Vi è una storia antichissima da raccontare, narra di colei che un giorno scorse arrivare da lontano, tramezzo alle acque tranquille del mare inospitale, le vele spiegate della solida nave e non seppe intuir il suo fato. Colei che si spinse per amore a tradire se stessa in favore di uno straniero. Colei che fu vittima delle Moire e delle Erinni. Una donna che per diritto di sangue dovremmo chiamar dea ma che la volgarità dei suoi nemici ha definito strega. Nipote del Sole e di Circe, Medea è la passione che giunge alla catarsi e si infonde nel fiume della ragione spietata, al di là di ogni vincolo sociale.
Dinanzi alla sua natura, ascoltiamo il coro delle donne di Corinto che non riescono a condannarne le azioni; accogliamo la sua sofferenza, pena troppo alta da scontare; osserviamo la sua mente espandersi verso la consapevolezza di un gesto terribile. La reietta di Giasone attende nel suo antro, intrisa di dolore, che giunga il momento. Un piano esecrabile sta per compiersi. Dopo di che il mondo tutto potrà dirsi sconvolto per la sua opera.
“Udii la voce, udii il grido
dell’infelice donna di Colchide,
non ancora è calma. Ma, o vecchia, parla:
ché dentro la dimora della duplice porta
un grido udii.
Né mi rallegro, o donna,
per le sofferenze della casa,
giacché cara mi è divenuta.”
Francesco Colombrita