INCOMPIUTO

di Ottorino Tonelli

Ciò che si rompeva sarebbe stato rappezzato; quello che si piegava sarebbe stato sostenuto; ma, prima che se ne presentasse la necessità e senza che essa si presentasse, nessuno si sarebbe messo a fare un lavoro con un piano e con previsioni precise, nessuno sarebbe andato a stuzzicare le fondamenta degli edifici, mutando l’aspetto della città, stabilito da Dio.

Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina

Raccontava un tecnico carpentiere in ferro inviato in Calabria per costruire una mega struttura altissima, che, quando ormai stava per completare l’opera, iniziò a sentire forti rumori e vibrazioni provenienti dal basso. Preoccupato scese a vedere di cosa si trattava: una nuova squadra di carpentieri tagliava e saldava altri elementi sull’opera in via di completamento:

– Stiamo facendo delle modifiche al progetto.

Fu la spiegazione dello strano armeggiare.

Possiamo immaginarci come sia andata a finire. Sappiamo come nel Sud del nostro Paese prolifichino opere incompiute dette eufemisticamente, “cattedrali nel deserto”. Ma non nascondiamoci dietro un dito: anche nel Centro e nel Nord ve ne sono in abbondanza.

D’altronde abbiamo esempi anche lontanissimi, famosi e celeberrimi. Michelangelo, ad esempio. Chi non conosce, specie nei Prigioni, il famoso non finito del Buonarroti. Ai suoi tempi si andava di martello e subbia (uno scalpello a punta) per togliere il grosso del marmo; poi si andava di gradine (scalpelli a punta dentata) dai denti più radi a quelli più fini, e lì si fermava il nostro Michelangelo: alle gradine dai denti più radi, quando tutti gli altri scultori, nei secoli precedenti e quelli successivi, procedevano con scalpelli piatti a togliere i rilievi rilasciati dalle gradine e poi con raspe per rifinire i particolari e poi ancora con pietre abrasive sempre più fini per lucidarlo. E perché no, dare anche un pochino di cera affinché il marmo acquisti di trasparenza e rifletta più luce.

No, Michelangelo, dopo la subbia e una grossa gradina, si fermava. Io mi son sempre chiesto se inseguendo i mille lavori commissionatigli, quelle opere, quel non finito non sia dovuto al fatto che non avesse tempo per finirli. Lui, e poi gli storici dell’arte, ci hanno fatto credere che il non finito è bello, così come gli archeologi inglesi ci hanno fatto credere che le sculture del Partenone fossero di un marmo bianco, candido e immacolato… quando invece erano completamente dipinte.

Ogni opera sembra trascinarsi e vivere del proprio destino: la chiesa di San Lorenzo a Firenze conserva la sua facciata incompiuta con tutti i mattoni corrosi che attendono il rivestimento marmoreo, mentre la vicina Santa Maria del Fiore, il Duomo, ha la facciata compiuta ma posticcia, cioè fatta nell’Ottocento. Difficile dire cosa sia il meglio o il meno peggio. Diciamo che oggi tutto ci piace così com’è.

Del resto, tutto può essere visto o interpretato con occhio diverso tant’è che all’affermazione:

– Peccato che io abbia di fronte a casa mia un traliccio della corrente elettrica

un’amica disse:

– Perché, la Torre Eiffel cos’altro è se non un traliccio di ferro?

Ma sì, stiamo con i piedi per terra.

Quando mi arrabattavo per portare la casa acquistata a condizioni efficienti e gradevoli, un compaesano portatore di saggezza popolare ammoniva:

– Attento, l’uomo non finisce i lavori. I lavori finiscono l’uomo.

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