LA BIBLIOTECA DI BABELE – LA LINGUA SALVATA

di il Club del libro

Nell’autunno incipiente, il Club del libro di Metro-Polis si è ritrovato per continuare il viaggio nei viaggi possibili che è il tema stesso alla base del percorso che si è deciso di intraprendere nel 2019. Tra le varie declinazioni che si sono scelte di questo vasto concetto, a partire dal viaggio nella libertà e proseguendo nel viaggio come disvelamento, come esplorazione di genere, come memoria, migrazione, conoscenza, non poteva mancare un ribaltamento simbolico delle istanze sopra citate: passare dal viaggio attraverso qualcosa a quel qualcosa che ci attraversa e si fa viaggio. Il titolo scelto per questo incontro è stato infatti La lingua salvata di Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981. In sintesi, la vita come viaggio! 

La lingua salvata non è un romanzo, né esattamente un memoir, si tratta del primo volume di una vera e propria autobiografia dell’autore, che in questo tomo va dalla sua nascita, nel 1905, al 1921. Canetti scrive questo libro da uomo maturo, la prima edizione è del ‘77, gettando un fiammifero alle proprie spalle per illuminare un passato che ricorda, almeno così pare, con estrema lucidità. Il racconto inizia appunto descrivendo «Il mio più lontano ricordo», in un momento non ben precisato dell’infanzia. Il protagonista (e autore) nasce da una famiglia ebraica nella cittadina di Rustschuk, nella Bulgaria settentrionale, e inizia a muovere i suoi primi passi nel mondo. 

 

«Mi sarà difficile dare un’immagine di tutto il colore di quei primi anni a Rustschuk, delle passioni e dei terrori di quel tempo. Tutto ciò che ho provato e vissuto in seguito era sempre già accaduto a Rustschuk».

 

A far da padroni alle vicende stanno i legami famigliari del giovane Canetti, in particolare il rapporto con la madre, latore di contenuti che una certa critica definirebbe smaccatamente freudiani. Una relazione fatta di affetto e conflitti, tra due persone costrette a vivere insieme dopo la prematura scomparsa del padre. 

 

«Per alcuni mesi dopo la sua morte, dormii nel letto di mio padre. Era pericoloso lasciare sola la mamma. Non so a chi venne l’idea di darmi l’incarico di vegliare sulla sua vita. Lei piangeva molto e io stavo ad ascoltare il suo pianto. Consolarla non potevo, era inconsolabile. Ma quando si alzava e andava alla finestra, io balzavo in piedi e mi mettevo al suo fianco. La cingevo con le braccia e non la lasciavo andare. non parlavamo, queste scene si svolgevano senza parole.»

 

Il rapporto con la madre si classifica presto per la severità con la quale lei ripone aspettative nei confronti del figlio. Figlio che trascinerà in un viaggio per l’Europa senza fine. Il libro è infatti diviso in parti che sono luoghi fisici dove il giovane Canetti ha vissuto, in parte trascinato: Manchester, Vienna, Zurigo. La durezza della madre è compensata da momenti di autentico affetto e scambio, situazioni che certamente hanno segnato la vita intellettuale del futuro Nobel. Intere serate passate a leggere e commentare i grandi classici della letteratura, un’ossessiva insistenza nel costringere un bambino a imparare il tedesco in pochi mesi. 

 

«Non credo di aver allora capito le opere che leggevamo assieme. Certo, molte cose le assimilavo, ma nel mio ricordo lei è rimasta l’unico personaggio, quello che recitavamo insieme era sempre lo stesso unico dramma.»

 

Viaggiare con Canetti nella sua vita, attraverso l’Europa del suo tempo, porta a rilevare in lui una certa mania per la lingua e la scrittura che hanno classificato l’autore fin da quando ha memoria. A questo forse rimanda il titolo stesso. 

 

Il prossimo incontro della Biblioteca di Babele, dedicato al viaggio come fuga con la lettura del Bosco delle volpi impiccate di Arto Paasilinna,  si svolgerà domenica 24 novembre alle ore 18:00, presso il Centro Socio Ricreativo Culturale Stella, in via Ludovico Savioli 3. 

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