BREVIARIO PER GAZA

COSA STA FACENDO ISRAELE IN PALESTINA

di Federica Stagni


La violenza nei territori palestinesi e in Israele si è riaccesa e molte persone mi hanno chiesto dove possono trovare fonti attendibili per capire cosa sta succedendo, non potendo più contare sui resoconti distorti della maggior parte dei media italiani. Purtroppo, quello che sta accadendo adesso in Palestina non viene raccontato o problematizzato nella giusta maniera da nessuna testata giornalistica di rilievo, eccezion fatta per
Il Manifesto e Internazionale.

Il tema non è complesso di per sé, ma ha sicuramente radici molto lontane e purtroppo gli spazi di un commentario non sono adeguati per una riflessione storica di questa portata. Tuttavia per chi fosse interessato consiglio alcune letture, in modo da potersi documentare da fonti autorevoli per fare chiarezza in tutta questa confusione. Per un’illustrazione esaustiva dei conflitti, e dei cambiamenti geografici che ne sono derivati, può essere utile il saggio La terra di chi?, di Marcella Emiliani, in cui l’autrice approfondisce queste dinamiche. Si chiamava Palestina, volume scritto dalla giornalista Cecilia Dalla Negra, propone invece un precisa ricostruzione storica degli eventi che hanno seguito la Nakba nel 1948, la catastrofe del popolo Palestinese, ossia la nascita dello stato d’Israele, e la relativa espulsione di almeno 700.000 persone dalle loro case alle quali non sono mai potuti tornare. Ilan Pappé, storico Israeliano, documenta invece in La Pulizia Etnica della Palestina tutti i passaggi che hanno portato alla creazione dello stato d’Israele e le violenze verso i civili perpetrate dalle squadre militari israeliane. 

Per chi fosse invece interessato ad approfondire la questione da un punto narrativo consiglio i romanzi della fantastica Susan Abulhawa, scrittrice palestinese americana che racconta la violenza dell’oppressione coloniale israeliana da punti di vista prettamente femminili, localizzati in territori sempre diversi. In Ogni mattina a Jenin siamo in Cisgiordania, Nel blu fra il cielo e il mare a Gaza e in Contro un mondo senza amore ci racconta invece l’esilio di una donna palestinese prima in Kuwait e poi in Giordania. La frammentazione territoriale raccontata in questi libri esprime la volontà dell’autrice di affermare l’esistenza di un’identità palestinese comune in tutti i territori in cui i palestinesi sono stati costretti a fuggire. Infine, consiglio anche un piccolo volume – tradotto da Traduttori per la Pace – contenente un Rapporto delle Nazioni Unite che ha investigato la possibilità di definire Israele come uno stato di Apartheid. 

Una volta che ci si documenta a dovere, appare evidente che non si tratta di un conflitto fra due stati, fra due popoli, fra due culture o etnie, ma di un tentativo da parte dello stato di Israele di colonizzare territori sui quali, secondo il diritto internazionale, i palestinesi vantano un diritto all’autodeterminazione. Tuttavia criticare lo stato d’Israele è molto difficile, si pensi che una volta pubblicato il rapporto sopracitato e inserito nel sito delle Nazioni Unite, la leadership israeliana e quella statunitense scatenarono una vera e propria guerra mediatica e psicologica non solo contro il merito del rapporto, ma contro i suoi autori con calunnie e attacchi alla sua credibilità culminati nella classica accusa di antisemitismo. Il segretario generale dell’ONU Guterres, a un certo punto cedette alle proteste, usando come scusa un errore tecnico, e ne ordinò la rimozione. Tutto questo dimostra quanto al giorno d’oggi sia influente la leadership israeliana e quanto difficile sia criticarla, in parte per il rimorso occidentale verso l’olocausto acuito dalla costante sovrapposizione di antisionismo e antisemitismo, in parte a causa dei profondi interessi economico-strategici che l’occidente ha in Medio Oriente. 

Spesso, quando commento articoli di giornale online o post che mancano di uno sguardo critico sulla questione palestinese ed elogiano Israele come «l’unica democrazia del Medio Oriente», nella shit storm che inevitabilmente segue e nella quale vengo travolta, l’accusa più comune che ho ricevuto è quella di odiare gli ebrei. I sionisti utilizzano questo argomento ben consapevoli della forza retorica che può avere nei confronti di una persona occidentale, cresciuta in un contesto nel quale l’antisemitismo così come l’antifascismo sono valori fondanti. La verità è che dobbiamo fermamente rifiutare questa sovrapposizione: essere contrari a politiche espansionistiche, violente, e disumane (come ci dimostrano ancora una volta le immagini di Gaza) dello stato d’Israele non vuol dire essere antisemiti. Vuol dire riconoscere che tutte le persone hanno il semplice diritto alla vita e uguale dignità. Ci sono molti ebrei e israeliani che si oppongono alla violenza di stato promossa da Netanyahu, purtroppo però, tutti questi attivisti non hanno voce, e sono spesso oggetto di attacchi personali e mediatici da parte dei media israeliani e dei militanti di gruppi di estrema destra come Lehava (il cui valore fondante è quello di impedire l’assimilazione degli ebrei impedendo qualsiasi tipo di rapporto fra ebrei e non-ebrei). Come dichiarato da alcuni attivisti intervistati nella mia ricerca sul campo, per i militanti di estrema destra «peggio degli arabi ci sono gli israeliani di sinistra contro l’occupazione. Siamo considerati anti-ebrei e traditori del nostro stato». 

Ugualmente i media occidentali, e in particolar modo quelli italiani, si rifiutano di riportare le notizie delle violenze contro i palestinesi sia a Gaza che in Cisgiordania, dove l’esercito israeliano in pochi giorni ha già ucciso 220 persone (di cui 65 bambini), mentre salgono a 12 i morti Israeliani, per un rapporto di un israeliano ogni venti palestinesi. Credo che questi dati dovrebbero spingerci a riflettere sulle vere intenzioni di Israele. I media italiani invece continuano a etichettare questi bombardamenti come «legittima difesa», tralasciando poi che, sempre secondo il diritto internazionale, anche la legittima difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa. Israele è un alleato economico e strategico nella regione medio orientale, ma questo non può bastare come giustificazione a raccontare solo metà della storia. Le pressioni e la distorsione delle notizie prodotte da Israele hanno permeato la maggior parte dei mezzi di informazione mainstream e costretto a farsi portavoce della causa palestinese una ristretta cerchia di esperti della società civile che cercano di combattere questa ricostruzione egemonica con dati, grafici e argomentazioni elaborate. La sensazione è che Israele possa permettersi di bombardare gli edifici delle principale emittenti internazionali a Gaza, ma noi accademici ed esperti dobbiamo costantemente giustificarci quando condanniamo queste azioni. Criticare le politiche Israeliane non è facile, ma è necessario tanto più adesso che non c’è nessuno a farlo.

L’attuale irrigidimento delle tensioni tra Israele e Palestina è il risultato di anni di diritti negati, costanti umiliazioni e maltrattamenti e un’opinione pubblica israeliana che si sta radicalmente spostando a destra, rendendo impossibile qualsiasi tipo di azione critica e di opposizione. Prima dei bombardamenti che hanno occupato le prime pagine dei giornali ci sono stati anni di costanti violazioni dei diritti umani raccontanti da Human Rights Watch o Amnesty e altrettante ONG locali (suggerisco di visitare di B’tselem che da sempre fa un ottimo lavoro sul campo). I giovani di Youth of Sumud, altra pagina che vi consiglio di controllare (che lavorano a stretto contatto con Operazione Colomba, ONG italiana da sempre attiva nei territori palestinesi) da anni, attraverso la lotta non violenta cercano di evitare la confisca e l’espropriazione delle loro terre all’interno dei territori palestinesi oggetto delle mire dei coloni (colonie dichiarate illegali sempre dalle Nazioni Unite). In questo panorama, si colloca l’espulsione dei residenti del quartiere arabo di Sheikh Jarrah che ha dato il via alle proteste a Gerusalemme Est. Altri villaggi e altri quartieri soggetti a una simile pulizia etnica sono stati salvati da mobilitazioni di massa che hanno raggiunto i media internazionali e dalle relative pressioni internazionali sul governo israeliano. Questa volta non è successo, come mai? La differenza è che in questo periodo storico, il leader Benjamin Netanyhau si trova in serie difficoltà e sta lottando strenuamente per mantenere la sua posizione alla guida del paese. Non è stata casuale la scelta di mettere posti di blocco all’ingresso della porta di Damasco, all’inizio del Ramadan, il mese sacro per i mussulmani. A questa decisione ingiustificata sono seguiti gli attacchi dei militanti dell’estrema destra contro i palestinesi che si riunivano davanti a quella stessa porta per celebrare la fine della giornata di digiuno. Non è stata casuale neanche la repressione estremamente violenta, più della media, delle proteste a difesa dei residenti di Sheikh Jarrah, sia israeliani che palestinesi, che cercavano di impedire l’espulsione degli abitanti palestinesi del quartiere. L’obiettivo di queste espulsioni è ampiamente noto ed è quello di rendere Gerusalemme «il più ebrea possibile». Reprimere violentemente, con arresti e cariche della polizia, proteste pacifiche nel quartiere che negli ultimi mesi è diventato simbolo di questa ennesima pulizia etnica manda un chiaro messaggio a chiunque osi opporsi alla linea dello stato ebraico: Netanyahu, il leader indagato per corruzione sotto diversi capi d’accusa, è disposto a tutto per restare al potere, anche spostarsi più a destra come richiesto da una fetta dell’opinione pubblica. Esattamente ciò che sta facendo.

Ugualmente, lanci di pietre nel piazzale della moschee di Al Aqsa, uno dei più importanti luoghi sacri per i musulmani, nel periodo del ramadan sono molto frequenti negli ultimi anni, e solitamente, proprio per evitare un’escalation delle violenze, la polizia di Gerusalemme fa qualche arresto ma poi lascia che le proteste scemino naturalmente. Questa volta le cose sono andate diversamente. La violenza messa in atto dalla polizia è giunta all’invasione della moschea, con granate stordenti contro i fedeli all’interno. Un tale affronto ha inevitabilmente fatto scattare la popolazione palestinesi di Israele che si è mobilitata per difendere il proprio luogo sacro portando a ulteriori scontri e violenze. La reazione di Hamas non è quindi un atto improvviso e imprevedibile ai danni di Israele come molti media cercano di far credere. È una risposta violenta a settimane di affronti, repressione sistematica, e altrettanta violenza istituzionalizzata ai danni dei palestinesi. Questo non è un modo per giustificare la violenza di Hamas, ma per contestualizzarla, cosa che i nostri media si rifiutano di fare.

Le fonti d’informazione alternativa ci sono e devono essere consultate, condivise e sponsorizzate per garantire una pari rappresentazione di un confronto tutt’altro che ad armi pari. Oltre alla lista di fonti citate sopra consiglio di consultare il sito di Nena News http://nena-news.it/ redatto dalla preparatissima Chiara Cruciati, la pagina di Assopace Palestina e altre testate internazionali come Al-Jazeera e Hareetz. Anche Rula Jebreal sulla sua pagina twitter riporta costantemente gli atti di violenza nei confronti della comunità araba israeliana che in queste notti ha subito attacchi durissimi sotto la forma vera e propria di caccia all’uomo e pogrom. Ci sono stati anche scontri in cui giovani israeliani di origine ebrea sono stati attaccati, ma la violenza sistematica messa in atto dalle squadre di estrema destra sembra più organizzata e mirata. 

L’apporto di questo contributo è inevitabilmente parziale non potendo districare tutti i nodi, principalmente storici, di questa questione, ma penso che la posizione da adottare nel momento in cui si hanno a cuore i diritti umani è una sola, quella della condanna del massacro di civili e della distruzione di case, strade e ospedali che Israele sta mettendo in atto a Gaza e nel resto dei territori occupati. Concludo riportando parte di un messaggio che mi è stato inviato da un amico palestinese con la relativa traduzione:

When you hear the news on your channels, look for the source of the problem, who occupies whom?

I have learned in your universities, human rights, respecting freedom of speech, rule of law, and that Humanity is non-negotiable. We are human, we deserve a better life.

Let me clarifies that we as Palestinians are not against any religions, including Judaism but we oppose Zionism which is trying to expel us from our country. We have the right to live in our country. Recently Israel intensifies its human rights violations and war crimes against us. In fact, we are facing ethnically cleanse!! Can you imagine that Palestinian families were forced to self-demolish their homes in Jerusalem? We are faced with incessant dispossession and displacement.

Vorrei mettere in chiaro che noi palestinesi non siamo contro alcuna religione, incluso l’ebraismo, ma ci opponiamo al sionismo che cerca strenuamente di cacciarci dal nostro paese. Abbiamo il diritto di vivere nel nostro paese. Quando ascolti i notiziari o leggi i giornali, cerca la fonte del problema, chi occupa chi? Qual è la potenza occupante?  Ho studiato nelle vostre università europee l’importanza dei diritti umani, il rispetto della libertà di parola, lo stato di diritto e che l’umanità non è negoziabile. Siamo umani, ci meritiamo una vita migliore.

L’umanità non è negoziabile. Quella dei palestinese è invece da sempre una moneta di scambio. 

One thought on “BREVIARIO PER GAZA

  1. Pingback: racconti di Palestina - sbrodeghezzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.