NOTA POLITICA

di Mattia Macchiavelli

VOCI DEL SILENZIO

A più di due mesi dalle elezioni politiche proviamo a indagare chi siamo, vedendo proprio il risultato elettorale in prospettiva.

73%(1). Questo il primo dato interessante con cui fare i conti: la percentuale degli elettori che domenica 4 marzo si sono recati alle urne.

Due punti in meno rispetto al 75% del 2013, ma si sarebbe comunque tentati di affermare che la partecipazione al voto delle italiane e degli italiani abbia tenuto, intonando un insospettabile controcanto di resistenza all’atonia che questo presente sembra volerci imporre. Quel numero sembra dirci che la resa è ancora lontana, anche se la fatica è molta e lo scoramento le è fedele compagno.

La tendenza all’astensione, tuttavia, se la si guarda sul lungo periodo, ci presenta uno scenario ben più inquietante: proprio nel 2013, per la prima volta nella storia repubblicana, il dato dell’affluenza scende sotto la soglia dell’80%, ma è dal 2008 che quell’indicatore continua a precipitare, inesorabilmente(2). Un fatto che ci dovrebbe mettere in guardia: quello spirito resiliente non è indistruttibile – sembra sussurrarci –, quello è un bacino che si sta lentamente prosciugando e, col tempo, non riuscirà più a dissetare gli abitanti di un deserto che va inaridendosi.

Quel 73% ci dice anche che un 27% di elettrici ed elettori non si è recato alle urne.
Questa porzione di cittadinanza non votante, che va pian piano ingrandendosi, è un consorzio umano variegato ma insospettabilmente unito da un’istanza: l’attesa. Sono (siamo?) persone che aspettano. Tutte alla ricerca di un grande amore.

A chi non va a votare – dissolte le grandi narrazioni, cadute le identità dei piccoli partiti, smascherato il carisma dei leader – non rimane che elaborare il lutto, nella speranza che questo tempo, il tempo dell’attesa, possa portare a un prossimo innamoramento. Saranno persone sospettose, almeno all’inizio, convinte di non potere votare mai più, poi si apriranno, a fatica, desiderose di poter accogliere nuovamente la passione nella propria vita pubblica.

La fiducia è un’alchimia instabile, una cesura senza vie di mezzo: o c’è o non c’è. Per questo, chi si candida a essere la futura classe dirigente del Paese, deve essere consapevole delle dinamiche dell’amore. Deve sapere quanto l’affidarsi all’altro da sé sia un aut aut costoso e difficile, senza possibilità di ritorno, né di ammenda. Deve prepararsi a un corteggiamento difficilissimo e a rituali di accoppiamento estenuanti. Ma soprattutto deve imparare a concedere tempo: per capire, per riconoscere e per riconoscersi. Chi vorrà competere per la guida dell’Italia – non oggi, non domani e, temo, nemmeno dopodomani – dovrà essere capace di riconoscere quel 27%, dovrà essere abbastanza forte da reggerne lo sguardo inquisitore e misterioso: per sondarne gli abissi, per capire realmente cosa si è sbagliato e dove andare a lavorare per ripartire.

Il panorama politico dipinto dalle ultime elezioni ci offre un quadro piuttosto stimolante in questo senso, proprio perché comincia a fornire delle risposte complesse a domande complesse. La condotta elettorale di chi si è recato alle urne, infatti, ci suggerisce un alfabeto che potrebbe essere utile anche per decifrare il difficile linguaggio di chi non si è espresso.

NOTE

  1. Queste le percentuali esatte dell’affluenza ai seggi: Camera dei deputati 72,93%, Senato della Repubblica 72,99%, Regionali (dato complessivo) 70,57%. Dati del Ministero dell’Interno
  2. Di seguito le percentuali dell’affluenza alle elezioni politiche italiane dal 2006 a oggi: 84,24% (2006); 80,63% (2008); 75,19% (2013); 72,93% (2018). Dati del Ministero dell’Interno

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