Riassunto delle puntate precedenti:
1948, anno dell’indipendenza per Israele, per i Palestinesi Nakba, la Catastrofe. Ben Guriom e gli amici suoi pianificano e attuano con mirabile efficacia il cosiddetto Piano Dalet, ovvero la pulizia etnica del territorio che ora è considerato Israele. Centinaia di villaggi distrutti e circa 800.000 palestinesi in fuga, convinti di poter presto tornare. A 64 anni di distanza, loro e i loro figli e nipoti vivono nei campi profughi in Cisgiordandia come a Gaza, in Siria come in Libano e in Giordania. Ad oggi, i rifugiati palestinesi nel mondo si calcolano intorno ai 5 milioni, contro i 6,1 milioni di palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Quale futuro per queste persone? Nessuna possibilità di ritorno nelle loro case, perché Israele, secondo la definizione ufficiale, è uno Stato democratico ed ebraico, il che implica la necessaria superiorità demografica degli Ebrei sulle altre minoranze. È solo in quest’ottica che si possono capire le politiche sioniste, solo così si comprende perché la Nakba non è mai finita, dall’occupazione completa della Palestina storica (Gerusalemme compresa) nel 1967, alle quotidiane demolizioni di case in Valle del Giordano come a sud di Hebron come a Gerusalemme Est, all’espansione delle colonie e all’appropriazione delle risorse idriche. La lente di lettura che, credo, unisca tutti i tasselli è proprio l’adagio il massimo di terra con il minimo di Palestinesi. Non è quindi mera conquista, la guerra si gioca anche sul piano demografico. È per questo che la West Bank non è stata semplicemente annessa allo Stato di israele: la popolazione non ebrea sarebbe più numerosa. Idem per Gaza: tutti questi territori vanno bonificati dagli Arabi. Una pulizia etnica strisciante e costante, creativa e diversficata: divide et impera, certo, ma anche ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. Desertificare per ripopolare. Continue reading →