emozioni non programmate e un mostro. Precisamente l’incontro sembra possibile su un piano immaginifico, là dove Ash robot imperfetto biologicamente desidera con ossessione un rapporto con il mostro Alien che considera più completo di lui. Ash sembra intravedere un appagamento della sua ossessione solidarizzando con il mostro. Egli è certo che le qualità funzionali di un corpo biologico, sia sul piano psicologico che fisiologico, si esaltano nella alienità. L’incontro immaginifico tra lui e l’alieno sembra quindi poter avvenire solo sul piano del riconoscimento della perfezione funzionale biologica. Intesa quest’ultima come ciò che riguarda il vero appagamento della pulsione, qualcosa che può avvenire solo nella mostruosità, non possibile all’uomo perché affetto da formazioni sintomatiche. Queste ultime costringono l’uomo a un legame di coscienza segnata dal divino che perpetua il suo senso di colpa. Ash ama Alien e giustifica quindi gli omicidi del mostro ravvisando in essi un normale lavoro di affermazione di una specie biologicamente superiore su quella inferiore.
L’altro grande punto di forza del film è costituito dalla descrizione e dalla resa della paura, del senso di straniamento, di orrore, di inquietudine e paura che, lentamente e inesorabilmente, coinvolge ogni singolo membro dell’equipaggio: la figura della creatura è un qualcosa che fugge totalmente alla comprensione e alla conoscenza umana..è un qualcosa di talmente oltre e ‘incomprensibile’ che la mente ‘finita’ dell’uomo, al suo cospetto, rischia di andare del tutto e inesorabilmente alla deriva (tra l’altro c’è da aggiungere che Ridley Scott prende la saggia decisione di non mostrare quasi mai la figura dell’alieno durante il film…e questo gioca assolutissimamente a favore del terrore che si vuole creare, visto che è lo spettatore stesso a fantasticare con la mente e a ‘scegliere’ la propria versione più raccapricciante della creatura…);  ma la paura non si limita solamente alla figura ‘aliena’ in sè, non si circoscrive unicamente ad essa: sono le stesse creazioni scientifiche e meccaniche di umana fattura a ritorcesi contro l’equipaggio assediato e sotto attacco…la navicella spaziale Nostromo si trasforma -da protezione e da mezzo sicuro di trasporto- in una sorta di ventre maligno nel quale le sette sventurate unità diverranno potenziale carne da macello per l’entità mostruosa..i corridoi interminabili, i boccaporti angusti, i cunicoli bui e sinistri, i rumori inquietanti e ‘sordi’ dei macchinari, i ‘diaframmi’ automatici che collegano i vari rami dei piccoli e innumerevoli passaggi..sembrano quasi trasmutare e divenire, nell’insieme, un tetro, buio e oscuro labirinto pronto a fagocitare esso stesso i sette esseri umani: la madre protettrice, il mezzo di trasporto che assurge, con lo svolgersi delle vicende, a ruolo di matrigna cattiva e a potenziale tomba per i suoi stessi ‘figli’ (da loro stessi creata e costruita a nome”Mother”…). L’altra ‘invenzione scientifica’ di umana fattura che si ribellerà alle persone a bordo dell’astronave -durante il precipitare della situazione- sarà, come già scritto in precedenza, il robot umanoide Ash..ed è proprio una di queste sequenze, nella quale Ash attaccherà in maniera definitiva l’Ufficiale  Ellen Ripley (Sigourney Weaver), a risultare tra le più affascinanti e inquietanti dell’intera pellicola: la ‘disvelazione’ dell’androide.alien2

Il personaggio dell’ufficiale Ripley diviene, grazie a questo film, un personaggio di culto non solo della cinematografia di genere, mentre Sigourney Weaver diverrà tra le figure eroiche femminili più famose della storia del cinema

Il grande pregio di Alien si riscontra nella sua totale unicità, nel suo essere androgino e totalmente indefinito; Ridley Scott dirige con piglio da fuoriclasse questa pellicola elevandola a rango di capolavoro della cinematografia, la fotografia eccezionale che si imprime nell’occhio e nella mente dello spettatore, le scenografie fantastiche che rispecchiano il realismo degli interni dell’astronave con i suoi spaventosi angoli bui e le sue anguste tortuosità, la colonna sonora vibrante e sinuosa (ma mai invasiva) del grande Jerry Goldsmith si amalgamano a formare questa forma d’arte perfetta, coinvolgente, riflessiva e terrificante. Indimenticabile.

Antonio Rossi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.