LA BIBLIOTECA DI BABELE LEGGE: GILEAD, DI MARILYNNE ROBINSON

di Rosalba Granata

Ieri sera ti ho detto che forse un giorno me ne andrò, e tu mi hai detto: – Dove? – E io: – A stare con il Buon Dio –. E tu: – Perché? – E io: – Perché sono vecchio –. E tu mi hai detto: – Secondo me non sei vecchio –. Hai infilato la tua mano nella mia e hai detto: – Non sei tanto vecchio, – quasi che questo sistemasse la questione. Ti ho detto che forse avrai una vita assai diversa dalla mia e da quella che hai avuto insieme a me, e sarebbe meraviglioso, perché si può vivere bene in tanti modi. E tu mi hai detto: – Questo me lo ha già spiegato mamma –.

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AMORI, LITIGI… E ALTRI GUAI

Fuori-Porta di Metro-Polis del 2017 

Mercoledì 15 e giovedì 16 marzo, al Teatro Alemanni (via Mazzini, 65 Bologna), ha debuttato il nuovo spettacolo di Gaia Società, Amori, litigi… e altri guai, liberamente tratto da Anton Cechov, con la regia di M.Grazia Ghetti.

Si parla d’amore e della complessità della relazione amorosa, come il titolo stesso dello spettacolo ci anticipa.

I rapporti d’amore sono, e saranno sempre, pieni di incognite e sorprese, nonostante la loro alchimia sia tra gli argomenti più trattati in ogni campo dello scibile umano: dalla poesia alla scienza, dalla psicologia all’astrologia.

“Il vero amore è come un fantasma, tutti ne parlano, ma pochi lo hanno visto davvero” (Francois de La Rochefoucault).

Gaia Società in questo spettacolo vuole rendere omaggio all’amore attraverso alcune situazioni ironiche e al limite del paradosso, magistralmente create da Cechov in quelli che lui stesso chiamava Scherzi e che anche le avanguardie russe d’inizio ‘900 salvavano dal resto della produzione cechoviana, da loro giudicata troppo borghese. Continue reading

APPETIZER BOOKS: DOLORES CLAIBORN – STEPHEN KING

Un flusso ininterrotto. Una lucida disperazione. Un’isola, sita ovviamente al largo del Maine, piccola e silenziosa, popolata da un continuo brusio. Lo scricchiolio del dubbio. Un’allucinante confessione… Tutto questo è solo un accenno, solo un ammiccare distratto, all’universo di tenebra che si spalanca in questa strana opera di Stephen King. Lasciati da parte surrealismi, alieni e soprannaturale, la psicotica penna di Portland si concentra questa volta sulla tragedia umana e personale di una famiglia, o meglio di una donna. Dolores Claiborne, anziana yankee, burbera e rompiscatole, scontrosa ed irascibile, schietta e provocatoria, ci racconta la sua storia e lo fa in una centrale di polizia, davanti ad un paio di agenti, una stenografa ed un registratore. «Giuro davanti a Dio che ho sempre saputo che Vera Donovan sarebbe stata la mia rovina, l’ho sempre saputo dalla prima volta che l’ho vista. E guardate cos’ha fatto, guardate un po’ che cos’ha fatto quella stronza vigliacca». Continue reading

APPETIZER BOOKS: LA MAGA DELLE SPEZIE – CHITRA BANERJEE DIVAKARUNI

C’è un’anziana signora ad Oakland, chiusa in una piccola, straripante, bottega. È indiana, ci racconta, e viene da un’isola strana. Lì è stata addestrata, imparando mirabolanti segreti, per aiutare nel mondo i figli dell’India. La sua specialità sono le spezie, le conosce tutte, una per una, e le chiama col nome «assegnato loro quando la terra si spaccò come una scorza per offrirle al cielo»; può consultarle in richiesta di aiuto e carpirne preziosi consigli. Ogni volta che entra un cliente, tramite i suoi occhi giovani e meravigliosi, incastonati nel corpo di una vecchia, ella coglie i bisogni più intimi e nascosti del fortunato che si appresta a comprare, inconsapevole, non solo alcune erbe, ma tutta la sapienza e gli incantesimi che la nostra Tilo conosce: poiché questo è lei «una Maga delle Spezie». Ci racconta, mano a mano che passano le pagine, le varie, fantastiche, peripezie che l’hanno portata lì, dal povero villaggio dell’India nativa, ai pirati, ad un naufragio, alla «prima madre» dell’isola fino all’accettazione del proprio incarico, con tutto ciò che ne consegue: la sua vita sarà consacrata agli altri, non potrà più seguire i propri desideri e, soprattutto, non potrà mai più uscire da quella bottega dove si è ritrovata, invecchiata, dopo essere entrata nel fuoco di Sampati. Continue reading

LE PELLICOLE DI ANTONIO: “STAR WARS” – UNA BREVE DISAMINA DELLA TRILOGIA ORIGINALE CINEMATOGRAFICA

…e mentre Star Wars – Episodio VII Il Risveglio della Forza è diventato il 3° incasso della storia del cinema…

…Si può cominciare così questo racconto: mettendo subito in chiaro che, agli albori di questo pezzo di storia (non solo cinematografica), esisteva un solo e lungo soggetto, dal titolo Le Guerre Stellari, che le maggiori major avevano rifiutato e che, invece, il giovane fondatore e produttore della Ladd Company aveva portato alla 20thCentury Fox, convinto dal suo autore, l’allora sconosciuto e giovanissimo regista californiano George Lucas.
Il suo film d’esordio nel mondo cinematografico (American Graffiti) non era ancora stato distribuito nelle sale americane, sebbene Lucas stesse già da tempo a testa china su un “monumento” di (ancora) fumo che sarebbe stato volutamente legato (artisticamente) all’uscita definitiva degli Stati Uniti dall’avventura guerrafondaia e criminale del Vietnam, dalle bugie del Watergate e dagli anni nefasti del Nixianesimo alla Casa Bianca.
Ciononostante, quello che ormai veniva a essere il primo Star Wars del 1977 (dal 1999 EPISODIO IV -Una Nuova Speranza) sembrava essere proprio agli antipodi rispetto ai film realisti e politici di quegli anni di Hollywood (disimpegnato sia da un lato che dall’altro della barricata): nessuna sfumatura tra bene e male, eroi senza macchia e senza paura, neanche una goccia di sangue, una sorta di spiritualismo quasi suggerito.
Flash Gordon (nelle dichiarazioni di Lucas) è stata la massima fonte di ispirazione, oltre al “pittorismo” alieno di Griffith e Riefensthal, coadiuvato da una rilevante ammirazione per la filosofia orientale e per l’eleganza dei codici d’onore dei samurai. Continue reading

LE PELLICOLE DI ANTONIO: LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE

La storia della Principessa Splendente è un film di animazione giapponese del 2014 diretto dal maestro Isao Takahata e 21° lungometraggio dello Studio Ghibli.
 
A differenza del precedente e penultimo animé del maestro Hayao Miyazaki (Si alza il vento), il recente capolavoro di Isao Takahata non ha ottenuto (anche per colpa di una distribuzione cinematografica che definire vergognosa è poca cosa…) lo stesso riscontro di pubblico. 
Fedelmente tratto da Taketori monogatari (Il racconto di un tagliabambù), uno dei racconti giapponesi più antichi e popolari appartenuti al X° secolo, il film ruota attorno alla figura magica di Kaguya, creatura minuscola dalle sembianze umane trovata nell’incavo di un tronco di bambù dal signor Okina, un anziano boscaiolo tagliabambù.

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Il Vangelo secondo Matteo

Il 18 febbraio p.v. sarà ospite di Metro-Polis la regista Mariangela Casalucci, che ci presenterà il suo Album: documentario su Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, che ha come oggetto le vite degli attori che hanno recitato nella pellicola Pasoliniana. Con l’occasione, il nostro appassionato di cinema Antonio Rossi ci ha regalato una sua brillante recensione del capolavoro di Pier Paolo Pasolini. Antonio analizza il film concentrandosi su ciò che caratterizza fortemente il punto di vista di Pasolini nel narrare la vicenda di Gesù di Nazareth; in particolare le scelte del regista come quella di arruolare attori non professionisti, di utilizzare abiti di scena semplici, ci catapultano nella volontà di Pasolini di svelare Cristo nella sua accezione più strettamente umana, proprio come emerge dal racconto di Matteo, scelto quindi non casualmente ma con un intento ben preciso e delineato. Antonio, poi, non si ferma agli aspetti stilistici del film, ma ci regala un ritratto di Pier Paolo Pasolini come uomo, partecipe e interprete instancabile delle vicende del suo tempo.

Laura Comitogianni

Il Vangelo Secondo Matteo è un film del 1964 diretto da Pier Paolo Pasolini.

04_ Il Vangelo secondo Matteo_Pasolini-thumbLa pellicola di Pasolini, seguendo per filo e per segno il Vangelo di Matteo, traccia la vita di Gesù di Nazareth, dalla Santa Annunciazione a Maria alla predicazione della Parola di Dio, fino alla morte di Gesù sulla croce e alla Resurrezione.

L’uomo e regista Pasolini fa mostra, in questa pellicola, della sua natura di eterodosso. Egli fu, infatti, eterodosso poeta, intellettuale, scrittore, attore, regista e finì per farsi cacciare da entrambe le “Chiese” che hanno caratterizzato la sua epoca: quella cristiana e quella comunista. L’intellettuale bolognese, che per tutta la vita si definì nipote del marxismo, riesce ad incastonare la figura di Gesù nel solco di queste due grandi dottrine. Il Cristo infatti, se da una parte è presentato come figlio dell’onnipotente dispensatore di parabole e miracoli, è al tempo stesso molto più umano di quanto le scritture, o meglio la loro interpretazione ufficiale, lascino trasparire: non è certo casuale la scelta di Pasolini di riprodurre la vita del Figlio di Dio sulle orme del Vangelo di Matteo, nel quale Cristo è visto nel suo volto più umano (cosa rilevabile sin dai primissimi versetti che puntano sulla carnalità della discendenza del Figlio dell’Uomo: «Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, […] Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo»). Ma proprio per la sua natura di “non cattolico” distaccato dal marxismo ortodosso Pasolini è riuscito a regalare un capolavoro di sensibilità ed equilibrio, che ha addirittura strappato i consensi sia – seppur a mezza bocca – alla voce ufficiale del PCI (ovvero l’Unità), che – molto più entusiastici – alle sezioni meno conservatrici del clero cattolico. È infatti questo Cristo pasoliniano quasi l’incarnazione della conciliazione tra l’ideologia rivoluzionaria comunista e l’interpretazione più aderente al pauperismo, e dunque anch’essa rivoluzionaria, del messaggio del Figlio del Padre: una figura di Gesù in cui spiccano gli attacchi ai ricchi ed al potere costituito nel nome di una rivincita dei sottomessi, e si punta sulla violenza scioccante del “porgi l’altra guancia”: una delle idee più sconvolgenti della storia dell’umanità.

Il Vangelo secondo Matteo ci dà un’interpretazione del messaggio evangelico che è probabilmente uno degli elementi che sta alle fondamenta dell’incredibile riuscita di questo film, in quanto grazie al suo lato più marxista Pasolini riesce a darci una figura di Cristo più verace, un’idea della potenza del suo messaggio molto più efficace (ed in effetti, finora insuperata) di quanto avrebbe potuto fare un qualunque regista cattolico. Lo spiritualismo, sempre presente in questo film, infatti, sembra quasi comparire di riflesso, senza mai disturbare: l’arcangelo Gabriele viene presentato nella sua essenza angelica vestito di umili cenci, senza ali, luci o gingilli vari. La stessa resurrezione, il trionfo dello spiritualismo, viene discretamente indicata senza sensazionalismi di sorta, ma semplicemente con Gesù che ritorna a parlare ai suoi apostoli. Tutto ciò è possibile anche perché non è nel vero interesse di Pasolini (o almeno non è il suo interesse principale) in questo film il giustificare o mettere in dubbio la corrispondenza narrazione-realtà nel messaggio evangelico, bensì il confronto con il perché del mondo, studiato attraverso l’analisi della morte: complementare alla vita per una piena comprensione delle ragioni dell’esistenza. Si spiega dunque così la forma utilizzata dal regista per descrivere il Vangelo di Matteo: visionaria e onirica, o se si preferisce semplicemente iperpurista, è la scelta della rappresentazione pasoliniana, che decide di non toccare minimamente la “sceneggiatura originale” – temendo d’intaccarne la poesia che il regista stesso vi sentiva, osservando il più umano degli uomini (com’egli riteneva Cristo, portatore di un’umanità ideale e dunque in tal senso divina) – ma semplicemente di trasporla crudamente esattamente così com’è, senza alcuna immagine o alcuna parola di raccordo di sorta, e dunque proponendo la vita di Gesù a salti, proprio come le visioni durante un sogno. Continue reading

Storie americane (I) – Tra letteratura, teatro e grande cinema: il genio dannato di Tennessee Williams

Quello tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 è considerato il periodo d’oro del cinema hollywoodiano. Tuttavia, tra “kolossal storici” (vagamente kitsch) e commedie romantiche, l’immagine che ne emerge è spesso quella di film ingenui, forse leggeri, oppure di veri e propri “polpettoni”. Detto questo, la vastissima produzione cinematografica di quegli anni è in realtà una vera e propria miniera di temi scottanti e complessi, trattati con quella intelligenza e profondità che solo una censura ottusa e impietosa può ispirare. Le performance di divi intramontabili, il coraggio di registi geniali, il fascino delle pellicole in bianco e nero e le storie drammaticamente umane dal lieto fine non scontato creano quella vera e propria magia che rende ancora grande ai nostri occhi quel periodo.

In quell’universo pieno di fermento, contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare, il ruolo della letteratura non venne affatto offuscato, ma al contrario fu centrale. Premi Nobel come William Faulkner e John Steinbeck, autori come Harper Lee, Truman Capote, Edna Ferber, e molti altri, hanno contribuito non poco a fornire (direttamente o indirettamente) materiale prezioso per le sceneggiature di pellicole divenute pietre miliari della storia del cinema.

Fu in questo contesto che Tennessee Williams (alla nascita Thomas Lanier Williams) si inserì prepotentemente, in primo luogo grazie ai suoi testi teatrali di grande successo: testi provocatori, duri, cinici, che raccontavano storie di uomini e donne ai margini della società americana, quella società che era uscita vittoriosa e ricca dalla Seconda guerra mondiale, ma che evidentemente nascondeva un altro volto. Un volto a cui Williams diede spazio, senza timore di attirare critiche o di fomentare scandali. I protagonisti delle sue opere sono emarginati, falliti, nevrotici, arrampicatori sociali, alcolizzati, “peccatori sessuali” (omosessuali, prostituti, adultere…) che non riescono a emanciparsi dalle loro situazioni di degrado, ma che anzi spesso sembrano puniti dal destino per il solo fatto di aver provato a cambiare ciò che evidentemente era già scritto. Williams scava negli abissi più cupi delle città e delle province americane, in particolare quelle ipocritamente conservatrici del Sud, e negli abissi più sordidi dell’animo umano.

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Un altro sentire – Dalla parte di Temple

Per chi non la conoscesse, e io stessa fino a un paio di anni fa non la conoscevo, Temple Grandin è una studiosa americana di quasi 70 anni. Temple si è occupata principalmente di zoologia e, oltre a essere una docente universitaria, è anche una progettista di attrezzature per il bestiame. Temple è autistica. 

Prima di iniziare a leggere uno dei suoi libri,  Pensare in immagini e altre testimonianze della mia vita di autistica (Edizioni Erickson, 2001), sapevo poco e nulla sull’autismo: non avendo mai conosciuto persone autistiche, le mie nozioni si fermavano, molto superficialmente e banalmente, a quello che avevo visto in TV, in film come Rain Man e simili. Probabilmente, l’idea comune che ci possiamo fare attraverso questi film non è propriamente “sbagliata”, ma incompleta, parziale e incapace di restituirci l’estrema complessità del tema. 

Quando ho ricevuto il libro via posta, speditomi come regalo da un amico che a sua volta lo aveva letto, ero rimasta molto sorpresa. Non si tratta di un capolavoro della letteratura, non è certo il tipo di libro che vincerà premi letterari, non occuperà un posto nella lista dei libri più venduti o dei “classici” di cui non si può fare a meno. Ma è un’autentica perla. Una perla preziosa, capace di regalare al lettore autentiche emozioni e profondi stimoli di riflessione. È un libro che arricchisce il cuore e il cervello. Dopo averlo letto, ho pensato che tutto questo lo rendeva ai miei occhi un testo comunque fondamentale. Ho anche pensato che l’affetto di una persona nei nostri confronti si può misurare dal tipo di libro che ci regala. E questo è stato un regalo in tutti i sensi.

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Il libro che mi ha cambiato la vita

Immagine 1‹‹Quando leggiamo, ci portiamo dietro le nostre origini:queste origini danno un valore, una cadenza, aggiungono un significato. È giusto che sia così: un libro non è soltanto i significati che comunica, ma i significati che vi aggiungiamo, garantiti, se non dalla correttezza intellettuale, dall’intensità del sentimento, dell’emozione, dell’affetto.

Il libro vero, quello con cui si dialoga più volte, al quale si ritorna, non conferma delle verità, ne offre di nuove, purché ci sia da parte nostra fedeltà e non conformismo, e resti viva la curiosità, il desiderio di ascoltare qualcuno che parla del nostro presente, al momento giusto. Perché il libro vero parla sempre al momento giusto: lo inventa lui, il momento giusto: con il colore della parola, con la singolarità della battuta, con il piacere della scrittura. Un libro vero va amato: lo si rilegge come si fa visita a un amico, ricordando insieme il passato e, nel ricordo del passato, celebrando il rapporto vivo col presente››.1

Con le parole di Ezio Raimondi2, Rosalba Granata e Daniela Zani3 hanno introdotto l’aperitivo a tema di Metro-Polis del 16/04/2014, svoltosi presso il Centro Sociale Anziani Giorgio Costa (Quartiere Porto – Bologna), e avente per titolo: Il libro che mi ha cambiato la vita.

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