DIARI DI PALESTINA

1. La strada racconta

2. Un’altra goccia d’acqua

3. I bambini palestinesi stanno piangendo

4. Dato per scontato

5. Capaci di stupore

6. 38 miliardi

Poi arriva il senso d’impotenza. Pervasivo, non lascia spazio a tante altre sensazioni, riflessioni o pensieri razionali. T’invade come uno tsunami e non c’è alcuna resistenza che tu possa opporre. Succede mentre sei in fila a un checkpoint e aspetti che controllino tutti gli spostamenti della tua vita così come tutto ciò che, nel tuo passato, potrebbe rappresentare una minaccia allo loro tanto fragile “sicurezza nazionale”. Succede mentre saluti i bambini con cui hai trascorso le tue ultime tre settimane, che hai sgridato, che hai cercato di correggere quando commettevano piccoli errori e ai quali hai provato a dare il più possibile con la consapevolezza che comunque non basterà e non sarà quello a cambiare le cose. Ti travolge quando tra gli articoli della BBC leggi in prima pagina del nuovo accordo Israele-Stati Uniti sugli armamenti Israeliani: “Washington fornirà aiuti militari allo stato d’Israele per 38 miliardi di dollari”. 38 miliardi di dollari erogati in 10 anni. Ma la cosa più ironica di questo accordo è che questi fondi potranno essere spesi solo in armamenti di produzione americana.

La cosa non dovrebbe stupirmi particolarmente dal momento che la prima potenza mondiale s’impegna solamente in iniziative che vanno a favore del proprio interesse nazionale. Ma trovandomi lì in quelle terre, in quel momento e leggere quelle parole, sorprende, ma soprattutto rattrista.

È davvero questa l’unica unità di misura in grado d’indirizzare le relazioni internazionali? Se è così allora è davvero utile l’impegno e il tempo che ho dedicato a queste persone in queste tre settimane e tutto ciò che loro hanno donato a me per rendermi parte della loro comunità condividendo le loro difficoltà e paure? Cosa importa anche solo scrivere queste righe se tanto verranno poi lette da una ristretta cerchia di persone che tendenzialmente si trova a condividere il mio stesso punto di vista? Che senso ha sopportare un interrogatorio invasivo in cui ti viene chiesto nei dettagli cosa hai fatto nelle ultime tre settimane e mentire a delle forze dell’ordine israeliane nonostante tu abbia la totale consapevolezza di non fare nulla d’illegale? Che senso ha continuare ad indignarsi con coloro che dicono “rimandiamoli a casa” quando hai visto come sono le loro “case” consapevole che probabilmente proprio quelle stesse persone sarebbero le prime a scappare dopo due minuti se si trovassero in situazione del genere?

Sinceramente, penso che ognuno abbia la propria risposta a questa domanda. Per quanto mi riguarda, guardandomi intorno, in questi ultimi giorni di permanenza a Jenin posso solo pensare che le persone che sono qui e vivono qui hanno un grande coraggio. Persone come Amir e la sua famiglia sono degli eroi. Non saranno Superman o Spiderman a salvare il nostro mondo e tanto meno i capi di stato delle potenze internazionali, ma solo le persone che educano ogni giorno alla cittadinanza attiva che sicuramente lo renderanno un posto migliore, sono le persone come mia madre che trovandosi ad insegnare biologia in un istituto tecnico deve spiegare che biologicamente l’omosessualità non può essere considerata una malattia e che non esiste il “virus dei gay”, sono persone come Corine, apprendista avvocato per i diritti umani che ha trascorso tutte le sue vacanze estive a Ramallah per aiutare i cittadini palestinesi nelle carceri israeliani ad avere la giustizia che meritano attraverso le legge, sebbene, quella alla quale devono sottoporsi, non sia una legge scelta da loro. Perché lo fanno? Perché pensano sia la cosa giusta da fare.

Personalmente ritengo che atti di bellezza e di rispetto quotidiano siano possibili a tutti noi anche senza andare necessariamente in posti di guerra o di estrema povertà, nonostante siano sicuramente esperienze altamente formative che farebbero bene a davvero tantissime persone. Ciononostante la risposta che io preferisco è quella che scrive Tiziano Terzani in Lettere contro la guerra: “con quello che sta succedendo nel mondo, la nostra vita non può e non deve essere normale”. Di questa normalità ci dovremmo vergognare. Ci dovremmo vergognare di vivere in un mondo in cui discriminazioni di tutti i tipi persistono, in cui a più di metà della popolazione mondiale non è permessa una vita dignitosa, in cui le ricchezze sono ben lontane dall’essere divise equamente, in cui bambini rischiano di morire andando a scuola e cittadini rischiano di morire andando a votare. Non sarò io che porrò fine al conflitto decennale fra Israele e Palestina come non sarò io che darò a Omar la possibilità di frequentare l’università in Germania nella speranza di migliorare le condizioni di vita della propria famiglia. Non sarò io ma se non sarò da sola sarà più facile.

So perfettamente di non avere alcuna colpa per essere nata nella parte del mondo “giusta”, però questo non è nemmeno un mio merito. Non ho fatto niente per avere la possibilità d’iscrivermi all’elementari e poi all’università, di poter acquistare tutti i libri che ritenevo interessanti, non ho fatto nulla per avere la possibilità di viaggiare, esplorare il mondo e comprendere e conoscere varie realtà anche diverse dalla mia. Devo molto ai miei genitori, questo indubbiamente, ma io non ho fatto nulla. Ho studiato quando ne ho avuto la possibilità, ho letto quando trovavo un libro interessante, ho viaggiato ogniqualvolta mi si presentava l’occasione. Ma probabilmente Razan, la nipote di Amir, al mio posto avrebbe fatto lo stesso. Però lei non è nata da questa parte del mare, non è nata nel mondo delle monete forti o dove la legge del mercato è quella del tuo mercato e quindi anche se lei al mio posto avrebbe studiato, lavorato e viaggiato, di questo non importa a nessuno.

F.S.

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