Siamo alla fine del 2017. Ormai quarant’anni sono passati dal 1977, eppure per molti ricordare significa ancora riaprire ferite e fallimenti.
Agli inizi del 1977 si era presentato sulla scena delle Università italiane un movimento assolutamente inaspettato che in breve tempo aveva assunto caratteristiche di massa. Se a Roma e Milano aveva mostrato sin dall’inizio caratteri di scontro violento, a Bologna era attiva soprattutto un’ala creativa, allegra e dissacrante. C’era in città un grande fermento. La musica, il Dams, i fumetti di Andrea Pazienza, le radio libere tra le quali Radio Alice, con il suo linguaggio bizzarro, gioiosa e disordinata, voce e specchio del movimento.
Ma un avvenimento cambiò tutto. L’11 marzo viene ucciso lo studente di Lotta Continua Francesco Lorusso, colpito, durante un tafferuglio tra gli studenti del movimento e Comunione e Liberazione, da un carabiniere che sparò ad altezza d’uomo. La situazione precipitò. (1)
“Quel giorno finì la nostra musica” afferma Gabriele, militante del movimento e amico di Francesco. Ci fu un’esplosione di rabbia, assemblee, saccheggio di un ristorante in Piazza Verdi, assalto nella notte ad una armeria e poi sei giorni di scontri, manifestazioni infuocate, rottura di vetrine. Una rivolta manzoniana, disperata, impotente la definì l’avvocato Leone. (2)
All’epoca Bologna era considerata il modello del buon governo del Partito comunista italiano, una vera e propria “città vetrina” dal punto di vista della coesione sociale, delle opportunità culturali e della partecipazione democratica. La violenza politica della seconda metà degli anni Settanta contribuì a incrinare quell’immagine sia tra i bolognesi sia a livello nazionale. Soprattutto l’uccisione dello studente Francesco Lorusso, ad opera di un uomo delle forze dell’ordine l’11 marzo 1977, causò una profonda frattura non solo tra la sinistra extra-parlamentare bolognese (di cui Lorusso faceva parte) e il Pci, ma anche nella coscienza civile di una città che fino a quel momento aveva assistito con un certo distacco ai fermenti che attraversavano larga parte del mondo giovanile e delle università italiane. In seguito, i giovani decisi a contestare la “Bologna borghese” e le istituzioni spesso diedero forma alla loro protesta distruggendo le vetrine dei negozi nelle vie del centro. Per tanti osservatori, quelle distruzioni materiali rappresentarono anche il declino di un modello di governo e di partecipazione. (3)
In questo modo lo storico Luca Pastore spiegava, in una intervista sul nostro blog, gli avvenimenti del marzo 1977 a Bologna.
Ho ritrovato una serie di articoli di Michele Smargiassi usciti sulle pagine locali di Repubblica tra febbraio e marzo 1997 raggruppati sotto il titolo Le sei giornate di Bologna. Sono basati su interviste ai protagonisti di maggior rilievo che, con voci diverse, ci fanno rivivere il clima di quei giorni.
C’è il punto di vista delle istituzioni. Imbeni (4) afferma “Quel giorno si spezzò un filo” e, come Zangheri, (5) mostra l’amarezza per “un’occasione di incontro perduta tra le istituzioni della città e i giovani che, pur tra contraddizioni, stavano anche maturando esperienze creative e interessanti”. Poteva andare diversamente? Potevano le istituzioni non lasciare soli questi giovani?
Le interviste danno voce anche a quelli che erano i leader del movimento, tra cui Bifo e Torrealta, e anche loro sottolineano come la situazione dopo l’uccisione di Lorusso precipitò. Torrealta inoltre racconta la drammatica chiusura, con l’intervento della polizia trasmesso in diretta, di Radio Alice. La si riteneva responsabile di guidare gli scontri. “Cosa assurda”, afferma Torrealta, “per un movimento spontaneista che decisamente rifiutava ogni direzione e autorità”. Bifo è molto netto: “Fu rivolta inevitabile. Per il Pci eravamo incomprensibili cioè nemici”.
Molto interessante l’intervista a Giulio Leone, avvocato della famiglia Lorusso. Ricorda come il padre di Francesco si fosse rivolto a lui dicendo :“Avvocato io voglio sapere. Voglio sapere tutto”. Ma per la morte di Lorusso non c’è stata vera giustizia, “giustizia distorta” la definisce. L’unico processo in cui fu possibile parlare di Francesco fu quello intentato contro Montanelli per diffamazione in quanto aveva definito Lorusso dirigente di Prima Linea.
Leone ricorda anche il funerale, a cui partecipò con il padre aggrappato al suo braccio, il silenzio assoluto sul quale si levò l’Internazionale cantata da centinaia di studenti, “anche questo è un modo di pregare”.
Mi accorgo che rileggendo queste ricostruzioni ne sono ancora turbata.
Mi trovavo e mi sentivo in quegli anni in una terra di confine. I miei amici all’Università, io già insegnavo. Molti degli amici più cari nel movimento ed io nel Pci.
Eppure vivevo quegli avvenimenti intensamente, spesso lacerata, ma anche con intensa vitalità.
Rileggendo gli articoli ho avuto la sensazione di rivivere quei giorni e sono stata sommersa da una emozione ansiosa. Come quando si ritrova una fotografia e il passato ti sommerge in modo inaspettato.
Difficile ricostruire, mettere ordine ai ricordi. Che si incrociano, si sovrappongono. Ci si chiede continuamente “ma questo è avvenuto prima o dopo”…E si cerca di collocare i fatti all’interno della propria vita quotidiana di quel tempo, del lavoro, degli incontri, delle amicizie, degli amori.
Articoli, interviste, testimonianze inondano quindi di emozioni ma rimangono ancora frammentari. E forse provocano ancora tanta inquietudine e spaesamento perché non abbiamo risposto a dubbi, interrogativi su quei giorni e su tutto quanto è seguito. E soprattutto mi pare non ci sia stata una rielaborazione storica che possa dare un senso alle memorie.
“Quello degli anni 70”, diceva Simonetta Fiori nel 1997, (6) “è il decennio più chiacchierato ma meno studiato della storia d’Italia”. È ancora così? A me pare che la rimozione di quegli anni sia ancora in atto.
Rosalba Granata
Note:
- Nel blog di Metro-Polis anche un bell’articolo articolo di Danila Faenza, https://metropolisbologna.wordpress.com/?s=danila+faenza+77, che racconta in modo chiaro e suggestivo quelle giornate.
- Citazioni dagli articoli di Michele Smargiassi Le sei giornate di Bologna su Repubblica-Bologna tra febbraio e marzo 1997.
- Luca Pastore, autore dell’interessante saggio La vetrina infranta, è stato ospite di Metro-Polis in un aperitivo a tema partecipato e coinvolgente. Nel blog è anche presente una sua intervista rilasciata dopo la serata.
- Renzo Imbeni era segretario della federazione del Pci.
- Renato Zangheri (Pci) è stato il sindaco di Bologna dal 1970 al 1982. Quindi anche nei drammatici anni delle stragi, quella dell’Italicus e quella della stazione del 2 agosto 1980.
- Simonetta Fiori, Anni 70 lo storico è in fuga, in la Repubblica, 30/03/97.