di Patrizia Arcesilai
Ho vissuto gli anni settanta con l’entusiasmo e la leggerezza dei vent’anni, questa è la testimonianza di una giovane donna di allora, un punto di vista personale e quindi anche, inevitabilmente, parziale.
Gli anni settanta sono anni particolari, molto intensi, anni di tensioni e di conflitti.
Sono anni di conquiste che cambiano il volto del paese: l’introduzione del divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la legge per l’interruzione volontaria di gravidanza…
Ma sono anche anni bui: le stragi sui treni, piazza della Loggia, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, l’uccisione a Bologna di un giovane studente, Francesco Lorusso, ucciso dalla polizia.
PCI
Mi sono iscritta al Partito comunista all’inizio degli anni settanta. Era appena diventato segretario Enrico Berlinguer. Ero allora una giovane donna, piena di sogni, desideri e ideali e pensavo, speravo che tutto questo mio mondo interno, queste aspirazioni, potessero, nel partito, trovare espressione.
La mia sezione era la sezione universitaria comunista… mitica S.U.C, sezione a stampo ingraiano1.
Sentivo di avere fatto la scelta più giusta, una scelta di appartenenza e di cambiamento. Sognavo un mondo senza disuguaglianze, che potesse tutelare la diversità e la dignità di ognuno, una società, un mondo, in cui tutti potessero avere le stesse opportunità, in cui le differenze fossero risorse, e l’onestà, la trasparenza motori dei pensieri e delle azioni.
Questo era essere comunista per me e per molte giovani donne che condividevano il mio stesso percorso.
Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri
cantava Giorgio Gaber
Non ci occupavamo e non capivamo le strategie politiche, le tattiche… le lotte per il potere, le correnti sotterranee, pensavamo che il nostro grande partito ne fosse immune, purtroppo non era così…
Insoddisfazione
Presto però ci rendiamo conto che anche in sezione si ripropongono modi, pregiudizi ed esclusioni che di solito dovevamo subire nella società (a scuola, al lavoro, in famiglia…) e che noi, soprattutto noi donne, eravamo il bersaglio di queste umiliazioni, di queste prevaricazioni.
Le prime insoddisfazioni cominciano a serpeggiare. E prendono corpo: gli interventi erano sempre fatti dai compagni maschi, erano loro che gestivano la vita della sezione, noi non avevamo mai ruoli rilevanti nelle attività politiche.
Venivamo chiamate per fare le convocazioni delle assemblee e questo voleva dire passare i pomeriggi a scrivere indirizzi e mettere francobolli.
E poi soprattutto c’era un’usanza, diventata regola: le donne, solo le donne, finite le riunioni, mettevano a posto le sedie e pulivano la sala. All’inizio avevamo accettato queste pratiche come normali… era un modo per partecipare alla vita della sezione. Ma proprio questi momenti, in cui ci ritrovavamo solo tra noi, parlando, confrontandoci, rispecchiandoci l’una nell’altra, ci hanno permesso di esprimere la nostra legittima insoddisfazione, e dare parola a quella delusione, fino ad allora, mai ammessa e sempre taciuta.
Il personale è politico
Era una voce condivisa, per prendere coscienza che molti problemi che pensavamo soggettivi, nostre mancanze, nostre incapacità, nostre paure, avevano in realtà origine fuori di noi, in una società e in una cultura maschilista e patriarcale, che ci aveva sempre relegato nel silenzio e nella esclusione. Veniva avanti una nuova consapevolezza, personale e collettiva, una presa di coscienza che portava a cambiare il modo di sentire noi stesse, e di conseguenza il modo di pensarci, di relazionarci.
Si fa strada la consapevolezza che il privato è collegato a fenomeni più ampi, relativi alla sfera pubblica. Il personale è politico. Si devono quindi trovare nuovi modi di fare politica che possano includere quello che dalla politica era sempre stato negato: il corpo, la sessualità, le relazioni, i sentimenti, i sogni. . .
Il Partito, così come gli altri gruppi della sinistra extraparlamentare, si rivela incapace di leggere quello che sta cambiando nel paese ed è perlomeno indifferente alla politica delle donne.
Il femminismo si era inoltrato in quelle acque profonde e insondate della persona, che la politica si era lasciata dietro, una «materia segreta», imparentata con l’inconscio. (Rossana Rossanda)
Separatismo
Questa materia segreta di cui parla Rossanda, è la nostra specificità, la differenza dal maschile che con orgoglio volevamo rivendicare, liberandoci da quelle sovrastrutture culturali, sociali e politiche che il patriarcato ci aveva messo addosso, volevamo sottrarci ad un’identità che sentivamo non corrispondere a ciò che eravamo realmente.
Decidiamo di incontrarci solo tra di noi, solo tra donne, per affrontare problematiche nostre, e cercare insieme un’autonomia profonda da quei modelli che avevamo interiorizzato e che lo sguardo dei maschi ci riproponeva. Prendere coscienza di chi veramente eravamo, di chi siamo…
Cominciamo a vederci in modo clandestino e in gran segreto in una casa di via Marsala… la casa di una coppia di compagni. Una casa grande, luminosa, in cui spesso avevamo organizzato grandi feste, in cui ballare e divertirci…
Il gruppo cresce, è sempre più numeroso. Direi che in quegli anni oltre al ballo e alla musica, che fanno parte della nostra quotidianità, ci riappropriamo della parola, parliamo, parliamo tanto, in due, in piccoli o grandi gruppi, condividiamo l’intimità, apriamo le porte ai nostri vissuti più profondi.
Ma ben presto arriva voce di questi incontri ai dirigenti del PCI. Per il partito questo è inaccettabile, una cosa del genere non era mai successa. Ben presto, da via Barberia2 vengono mandate alcune compagne “fedeli” per capire cosa sta succedendo e farci recedere da questi propositi in odore di eresia. L’accusa è di fare lotte settoriali, di essere individualiste e borghesi (borghese era allora una delle peggiori offese che un compagno poteva fare ad un altro compagno, o compagna).
Noi non volevamo uscire dal Partito, la nostra identità comunista non era messa in discussione, ma sentivamo che non era il partito che poteva accogliere le istanze rivoluzionarie di cui ci sentivamo portatrici.
Cercavamo un luogo in cui praticare e dare una forma ad un modo nuovo di fare politica; alla fine lo abbiamo trovato all’UDI (Unione donne Italiane). Nell’UDI, allora, le funzionarie stipendiate, dovevano rappresentare i 2 partiti fondatori: PCI e PSI, in proporzione al peso politico che i due partiti avevano nella società.
La nostra entrata contribuisce ad approfondire e rendere concreto il percorso di autonomia dai partiti di riferimento. In quegli anni l’UDI si trasforma in un luogo in cui giovani attiviste incontrano donne di altre età, altra provenienza, altra appartenenza; un luogo pronto a capire e a far propria la cultura del movimento.
Il corpo è mio e lo gestisco io
Eravamo tra due fuochi: il partito, in ritardo nel riconoscere il valore del movimento delle donne, che non ci approvava, e le femministe, quelle più radicali e rivoluzionarie, che ci consideravano ancora subalterne ad un partito maschilista.
Ma le battaglie per l’aborto, la riforma del diritto di famiglia, le leggi sulla violenza contro le donne, i consultori, la contraccezione, non possono che essere obiettivi comuni. Anche mettere al primo posto la nostra appartenenza di genere rispetto al partito e le battaglie per la liberazione e per i diritti di tutte, porta ad incontrarci, a lotte condivise, a grandi manifestazioni, gioiose e colorate. Non si tratta di un movimento unico e organizzato a livello centrale, nascono molti gruppi, spesso differenti tra loro. Eppure, per una strana magia, per un tempo forse breve, siamo riuscite a tenere unite tutte queste diversità, a tralasciare i motivi di divisione e a dare impulso a ciò che ci univa.
Uno degli slogan era “il corpo è mio e lo gestisco io”, per rivendicare il diritto delle donne a riappropriarsi del proprio corpo, della propria sessualità, a decidere se essere madre o no.
Per quegli anni sono concetti rivoluzionari che cambiano le nostre vite. E tuttora, a tanti anni di distanza, pur in questi tempi bui, quelle conquiste hanno continuato a vivere dentro di noi, le abbiamo portate nella quotidianità, negli incontri, nell’amicizia, nell’amore.
Vorrei concludere con una frase di Virginia Woolf che, con la capacità visionaria che la contraddistingue, ci porta in un tempo indefinito, senza confini né limiti, e ci ricorda il mondo segreto delle donne.
Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai. (Virginia Woolf)