IL SETTIMO SIGILLO DI BERGMAN: PESTE E CAPRO ESPIATORIO

di Rosalba Granata

Goya: Il sonno della ragione genera mostri.

«Quando alcuni di questi penitenti vennero a Liegi, tutti corsero con grande meraviglia a vederli compiere le loro flagellazioni […] così in tanti vi presero esempio, che chiunque voleva imitarli in segno di devozione; ma alla fine, tanto si diffuse questo comportamento che tutte le città erano piene di questi penitenti, che si facevano chiamare flagellanti […].

Quando si vide che questa mortalità e pestilenza non cessava per quanta penitenza si facesse, sorse una voce che diceva che questa mortalità veniva dagli ebrei e che gli ebrei avevano gettato veleni nei pozzi e nelle fontane in tutto il mondo»

Un cronista di Liegi ci ha lasciato un interessante resoconto degli avvenimenti al tempo della peste. Due fenomeni appaiono nel suo racconto: quello dei flagellanti e successivamente la ricerca del capro espiatorio individuato negli ebrei.

Siamo alla metà del 1300. La peste infuria in Europa. La popolazione viene decimata e ben presto all’epidemia si accompagna la carestia.

Di fronte a un male sconosciuto si scatena il terrore. Jan Delmere parla dell’Occidente come di una sorta di «Paese della paura». È il terrore che dilaga, l’immagine della morte è ovunque.

Ma di chi è la colpa? Una particolare configurazione astrale? La punizione divina?

O magari la responsabilità è degli ebrei, o streghe, o vagabondi…(1)

La Crociata

È questa l’atmosfera che ha cercato di ricreare Bergman nel suo suggestivo film Il Settimo Sigillo del 1957.  In questo caso l’odio della popolazione e la responsabilità dell’epidemia ricadono su una strega(2). Nel film seguiamo il viaggio di un cavaliere, Antonius Blok, che torna dalle crociate e attraversa la Svezia sconvolta dalla peste per arrivare al suo castello. A questo viaggio ne corrisponde un altro, quello di Blok dentro di sé, il suo percorso interiore. È tormentato Antonius. Dopo l’esperienza della guerra in Terra Santa la sua coscienza è oppressa, si interroga con angoscia sul senso dell’esistenza, prega con la disperazione di chi sta perdendo la fede, nel silenzio di Dio si sente smarrito.

«Vorrei confessarmi ma non ne sono capace perché il mio cuore è vuoto. È vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei riconoscibili simili, vi scorgo immagini d’incubo nate dai miei sogni e dalle mie fantasie».

«L’ignoto mi atterrisce. […] Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli […] Lo chiamo nelle tenebre, ma a volte è come se non esistesse»

Davanti a lui si presenta la Morte per portarlo con sé ma Antonius la sfida in una partita a scacchi per prendere tempo e riuscire a compiere un’ultima azione che abbia un senso. Il suo scopo diviene quello di collaborare alla salvezza di qualcuno.

Questi incontri con la Morte sono davvero indimenticabili. Sono indimenticabili le immagini in un nitido e luminoso bianco e nero, profondi e poetici i dialoghi. Ed è in questi incontri, che scandiscono le tappe del cammino di Antonius, che Bergman riesce a fargli esprimere tutto il dolore e tutta l’angoscia che è in lui.

«Block sa che la partita con la Morte sarà perduta, non resta passivo, le lancia la sua sfida al gioco e approfitta del “rinvio” così concessogli, del tempo che gli rimane, per “cercare” e “rendersi utile”: questa diventa anzi ora la sua vera “crociata” […]

E mentre così la vita riacquista un senso come processo spirituale di espiazione, o auto-esame critico, il mondo oggettivo… è distrutto: la peste, “punizione del cielo”, vi va seminando lutti e stragi»(3)

Danza macabra. Chiesa di San Nicola (Tallin)

Nel percorso di Blok la peste diviene il filo conduttore della vicenda, i luoghi, le persone ne sono segnati in modo straziante. E un gruppo eterogeneo di personaggi in fuga dalla città si raccoglie attorno al cavaliere e lo segue verso la sua meta

Il viaggio termina con l’arrivo al castello.

Nel contatto con gli altri il cavaliere è cambiato e la sua preghiera finale, seppure ancora vi si intraveda l’angoscia del dubbio, si apre ad una fede più semplice.

Blok accetta il suo destino. Si sente appagato. Ha realizzato il suo scopo, in quanto ha compiuto un’opera degna e ha ritrovato un rapporto di solidarietà col prossimo. Ha avuto tempo sufficiente per consentire la fuga e la salvezza dell’attore itinerante Jof, e della sua famigliola «i puri di cuore perché vedranno Dio»(4).

La Morte gli ha dato scacco matto ma la vita continua. Ed è proprio Jof, artista visionario dal cuore semplice, che descrive alla giovane moglie Mia la sua visione della danza della morte che conduce con sé il Cavaliere con il suo scudiero e gli altri suoi compagni. Una danza solenne verso le terre buie.

La mattina successiva torna la luce. Jof e Mia, sani e salvi, si risvegliano nel nuovo giorno sulla riva del mare. E sognano il futuro del figlio

«Mikael diventerà un grande acrobata, o un giocoliere che riuscirà a fare il numero più incredibile – assicura Jof – come far rimanere una palla immobile in aria».

Trionfo della morte di Bartolo di Fredi (1360 ca.) Chiesa San Francesco (Lucignano)

Vorrei richiamare alcune scene del film.  

La prima si svolge in una cappella. Un pittore vi sta affrescando la danza della morte(5).

Jons, lo scudiero che accompagna Antonius, ne è colpito e il pittore lo informa del dilagare della terribile pestilenza e gli spiega il nuovo clima che pervade la comunità.

Pittore: «Tutti sono ormai convinti che la pestilenza sia una punizione del cielo e così turbe di peccatori terrorizzati si trascinano digiuni per le strade flagellando sé stessi e gli altri per la gloria del signore»

Scudiero: «E si flagellano veramente?»

Pittore: «Certo ed è uno spettacolo orribile».

La seconda scena è quella in cui Antonius e lo scudiero arrivano nella piazza della città

Si sta esibendo una compagnia di comici. Il pubblico ride ma un ritmo cupo di tamburi rompe l’atmosfera di spensieratezza. Accompagnata dalle note del Dies irae avanza la processione di flagellanti. La scena è di grande impatto emotivo.

Il predicatore si rivolge alla popolazione con parole pervase dalla pedagogia delle paura propria del tempo:

«Iddio ci ha puniti e noi periremo tutti. Certo! Periremo tutti appestati! E così giustizia sarà fatta. Voi, là in fondo, che mi guardate come tanti buoi, e voi che sedete laggiù soddisfatti e ben pasciuti come porci, vi rendete conto che questa può essere la vostra ultima ora? La morte avanza. Ecco, vedo il suo teschio dalle vuote occhiaie che vi giunge alle spalle. E la sua falce che si leva e lampeggia terribile al sole. Chi di voi essa colpirà per primo? Te forse, con quello sguardo sperduto, di cui il gelo della morte sembra già essersi impadronito per spegnerlo in una disperata agonia prima di sera. O tu donna! Impudico scrigno di vita e di lussuria! Tu, che forse prima che sorga nuovamente il sole sarai ridotta a marcire. Eh! O tu ancora, ah!, che stai lì con sulla faccia quello stolido sorriso, oh, oh, oh, oh, che diverrà una tragica smorfia. Non vi rendere conto, o disgraziati, che morirete? Se non sarà oggi, sarà domani, o dopodomani! Ma morirete tutti! Perché ormai non c’è più salvezza! È la fine! Preparatevi! Avete sentito? Siete condannati! Condannati tutti!»

Infine la terza scena. Il rogo della strega

Nel bosco notturno l’atmosfera è inquietante. Gli alberi sono immobili. Le nubi hanno improvvisamente lasciato libera la luna. Il cavaliere e il suo scudiero assistono sconvolti e inermi al rogo della strega bambina. È lei che nel film rappresenta il capro espiatorio. È lei che raccoglie su di sé tutto l’odio e il male di cui gli uomini sono capaci. Blok si avvicina, chiede di poterle parlare, cerca il diavolo negli occhi della presunta strega e vi trova solo sofferenza e disperazione.

Antonius: «Hai visto il diavolo?»
Prete: «Non bisogna parlarle»

Antonius si rivolge al prete: «È così pericolosa?»
Prete: «Non lo so, ma pensiamo che lei sia la causa della terribile pestilenza che ci sta decimando».

Antonius: «Figliola, mi senti? È vero che sei stata assieme al diavolo?»
Strega: «Perché me lo chiedi?»
Antonius: «Non è solo per curiosità. Ho le mie buone ragioni. Voglio incontrarlo anch’io.»
Strega: «Perché?»
Antonius: «Voglio domandargli di Dio. Lui sicuramente deve saperne più di ogni altro.»
Strega: «Puoi incontrarlo quando vuoi.»
Antonius: «Anche ora?»
Strega: «Sì, se fai quello che ti dico io. Guardami fisso negli occhi. Guarda. Guarda bene. Non lo vedi?»(6)

Antonius: «Vedo solo il tuo disperato terrore. E nient’altro. Ecco ciò che vedo.»

In un mondo senza certezze nel dilagare della morte è lei il male. È lei, la strega, il capro espiatorio. È comodo avere un capro espiatorio. E allora il Capro espiatorio appare nelle epoche di crisi, con sembianze diverse: ebrei, zingari, donne sole, emarginati.

Anche nel Seicento, lacerato dalla guerra dei Trent’anni, carestia e pestilenze mietono vittime e dilaga la caccia all’untore. Pensiamo a come la descrive drammaticamente Manzoni nei Promessi Sposi e nella Storia della colonna infame.E poi naturalmente in modo chiaro e lampante lo sterminio degli ebrei nell’epoca nazista.

È comodo avere un capro espiatorio. Ecco allora le streghe, ecco gli ebrei, gli zingari, gli immigrati. La rabbia nata dalla paura. La rabbia che ottenebra ogni ragione. La rabbia che esplode in odio e in violenza. Ecco la rabbia trova un obiettivo… Il capro espiatorio. Ed esplode con tutta la sua carica di irrazionalità. In ogni periodo di crisi.

NOTE

  1. Durante la peste della metà del Trecento il capro espiatorio variava da paese a paese. Sicuramente vengono massacrati soprattutto gli ebrei ma talvolta vennero accusati di provocare l’epidemia, contaminando i pozzi o l’aria, anche i lebbrosi o altri gruppi marginali come streghe, vagabondi. In Spagna, per esempio, si diffuse la voce che gli avvelenatori fossero prevalentemente i musulmani. Il primo scoppio di ostilità contro gli ebrei avvenne nella notte tra il 13 e 14 aprile 1348, domenica delle Palme: il ghetto di Tolone fu saccheggiato e una cinquantina di persone, uomini, donne e bambini, massacrate. Poco dopo, in varie località della Provenza si verificarono diversi episodi di aggressione, contro le comunità ebraiche. L’ondata raggiunse il culmine il 16 maggio a La Baume, dove tutti gli ebrei vennero uccisi. Negli stessi giorni, a Barcellona un banale incidente trasformò il funerale di un appestato in un massacro degli ebrei.
    Papa Clemente VI tentò di difenderli spiegando, in una bolla, che gli stessi ebrei morivano di peste, e che la peste si era diffusa anche laddove non vi erano comunità ebraiche.
  2. Nel Trecento non siamo ancora nel pieno della caccia alle streghe che culminerà tra Cinquecento e Seicento, ma, durante l’epidemia di peste nera in alcune zone si iniziò a parlare di stregoneria e a individuare nelle streghe i capri espiatori.
  3. Guido Oldrini, La solitudine di Ingmar Bergman
  4. Nella descrizione della famiglia dei saltimbanchi si possono individuare per Bergman valori più positivi: la vita in sintonia col ritmo della natura e con la possibilità di pervenire alla comprensione e alla conoscenza grazie all’amore e alla semplicità.
  5. L’affresco riprende le scene tipiche della pittura nordica medievale. Bergman dichiara di essere partito proprio dagli affreschi medievali nelle chiese per l’ispirazione del film.
  6. La ragazza prima di morire è lei stessa convinta di essere posseduta dal Demonio. La maggior parte delle confessioni venivano estorte con la tortura ma talvolta le stesse donne accusate di stregoneria ritenevano di avere poteri che provenivano da un patto col diavolo. Storici, antropologi, psichiatri si sono interrogati su questo fenomeno. Le risposte non sono esaurienti anche perché tutti i documenti che abbiamo vengono dalle fonti ufficiali dei persecutori. Si ritiene che le confessioni spontanee siano da attribuire ad allucinazioni, deliri e talvolta dalla persistenza nelle zone rurali di antichi culti. Alcuni poi, come Zilboorg, parlano della presenza di  vere nevrosi e malattie mentali.

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